La “lezione” spirituale di mons.Paglia: una teologia pensata con amore

Inaugurazione liturgica del nuovo anno accademico dell'Istituto teologico di Assisi

Si sono aperti i ‘battenti’ di questo nuovo anno accademico e il clima che regna tra i professori e gli alunni è quello della gioia. Alla presenza del corpo docente, dei circa quattrocento alunni, dei presidi – mons. Vittorio Peri e don Gualtiero Sigismondi- dell’Istituto teologico e dell’Istituto di scienze religiose di Assisi, mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, ha inaugurato con la solenne celebrazione eucaristica sulla Tomba di san Francesco, il nuovo anno accademico. La riflessione omiletica, proposta da mons. Paglia ritmerà nella meditazione e nella ricerca l’impegno e l’ingegno di questa cittadella della ricerca scientifica. Il Vescovo ha sottolineato, tra i tanti spunti, l’atteggiamento esistenziale del porsi dinanzi al Mistero di Dio e il passaggio serio e importante da una teologia che vola a bassa quota ad una teologia che fende le altezze e la nobiltà del pensare e dell’agire partendo da un episodio squisitamente francescano: “Un frate domenicano, riconoscendo la santità di Francesco, lo avvicinò per chiedergli la spiegazione di un versetto del Libro della Sapienza. Francesco dopo essersi schernito varie volte, cedette alle insistenze del domenicano, e diede la spiegazione richiesta. Il frate domenicano restò ammirato dalla profondità della risposta di Francesco. Si rivolse, quindi ai compagni di Francesco e disse loro: Fratelli miei, la teologia di quest’uomo, sorretta dalla purezza e dalla contemplazione, vola come aquila. La nostra scienza invece striscia terra terra”. Da questo episodio si sono evidenziati i due aspetti sopra richiamati. Il primo è stato tratto dal libro di Giobbe che: “manifesta l’estrema debolezza dell’uomo di fronte all’insolubile mistero di Dio che trascende e supera, che avvolge e sostiene l’uomo. Ai suoi tre sapienti amici che pensavano di sapere tutto di Dio, Giobbe aveva detto che Dio: ‘fa cose tanto grandi da non potersi indagare, meraviglie da non potersi contare” (9,10). E forse le prime parole della teologia, dovremmo prenderle proprio da Giobbe: ‘Ecco, sono ben piccino: che ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta ma non replicherò, ho parlato due volte, ma non continuerò’ (Gb 40, 4-5). Per Giobbe si trattava del concreto destino della sua vita e non di esercitazioni teoriche. Questa pagina di Giobbe è un invito a tutti noi….a contemplare l’altezza e la profondità del mistero nel quale siamo coinvolti. Sì a contemplare prima che il parlare. Proprio perché il parlare abbia un senso. C’è un ‘prima’ che precede, o meglio che sta alla base della nostra riflessione e della nostra narrazione teologica. Questo prima è l’intuizione spirituale del mistero di Dio che è connaturale alla santità. Sì non è possibile fare teologia con profondità senza essere santi”. Se questo è l’atteggiamento iniziale del giovane, dello studioso, del teologo, il passaggio che conduce a vivere il salto di qualità è stato indicato prendendo spunto da una delle ultime encicliche del Papa: “La Fides et Ratio, con lungimiranza e profondità, riafferma il necessario rapporto tra ragione e fede, e delinea l’orizzonte dentro il quale i credenti debbono operare nella loro ricerca”. Il rapporto tra l’amore e la fede è stato esplicitato mediante una pagina di Guglielmo di Saint-Thierry. “La ragione ha certi suoi cammini sicuri, sentieri diritti su i quali procede; l’amore per contro avanza di più, grazie a ciò che ha smarrito, apprende di più per la sua ignoranza… La ragione possiede una maggiore sobrietà, l’amore conosce una maggiore beatitudine. Ma se come ho detto si soccorrono a vicenda, se la ragione istruisce l’amore e l’amore illumina la ragione, se la ragione si converte in amore e l’amore acconsente a lasciarsi trattenere entro i confini della ragione, essi possono fare qualcosa di grande”. Mons. Vincenzo Paglia, ha poi aggiunto: “Sono parole che a me paiono significative per il tempo presente… Conosciamo tutti il problema rappresentato dalla crisi della ragione che da qualcuno viene, appunto, definita debole… In ogni caso, che la crisi delle ideologie, la caduta di progetti e visioni generali, e la presunta debolezza della ragione, ha portato gli uomini a entrare nel nuovo millennio un po’ a testa bassa, senza grandi sogni né grandi utopie o, per riprendere le parole del domenicano “strisciando terra terra”, ciascuno pensando al proprio io e al proprio interesse di gruppo, di etnia, di nazione”. La risposta è stata data dallo stesso Vescovo: “A questo mondo “indebolito” e ripiegato su se stesso noi credenti siamo chiamati ad offrire Gesù come unica speranza di Salvezza”.

AUTORE: Enzo Fortunato