La Quaresima di carità dedicata alla realtà carceraria perugina

La Chiesa diocesana vicina alle persone più emarginate e dimenticate dalla società

La Chiesa perugino-pievese, attraverso la Caritas diocesana, vive la “Quaresima di carità 2002” come occasione per coinvolgere la comunità cristiana a farsi carico di questi suoi fratelli emarginati con la preghiera e con azioni concrete e per ripensare al significato della giornata del Giubileo delle carceri e alle “indicazioni” del Papa che non hanno trovato seguito nelle istituzioni politiche. In Quaresima la Caritas diocesana vuole anche rilanciare il suo impegno con le istituzioni carcerarie per contribuire ad individuare soluzioni al sovraffollamento del carcere maschile di Perugia (a fine 2001 erano 236 i detenuti contro i 167 previsti), ma soprattutto a sensibilizzare le comunità parrocchiali affinché si avvicinino, stiano accanto a questa realtà. “La mentalità comune – sostiene don Lucio Gatti, direttore della Caritas diocesana – vede nel carcere la pena da scontare, non una realtà di carattere educativo dove tutta la comunità cristiana deve sentirsi coinvolta per dare nuove possibilità, affinché ogni uomo detenuto possa riconciliarsi con Dio, con se stesso e con il prossimo. In questo, il nostro organismo pastorale, con i suoi operatori e con il supporto di volontari ben formati, può svolgere un ruolo importante che non è solo ‘la tazza di camomilla’, ma è un sostegno ad un progetto che riguarda la persona. Occorre che dall’altra parte delle sbarre sentano di non essere abbandonati dalla società civile, di poter contare sulla presenza di qualcuno – sottolinea il sacerdote -. Ciò non può non contribuire a calmare le ‘agitazioni interiori’ che spesso sfociano sia in diverbi violenti tra detenuti, molti dei quali extracomunitari (nel secondo semestre del 2001 i ferimenti sono passati da 41 a 80), sia in episodi di sciopero della fame (46 casi nel 2001 contro i 34 del 2000). Situazioni e cifre che non possono lasciarci indifferenti”. Pertanto, diverse e significative sono le iniziative messe in campo dalla Caritas diocesana per vivere la Quaresima in comunione con la realtà carceraria perugina. “Innanzitutto offrire risorse umane e materiali – spiega don Lucio Gatti – che possano sostituire la detenzione in luoghi e spazi alternativi per un lavoro di ricostruzione della persona”. A questo proposito l’opera-segno “San Giuseppe Cafasso” per l’accoglienza di detenuti ed ex detenuti lascerà entro l’anno la sede di Montemorcino per quella più ampia ed idonea di Pieve San Sebastiano nei pressi di Montelaguardia. Sono invitate tutte le Caritas parrocchiali a promuovere iniziative di sensibilizzazione utilizzando come sussidio per la riflessione il libretto “Con viscere di misericordia” del vescovo don Tonino Bello, testimone esemplare della carità di Cristo. Soprattutto è uno strumento che aiuta a riflettere sulla condizione reale di Caritas parrocchiale ed è chiesto agli operatori parrocchiali che venga utilizzato per una riflessione comune al termine della quale inviare alla Caritas diocesana spunti e annotazioni e tutte le iniziative di ogni parrocchia o Zona pastorale nel periodo di Quaresima ed anche di tutto l’anno. Saranno distribuiti nelle parrocchie (la terza domenica di Quaresima) un manifesto e il materiale riguardante il carcere. Inoltre, si fa appello alla “generosità fattiva” di tutti i cristiani, ma che non si limita alla richiesta di denaro, per sostenere interventi mirati su situazioni specifiche e particolarmente delicate che si verificano in questa realtà e per la gestione delle case di accoglienza “San Giuseppe Cafasso” e “Gesù Redentore”. Quest’ultima accoglie detenute in semilibertà o che usufruiscono di permessi ed ex detenute affidate al servizio sociale. Sempre durante la Quaresima, la Caritas perugina “intende organizzare un incontro con il coinvolgimento delle parrocchie – annuncia il direttore -, al quale invitare i vertici delle istituzioni carcerarie, i cappellani e i volontari, così da fare il punto sulla situazione, in particolare per comprendere di più questa realtà in vista dell’apertura della grande struttura penitenziaria di Capanne, che è il terzo “super carcere” dell’Umbria dopo quelli di Spoleto e Terni; un fatto che fa ancor più riflettere”. Riccardo Liguori – Francesca AcitoA colloquio con i due cappellani don Saulo e don UgoIl carcere è una realtà che al solo nominarla fa pensare a qualcosa di grigio, di oscuro… una realtà che mette soggezione, ma forse solo a chi non ha mai avuto occasione di conoscere questo ambiente da volontario, da operatore sociale o magari da cappellano. Don Saulo Scarabattoli, parroco di Santo Spirito, con la chiesa a poca distanza dal carcere femminile, è da cinque anni il cappellano dell’istituto penitenziario femminile, dove la situazione è notevolmente diversa da quella del carcere maschile e per numero di detenuti e – soprattutto – per sensibilità degli stessi. “L’ambiente femminile – dice don Saulo – è più difficile del maschile per la psicologia delle donne che, come dicono chi conosce entrambe le psicologie, è molto più complessa, più difficile da comprendere”.”Sicuramente – continua don Saulo – le detenute sentono e apprezzano l’aiuto della Chiesa, ne hanno bisogno. Sì, ci sono altre organizzazioni di tipo sociale o culturale che si occupano di loro, ma l’aiuto concreto, materiale, che può servire sia per cose fondamentali, come per esempio una telefonata a casa per le straniere, sia per un minimo di cura personale, che per una donna è sempre più importante che per un uomo, questo tipo di sostegno, di aiuto viene solo dalla Chiesa”. Una solidarietà, quella della Chiesa, che però non si limita al dare denaro. “La gran parte del nostro lavoro è quello di fare da tramite, da collegamento con la famiglia, perché si riallaccino i rapporti… Poi, e questo è soprattutto possibile grazie alle suore che sono presenti in modo più continuativo, c’è tutto il lavoro di sostegno morale, di ascolto, che è molto necessario lì dentro”.Sono anche i laici a dare il loro contributo, per quanto, dietro la guida del parroco, offrano aiuto più che altro per attività di evangelizzazione e catechesi, o di servizio e animazione durante la messa. Un gruppo di catechisti della parrocchia di Santo Spirito dà ormai il suo tempo per questo servizio all’interno del carcere, mentre ci sono anche altre parrocchie che, con iniziative varie ma occasionali come concerti corali, entrano in questa struttura per dare qualcosa di più. “Certo – dice il cappellano – quando qualcuna delle detenute si avvicina e chiede il sacramento della Riconciliazione, questo è il massimo che ci si può aspettare!”.Purtroppo, quelle iniziative di evangelizzazione che sono possibili nel carcere femminile, non sono sempre possibili in quello maschile. “Oltre al fatto di essere un ambiente più duro – dice don Ugo Scappini, parroco di Collestrada e cappellano della Casa circondariale di Perugia – è anche un ambiente dove c’è un movimento continuo. Significa che si inizia una catechesi con una decina di persone e si finisce l’anno sempre con dieci persone, ma non le stesse”. E’ chiaro che questo complica l’azione pastorale. “E’ una casa circondariale – continua don Ugo – e la maggior parte sono di passaggio. Non ci sono ergastolani come nel caso del carcere femminile”.Ma a chi rimane fuori e non ha mai pensato a quell’opera di misericordia che è la visita ai carcerati, cosa dire? Cosa fare per sensibilizzare? “Credo che la sensibilizzazione migliore avvenga tramite la testimonianza – spiega don Saulo -. Le persone che in qualche modo collaborano con il carcere, catechisti o volontari, lì dove vivono sono sicuramente un ‘fascio di luce’ che mette a fuoco la realtà del carcere. Io stesso ne ho fatto esperienza nella mia parrocchia. Finché non ci sono entrato, malgrado avessimo il carcere a dieci metri, la sensibilità di tutti i parrocchiani rimaneva generica”.E invece è molto quello che si può fare per il carcere, soprattutto nel momento in cui il detenuto ha finito di scontare la pena: “La comunità cristiana – afferma decisamente don Saulo – può e deve intervenire nel momento del reinserimento nella società civile. E’ questa la fase più critica e pericolosa per il soggetto. E’ facile ricadere se si è abbandonati a se stessi”. La Chiesa perugino-pievese, attraverso la Caritas diocesana, vive la “Quaresima di carità 2002” come occasione per coinvolgere la comunità cristiana a farsi carico di questi suoi fratelli emarginati con la preghiera e con azioni concrete e per ripensare al significato della giornata del Giubileo delle carceri e alle “indicazioni” del Papa che non hanno trovato seguito nelle istituzioni politiche. In Quaresima la Caritas diocesana vuole anche rilanciare il suo impegno con le istituzioni carcerarie per contribuire ad individuare soluzioni al sovraffollamento del carcere maschile di Perugia (a fine 2001 erano 236 i detenuti contro i 167 previsti), ma soprattutto a sensibilizzare le comunità parrocchiali affinché si avvicinino, stiano accanto a questa realtà. “La mentalità comune – sostiene don Lucio Gatti, direttore della Caritas diocesana – vede nel carcere la pena da scontare, non una realtà di carattere educativo dove tutta la comunità cristiana deve sentirsi coinvolta per dare nuove possibilità, affinché ogni uomo detenuto possa riconciliarsi con Dio, con se stesso e con il prossimo. In questo, il nostro organismo pastorale, con i suoi operatori e con il supporto di volontari ben formati, può svolgere un ruolo importante che non è solo ‘la tazza di camomilla’, ma è un sostegno ad un progetto che riguarda la persona. Occorre che dall’altra parte delle sbarre sentano di non essere abbandonati dalla società civile, di poter contare sulla presenza di qualcuno – sottolinea il sacerdote -. Ciò non può non contribuire a calmare le ‘agitazioni interiori’ che spesso sfociano sia in diverbi violenti tra detenuti, molti dei quali extracomunitari (nel secondo semestre del 2001 i ferimenti sono passati da 41 a 80), sia in episodi di sciopero della fame (46 casi nel 2001 contro i 34 del 2000). Situazioni e cifre che non possono lasciarci indifferenti”. Pertanto, diverse e significative sono le iniziative messe in campo dalla Caritas diocesana per vivere la Quaresima in comunione con la realtà carceraria perugina. “Innanzitutto offrire risorse umane e materiali – spiega don Lucio Gatti – che possano sostituire la detenzione in luoghi e spazi alternativi per un lavoro di ricostruzione della persona”. A questo proposito l’opera-segno “San Giuseppe Cafasso” per l’accoglienza di detenuti ed ex detenuti lascerà entro l’anno la sede di Montemorcino per quella più ampia ed idonea di Pieve San Sebastiano nei pressi di Montelaguardia. Sono invitate tutte le Caritas parrocchiali a promuovere iniziative di sensibilizzazione utilizzando come sussidio per la riflessione il libretto “Con viscere di misericordia” del vescovo don Tonino Bello, testimone esemplare della carità di Cristo. Soprattutto è uno strumento che aiuta a riflettere sulla condizione reale di Caritas parrocchiale ed è chiesto agli operatori parrocchiali che venga utilizzato per una riflessione comune al termine della quale inviare alla Caritas diocesana spunti e annotazioni e tutte le iniziative di ogni parrocchia o Zona pastorale nel periodo di Quaresima ed anche di tutto l’anno. Saranno distribuiti nelle parrocchie (la terza domenica di Quaresima) un manifesto e il materiale riguardante il carcere. Inoltre, si fa appello alla “generosità fattiva” di tutti i cristiani, ma che non si limita alla richiesta di denaro, per sostenere interventi mirati su situazioni specifiche e particolarmente delicate che si verificano in questa realtà e per la gestione delle case di accoglienza “San Giuseppe Cafasso” e “Gesù Redentore”. Quest’ultima accoglie detenute in semilibertà o che usufruiscono di permessi ed ex detenute affidate al servizio sociale. Sempre durante la Quaresima, la Caritas perugina “intende organizzare un incontro con il coinvolgimento delle parrocchie – annuncia il direttore -, al quale invitare i vertici delle istituzioni carcerarie, i cappellani e i volontari, così da fare il punto sulla situazione, in particolare per comprendere di più questa realtà in vista dell’apertura della grande struttura penitenziaria di Capanne, che è il terzo “super carcere” dell’Umbria dopo quelli di Spoleto e Terni; un fatto che fa ancor più riflettere”. A colloquio con i due cappellani don Saulo e don UgoIl carcere è una realtà che al solo nominarla fa pensare a qualcosa di grigio, di oscuro… una realtà che mette soggezione, ma forse solo a chi non ha mai avuto occasione di conoscere questo ambiente da volontario, da operatore sociale o magari da cappellano. Don Saulo Scarabattoli, parroco di Santo Spirito, con la chiesa a poca distanza dal carcere femminile, è da cinque anni il cappellano dell’istituto penitenziario femminile, dove la situazione è notevolmente diversa da quella del carcere maschile e per numero di detenuti e – soprattutto – per sensibilità degli stessi. “L’ambiente femminile – dice don Saulo – è più difficile del maschile per la psicologia delle donne che, come dicono chi conosce entrambe le psicologie, è molto più complessa, più difficile da comprendere”.”Sicuramente – continua don Saulo – le detenute sentono e apprezzano l’aiuto della Chiesa, ne hanno bisogno. Sì, ci sono altre organizzazioni di tipo sociale o culturale che si occupano di loro, ma l’aiuto concreto, materiale, che può servire sia per cose fondamentali, come per esempio una telefonata a casa per le straniere, sia per un minimo di cura personale, che per una donna è sempre più importante che per un uomo, questo tipo di sostegno, di aiuto viene solo dalla Chiesa”. Una solidarietà, quella della Chiesa, che però non si limita al dare denaro. “La gran parte del nostro lavoro è quello di fare da tramite, da collegamento con la famiglia, perché si riallaccino i rapporti… Poi, e questo è soprattutto possibile grazie alle suore che sono presenti in modo più continuativo, c’è tutto il lavoro di sostegno morale, di ascolto, che è molto necessario lì dentro”.Sono anche i laici a dare il loro contributo, per quanto, dietro la guida del parroco, offrano aiuto più che altro per attività di evangelizzazione e catechesi, o di servizio e animazione durante la messa. Un gruppo di catechisti della parrocchia di Santo Spirito dà ormai il suo tempo per questo servizio all’interno del carcere, mentre ci sono anche altre parrocchie che, con iniziative varie ma occasionali come concerti corali, entrano in questa struttura per dare qualcosa di più. “Certo – dice il cappellano – quando qualcuna delle detenute si avvicina e chiede il sacramento della Riconciliazione, questo è il massimo che ci si può aspettare!”.Purtroppo, quelle iniziative di evangelizzazione che sono possibili nel carcere femminile, non sono sempre possibili in quello maschile. “Oltre al fatto di essere un ambiente più duro – dice don Ugo Scappini, parroco di Collestrada e cappellano della Casa circondariale di Perugia – è anche un ambiente dove c’è un movimento continuo. Significa che si inizia una catechesi con una decina di persone e si finisce l’anno sempre con dieci persone, ma non le stesse”. E’ chiaro che questo complica l’azione pastorale. “E’ una casa circondariale – continua don Ugo – e la maggior parte sono di passaggio. Non ci sono ergastolani come nel caso del carcere femminile”.Ma a chi rimane fuori e non ha mai pensato a quell’opera di misericordia che è la visita ai carcerati, cosa dire? Cosa fare per sensibilizzare? “Credo che la sensibilizzazione migliore avvenga tramite la testimonianza – spiega don Saulo -. Le persone che in qualche modo collaborano con il carcere, catechisti o volontari, lì dove vivono sono sicuramente un ‘fascio di luce’ che mette a fuoco la realtà del carcere. Io stesso ne ho fatto esperienza nella mia parrocchia. Finché non ci sono entrato, malgrado avessimo il carcere a dieci metri, la sensibilità di tutti i parrocchiani rimaneva generica”.E invece è molto quello che si può fare per il carcere, soprattutto nel momento in cui il detenuto ha finito di scontare la pena: “La comunità cristiana – afferma decisamente don Saulo – può e deve intervenire nel momento del reinserimento nella società civile. E’ questa la fase più critica e pericolosa per il soggetto. E’ facile ricadere se si è abbandonati a se stessi”. Una testimonianza? “A una detenuta che veniva a confessarsi, la prima cosa che le ho chiesto è stata di fare un esame di coscienza di tutte le cose buone che aveva fatto: ebbene, non si era mai resa conto che poteva fare anche del bene! Si commosse. Mi disse: nessuno mi ha mai detto che posso anche aver fatto delle cose buone”.

AUTORE: Riccardo Liguori - Francesca Acito