La sconvolgente presenza di Dio

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini V Domenica del tempo ordinario - anno C

Tre figure dominano la liturgia di oggi: il profeta Isaia, san Paolo e Simon Pietro. Tutti e tre hanno avuto l’esperienza del Dio che trascende la storia e nello stesso tempo opera in essa. La loro testimonianza pertanto non consiste nello sforzo di dimostrarne l’esistenza attraverso complicati ragionamenti, ma semplicemente raccontando il loro incontro con l’Assoluto. Dio non si trova alla conclusione di dimostrazioni rigorose, ma semplicemente dentro l’esperienza di quell’incontro.

A metà dell’VIII secolo a.C., Gerusalemme stava entrando in un tempo di crisi politica, che la spingeva in braccio alle grandi potenze straniere. Era necessario qualcuno che le ricordasse la sua identità e i suoi destini. Per adempiere a questo compito, Dio suscitò il profeta Isaia, che narrò la sua chiamata nella pagina che oggi la liturgia propone come prima lettura. Fu un’esperienza sconvolgente, che ne capovolse la vita. Dio gli si manifestò in un contesto sacrale, nelle sembianze di un re in trono, di dimensioni cosmiche: le sole frange del mantello riempivano il Tempio. Ancora più in alto stavano in piedi esseri fiammeggianti, che con voci potenti proclamavano a cori alterni che Egli era l’Altro, il Trascendente, Colui che regnava al di sopra di ogni creatura e le riempiva con la Sua gloria (Is 6,3).

Quelle voci avevano la potenza di un terremoto, da scuotere le strutture del Tempio, che intanto si andava riempiendo di fumo. Isaia percepì tanto profondamente la distanza abissale tra sé e il Dio trascendente che credette di morire. Ma Dio gli venne in soccorso e lo rassicurò: uno degli esseri fiammeggianti fu mandato a “purificarlo” con un carbone ardente, simbolo dello Spirito santo, che lo rese capace di stare dinanzi alla Presenza senza morire. Isaia comprese che il senso di quanto accadeva era la ricerca di qualcuno disponibile ad annunciare a Gerusalemme la realtà di Dio. E si offrì: “Eccomi, manda me” (Is 6,8). Fu a partire da quella esperienza che si coinvolgerà nella politica e comunicherà al re e ai grandi del regno il pensiero di Dio sulla situazione storica del momento e sulle scelte che convenivano a Gerusalemme (Is 7,1-16).

Oltre sette secoli più tardi, ad un pescatore di Galilea di nome Simone fu dato di fare un’esperienza altrettanto forte. Non fu in un contesto sacrale, come era avvenuto per Isaia, ma in un banale ambiente di lavoratori della pesca. Niente di più ordinario, allora, che vederli tornare, frustrati, da una notte di lavoro infruttuoso: “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5). Tuttavia mise la sua barca vuota a disposizione di quel rabbi che rischiava di finire in acqua, pressato dalla folla. E Gesù parlò alla gente. Alla fine, quasi a ringraziare Simone del favore, li esortò a prendere il largo e provarci di nuovo. Ogni pescatore sapeva che a quell’ora del giorno non si pesca più niente.

Tuttavia il sanguigno Simone obbedì; chissà perché. Il risultato fu una quantità tale di pesci nelle reti che non riuscivano a tirarle su da soli; ebbero bisogno dell’aiuto dei colleghi di altre barche. Per Simone e i suoi compagni di lavoro fu un colpo: capirono che lì c’era Dio. Simone ebbe paura della Presenza, come era accaduto ad Isaia, e pregò Gesù di allontanarsi. Ma Gesù benevolmente lo rassicurò e gli svelò la vocazione a cui Dio lo chiamava: “Sarai pescatore di uomini”. Simon Pietro avrà bisogno di molto tempo per capirlo; ma poi divenne il principe dei Testimoni di Gesù. Meno di una trentina d’anni più tardi, Paolo di Tarso scriveva una lettera alla comunità cristiana di Corinto, nata dalla sua predicazione qualche anno prima. Corinto era una città cosmopolita, impregnata di cultura ellenistica, che riteneva un assurdo parlare di resurrezione della carne, ritenuta “il carcere dell’anima”, da cui solo la morte poteva liberarla.

La predicazione di Paolo invece era basata proprio sulla risurrezione di Gesù Cristo, primo dei risuscitati. I credenti in Lui lo avrebbero seguito “al suono dell’ultima tromba” (1 Cor 15,52). Si capisce pertanto come alcuni dei neo-convertiti avessero problemi culturali con quella dottrina. In questo contesto, egli scrive le parole che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: “Cristo è risorto il terzo giorno, secondo le Scritture” (1 Cor 15,3). Si trattava di un Evangelo, ossia di una Lieta Notizia, che Paolo stesso aveva loro annunziato, dopo averla a sua volta ricevuta direttamente da Cristo Gesù risuscitato (Gal 1,15-16. Questa sorta di “passamano” i cristiani la chiamano Tradizione). Tutti sanno dell’improvvisa conversione di Saulo sulla via di Damasco. Fu quello l’incontro decisivo con il Signore Gesù. In quell’occasione gli fu rivelato il “Mistero” di Dio in Gesù Cristo, come era avvenuto a Isaia e a Simon Pietro.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi