La doccia scozzese

La chiamano così, quell’improvviso alternarsi di sensazioni opposte: gelo e fuoco, depressione ed esaltazione. Mi aveva depresso, sere fa, la (parziale) visione della fiction televisiva Dalida, sulla vicenda dell’omonima cantante francese e del suo Luigi Tenco. Mamma mia che tristezza! Mamma mia che vuoto! Un giorno che la Ferilli avesse imparato a recitare, e riproponesse quella stessa fiction, tristezza e vuoto non potrebbero che aumentare. Di Dalida hanno venduto tanti dischi, ma di Tenco hanno venduto quasi solo la morte. Ricordo quella mattina di quaranta ani fa, in pieno Festival di Sanremo: dal giornale radio avevo appreso la notizia del suicidio di un povero giovane, sgomento come tutti, ma Il Giorno, il quotidiano che avevo in mano e che nel momento in cui andava in stampa non poteva sapere nulla di quel gesto angosciante, stroncava Ciao amore, la canzone per la cui bocciatura il cantante s’era sparato un colpo alla tempia, definendola ‘una disperazione commerciale’. La prima’stroncatura. Fu anche l’ultima. Da quel giorno, grazie a quel sangue, Ciao amore divenne un capolavoro. Da quel giorno anche la vita di Dalida si trascinò fra avventure e farmaci, soldi e lacrime a volontà, fino ad approdare ad un gesto analogo a quello del ‘suo’ uomo. Sarò umorale, ma raramente mi era capitato di provare un sensazione di vuoto così forte. Sul fronte opposto: un paio di sere dopo, mentre completavo il mio 1-4-2-3-1. No, non è un modulo calcistico, anche se potrebbe esserlo, data la mia competentissima devozione (Ah, Gianni Brera!) alla dea Eupalla; non è un modulo calcistico, ma solo lo schema dei farmaci che devo quotidianamente assumere per tenere insieme le mie quattro ossa. Già. Dopo avere irriso e calunniato la chimica per tutta la vita! ‘ ‘ Di notte non assumo farmaci, ma sono impegnato in due/tre trasferimenti, mintionis causa. È stato proprio grazie ai diuretici che, in coda al secondo dei trasferimenti suddetti, ho potuto gustarmi la vittoria nella 50 km di marcia di quel ragazzo altoatesino di cui rischio di storpiare il cognome (Alex Schwarzel?): ‘Vediamo un po’ che c’è in tv!’. Era verso le 2 di notte. In tv c’era lui. Sono rimato tutt’e quatto le ore necessarie per vederlo staccare gli avversari, fare le forze, baciare il braccialetto che portava al polso, levare l’indice in alto davanti a tre italiani, piovuto lì da chissà dove, vederlo entrare nell’abbraccio dei 91 mila, piangere come un disperato, baciare come un bambino sulla bretella destra della canottiera il segno del lutto per il nonno morto da poco; sentirlo farfugliare dolcissime cose insensate al microfono della giornalista. Ho battuto le mani un numero imprecisato di volte. Ho seguito in piedi l’esecuzione dell’inno nazionale. Non che mi sentissi ‘pronto alla morte’, ma disposto a versare qualche lacrimuccia, sì. Se non fosse stato che, dalla periferia sud del corpo, arrivò l’avviso che era’ra di procedere al terzo trasferimento.

AUTORE: Don Angelo Fanucci