“La città era riunita davanti alla sua porta”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia V Domenica del tempo ordinario - anno B

L’evangelista Marco apre il suo vangelo narrando la prima giornata di Gesù a Cafàrnao. E’ come una giornata tipo di Gesù. E ci appare subito molto diversa dalle nostre giornate, segnate spesso dalla monotonia, dalla tristezza, dalla banalità e talora dal nonsenso. Altre volte invece è la durezza e la drammaticità della vita a prendere il sopravvento. E sentiamo vere anche per noi le parole scritte nel libro di Giobbe: “Non ha forse un duro lavoro l’uomo su questa terra e i suoi giorni non sono come quelli di un mercenario?” (Gb 7, 1).

Se poi il nostro sguardo si allarga verso coloro che sono più direttamente toccati dalla violenza, dall’ingiustizia e dalla guerra (di quelle note e delle non poche altre, magari più piccole ma di cui nessuno parla), il lamento di Giobbe assume un valore ancor più tragico: “A me sono toccati mesi di illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: quando mi alzerò? Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi sino all’alba… Ricordati che un soffio è la mia vita, il mio occhio non rivedrà più il bene” (7, 6-7).

La vita degli uomini è davvero dura, ci dice questo brano della Scrittura. Ebbene, la “Giornata di Cafàrnao”, dovremmo dire, quella che oggi ci viene annunciata dal Vangelo, entra dentro le nostre giornate per infondervi forza ed energia, quasi come il lievito che messo nella pasta la fermenta tutta. Dopo aver scacciato uno spirito immondo da un poveretto mentre si trovava nella sinagoga di Cafarnao, Gesù si reca nella casa di Simone e Andrea. Forse cercava un po’ di tranquillità e di pace. Ma non fa in tempo ad entrare in casa che subito gli prospettano un caso: la suocera di Simone è febbricitante. Senza frapporre tempo Gesù la guarisce; non dice nessuna parola, neppure una preghiera, la prende per mano e la fa alzare.

È una narrazione semplice che contiene però tutta la forza vittoriosa di Gesù contro il male (non è solo un caso che l’evangelista per indicare la guarigione della donna usi lo stesso verbo che usa per la resurrezione di Gesù). La risposta della donna – “essa si mise a servirli” – non è un semplice gesto di grata cortesia, ma la “diaconia” (questo è il verbo usato per indicare quello che la donna si è messa a fare), ossia il servizio al Signore e ai fratelli. In questa guarigione sono in certo modo presenti tutte le altre, sia quelle che Gesù farà nel corso della sua vita terrena sia quelle dei discepoli di allora e di ogni tempo. Infatti, subito l’evangelista allarga la scena e passa dalla guarigione di una singola persona alle guarigioni di tanti. Come a dire che Gesù è venuto a lottare contro il male, contro ogni tipo di male, sia fisico che mentale o psichico.

Emerge già qui, nella prima pagina del Vangelo, e così deve essere nella vita della Chiesa, quella “compassione” per i deboli, per i malati, per i poveri, per le folle stanche e sfinite di cui spesso sentiremo parlare nei Vangeli delle prossime domeniche e che riassume in certo modo tutta la missione di Gesù. Era ancora lo stesso giorno – nota l’evangelista – e “fattasi sera, dopo il tramonto del sole portavano a lui tutti i malati e gli indemoniati. E tutta la città era radunata davanti alla porta”. Era tramontato il sole e il mondo non dava più luce né speranza; ma tutta la città si era radunata davanti a quella porta, alla porta della casa ove stava Gesù, l’unica luce che non era tramontata. Viene spontaneo pensare ai milioni di persone colpite dalla guerra e dalla fame che vagano cercando una porta a cui bussare, e constatare con indicibile tristezza che sempre più spesso il loro durissimo pellegrinaggio è stroncato dalla ferrea chiusura di tutte le porte delle case degli uomini.

E come non pensare anche alle porte delle nostre chiese parrocchiali e chiedersi: sono le loro porte come quella della casa di Cafàrnao? Riescono le nostre chiese ancora a radunare davanti a sé tutta la città? e se, come più spesso accade, sono approdo di speranza per poveri e disperati sanno, quelle porte, aprirsi per consolare e guarire? come vengono trattati quei mendicanti che si fermano davanti alle porte per chiedere l’elemosina? E c’è anche un altro interrogativo che ci riguarda personalmente: non siamo noi tutti, chi in un modo chi un altro, tutti malati? San Girolamo, commentando questo brano evangelico, non esita a dire che ciascuno di noi è malato, febbricitante: “Quando sono colto dall’ira, ho la febbre; anzi, ogni vizio è febbre”. Tutti siamo malati e febbricitanti, e quindi bisognosi di affollarci davanti alla porta della casa del Signore. E il vangelo non sembra neppure chiedere una particolare chiarezza di coscienza. Tutta quella folla non sapeva bene cosa ci fosse dietro quella porta, ma certo aveva riposto solo in quel luogo la sua speranza; del resto tutte le altre porte erano rimaste chiuse. Ora in tanti speravano che di lì uscissein aiuto qualcuno che li sollevasse dalla condizione triste in cui versavano.

L’evangelista dice che Gesù ne guarì molti. E quando tutti erano andati via, guariti e rincuorati, Gesù continuò la sua giornata. Noi ci saremmo forse ritirati stanchi ma orgogliosi e soddisfatti. Gesù uscì e si recò in un luogo appartato, per pregare. Quel momento era, in verità, il culmine e la fonte di tutte le sue giornate, di tutto ciò che faceva. Era la sua prima e fondamentale opera. E possiamo allora immaginare la preghiera notturna di Gesù dopo che, per un giorno intero, aveva toccato con mano le angosce e le speranze di tanta gente. L’intimità con il Padre non era una fuga dal mondo e dalla vita per godersi finalmente un po’ di tranquillità, che pure sarebbe stata ben meritata. Molto più verosimilmente tali incontri erano colloqui appassionati (forse anche drammatici) tra il Figlio e il Padre sulla missione che aveva ricevuto, sulle condizioni del mondo, sulla salvezza di tutti coloro che Gesù aveva incontrato e su quella degli altri che avrebbe dovuto e voluto incontrare ancora.

Questo può spiegare la sua reazione quando i discepoli, dopo averlo raggiunto, gli dicono che tutti lo cercano: “Andiamocene altrove – risponde -, per i villaggi vicini perché io predichi anche là”. Gesù non si ferma in una sola casa, in un solo gruppo, in un clan, in una sola nazione; e non esce da una sola porta. Egli vuole visitare tutte le case, perché ovunque c’è bisogno del Vangelo. E vuole che i discepoli, di ieri e di oggi, non si chiudano in una sterile autoreferenzialità, ma sentano l’urgenza di continuare a comunicare il vangelo ovunque nel mondo.

AUTORE: Vincenzo Paglia