La riconciliazione nel nome di Francesco

150° dell’Unità d’Italia. L’importante ruolo avuto dalla riscoperta della figura del Santo d’Assisi a inizio ’900

La breccia che le truppe piemontesi aprirono presso Porta Pia, con la conseguente presa di Roma, se materialmente faceva cadere delle mura, innalzava – o anche solo rafforzava – uno steccato tra la realtà nazionale dell’Italia e la Chiesa. Le mura erano state infrante, ma la nuova divisione divenne il Tevere, tanto che bastava dire “l’Oltretevere” per denominare una realtà ritenuta come ostile alla nuova istituzione vigente, ossia lo Stato italiano con Roma capitale. Tra gli avvenimenti che hanno segnato questa storia certamente vi sono i Patti lateranensi, la loro ricezione nella Costituzione repubblicana e la loro revisione nel 1984. Ma in tutto ciò un ruolo non secondario hanno avuto certamente san Francesco e Assisi. Già nel 1918 ci fu la ricorrenza del primo centenario del ritrovamento del corpo di san Francesco, tuttavia a causa della guerra la celebrazione fu rimandata al 4 ottobre 1920 e per tale occasione Benedetto XV inviò ad Assisi il card. Raffaele Merry del Val. Lo stesso Benedetto XV nella lettera enciclica Sacra propediem del 1921 in occasione del settimo centenario della fondazione del Terzo ordine francescano, scrive: “Innanzi tutto conviene che ognuno abbia un’idea esatta della figura di san Francesco, in quanto taluni, secondo l’invenzione dei modernisti, presentano l’uomo di Assisi poco obbediente a questa Cattedra apostolica, come il campione di una vaga religiosità, tanto che egli può essere correttamente chiamato né Francesco d’Assisi né santo”. Successivamente, il 19 settembre 1921, sempre Benedetto XV richiamò il ruolo di san Francesco nella costruzione della pace: “Donde deriva tanta enormità di mali? Dipende dall’oblio dell’ordine che deve regnare nel mondo… Ma a questi errori dell’intelletto, a questi vizii del cuore si oppone direttamente lo spirito di san Francesco, opportunamente definito ‘spirito di concordia, di amore e di pace’”. Il settimo centenarioNel 1924, in occasione del settimo centenario delle sacre stimmate, una lettera enciclica del Papa riaffermò il carattere soprannaturale dell’evento, mentre la rivista Vita e pensiero in un numero monografico diede la risposta cattolica alle svalutazioni che da un cinquantennio le mettevano in dubbio. Il settimo centenario della morte di san Francesco, che si celebrò dalla festa del Perdono (2 agosto) 1926 alla festa del Perdono 1927, fu preparato con grande cura per l’interessamento sia di Pio XI che del Governo italiano presieduto da Benito Mussolini. Al centro vi fu la festa del 4 ottobre 1926, dichiarata festa nazionale; per facilitare la partecipazione vi furono sconti speciali sui treni per i pellegrini diretti ad Assisi e nella cittadina umbra si aprirono nuovi alberghi. Il legato pontificio era il card. Raffaele Merry del Val, che giunse in treno da Roma il 3 ottobre. Importante fu il ricevimento in suo onore organizzato il 4 ottobre pomeriggio nel palazzo del comune dal sindaco Arnaldo Fortini. In questa occasione egli incontrò il delegato del Governo italiano, ossia Pietro Fedele; questi fu ministro della Pubblica istruzione dal 5 gennaio 1925 al 9 luglio 1928 e tale incarico gli fu conferito da Mussolini perché gradito dai cattolici. Il 4 ottobre 1927 fu sempre lui a rappresentare il Governo italiano nel momento della restituzione ai Frati minori conventuali del Sacro Convento di San Francesco. Tutto ciò era di concerto con Mussolini e quindi non meraviglia che il 7 febbraio 1927 il sindaco di Assisi, avvocato Arnaldo Fortini, fosse ricevuto dal presidente del Consiglio, on. Benito Mussolini, assieme appunto al ministro Fedele: fu un vero e proprio rendiconto delle celebrazioni del centenario francescano. Il 24 marzo 1927 Fortini viene nominato potestà di Assisi: sarà il primo ad assumere tale carica nella cittadina umbra. Tuttavia, che la ricorrenza francescana potesse diventare la celebrazione di un san Francesco diverso da quello della Chiesa cattolica l’aveva già avvertito il segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Gasparri in una nota apparsa su una delle riviste del centenario Frate Francesco. D’atro canto, già nel discorso ai quaresimalisti di Roma, il Papa aveva avvertito di tale pericolo. Tuttavia l’intervento più autorevole del Centenario fu quello di Pio XI: infatti nel 1926, in occasione del settimo centenario della morte, il Pontefice scrisse l’enciclica Rite expiatis in cui, dopo aver elencato le virtù di san Francesco scrive: “Ma specialmente ai nostri giorni […] l’ammirazione verso san Francesco divenne fra i contemporanei smisurata, quantunque non sempre ben intesa. […] Ma gli uni si guardino per lo smoderato amore verso la propria nazione, di vantarlo quasi segno e vessillo di questo acceso amore nazionale, rimpicciolendo il ‘campione cattolico’; gli altri si guardino dal gabellarlo per un precursore e patrono di errori, dal che egli era lontano, quant’altri mai”. Un Santo da non ridurreImportante il richiamo a non ridurre la cattolicità di san Francesco esaltandone l’italianità; questo richiamo è stato ripreso dal card. Raffaele Merry del Val, legato pontificio di Pio XI all’apertura del settimo centenario della morte di san Francesco ad Assisi il 4 ottobre 1926. Infatti la stampa del tempo ricorda che nel pomeriggio della solennità, durante un ricevimento in suo onore nel palazzo comunale alla presenza dell’onorevole Fedele, ministro della Pubblica istruzione e rappresentante del Governo, “nel discorso di ringraziamento il card. Legato ricordando gli onori tributati a Francesco dai Sommi Pontefici, da Innocenzo ed Onorio che ne confermarono la missione sublime, a Pio XI che richiamandone gli esempi di santità a lui aveva rivolto tutti i fedeli, rivendicò alla Chiesa cattolica, di cui è gloria purissima, questo Santo. Ciò però non toglie che sia pure una gloria speciale di Assisi, dell’Umbria, dell’Italia”. Nel 1929 ci fu la firma dei Patti lateranensi, e per ricordare l’importanza di Assisi e san Francesco in tutto ciò l’aula di rappresentaza del palazzo comunale ancora oggi si chiama “sala della Conciliazione” e vi fa bella mostra un ritratto del card. Raffele Merry Del Val. Nel febbraio 1939 Pio XI morì e il suo successore Pio XII nell’autunno dello stesso anno, pochi mesi dopo l’elezione, dichiarò san Francesco patrono d’Italia assieme a santa Caterina da Siena. Una decisione che veniva da lontano e in cui un ruolo non secondario ebbe Pio XI con i suoi richiami a non disgiungere l’amor di patria alla cattolicità, ossia universalità della fede. Una cosa non da poco, se si tiene conto delle ideologie nazionaliste imperanti nel periodo.

AUTORE: Pietro Messa, ofm