La Verità abita in mezzo a noi

Mons. Giovanni Benedetti

“Il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi spaventa”, scriveva Blaise Pascal. “Impedite ai bambini di sognare”, prescrive il Talmud. Farsi un’idea di Dio con la pura ragione, come vorrebbe un filosofo, farsi un’immagine di Dio, come farebbe un bambino, è un’impresa sempre tentata, ma con esito deludente. E lo diventerà sempre più con il progredire della scienza, che ci pone di fronte agli spazi e ai tempi sconfinati di questo universo, di cui abitiamo appena un frammento microscopico nello spazio e nel tempo. Basta pensare che l’uomo è una fragile canna, ma una “canna che pensa”, come affermava Pascal, per dargli un equilibrio in questo sconfinato spazio-tempo in cui è immerso? Così tentò Pascal, e ne rimase spaventato. Io penso che il mistero dell’Incarnazione non sia stato mai tanto contemporaneo, quanto con l’apparire della scienza. E più la scienza progredirà nell’immergerci in questo universo sconfinato, più l’uomo, se vuole incontrare Dio, dovrà chinarsi su quel piccolissimo frammento dell’universo che è la Palestina, e incontrarlo nel Verbo che prese carne in Gesù di Nazareth, per venirmi incontro. Creatore dell’universo, diventa suo piccolissimo ospite. Il Verbo si fece carne ed è venuto ad abitare fra noi”: “La Chiesa crede che il suo Signore e Maestro è la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana” (GS 1) e dà così luce e senso a tutta la storia umana. La chiave che apre la nostra mente e le dà il senso del mistero di Dio e della storia umana è appunto il Figlio di Dio che si fa uomo: la Verità si rivela storicamente in un abitante di Nazareth, si fa carne in lui: “Chi vede me, vede il Padre”, dice Gesù (Gv 14,9). “Chi opera la verità viene alla luce”, disse Gesù a Nicodemo, che veniva a trovarlo di notte, come precisa con allusione al buio che era in lui (Gv 3,21).

La verità evangelica deve esser fatta, operata, cioè calata nella realtà particolare e storica. Solo così può esser veramente accolta e compresa. L’assoluto deve diventare concreto, incarnarsi in una casa, in una persona, per realizzarsi. Altrimenti rimarrebbe irrealizzato, astratto in una mente, o scritto in un libro. In questo senso il Verbo incarnato è mediatore fra Dio e gli uomini. Gesù di Nazareth è l’unico esempio che realizza questa mediazione in modo concreto e storico. Per questo egli è l’unico mediatore non solo fra l’uomo e Dio, ma anche fra uomo e uomo, fra l’universo e l’uomo. “Non c’è in nessun altro salvezza”, afferma solennemente san Pietro davanti al Sinedrio. “Salvezza” è una parola molto in uso fra noi. Ma cosa intendiamo dire con tale espressione? Per farla meglio capire alla nostra gente, potremmo identificarla con la vita. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”, dice Gesù (Gv 10,10). Ma “a che serve vivere bene, se non si vive per sempre?”, si domandava sant’Agostino. Vivere venti anni, come viverne cento, la differenza incide poco sulla sostanza della vita. E quando la vita si concepisce a frammenti di anni se ne perde il senso, il valore. Da questa concezione angusta della vita dipende anche quel tragico gesto che è il suicidio. Si gioca con un frammento della vita. È enormemente impegnativa, invece, una vita immortale!

AUTORE: Giovanni Benedetti, Vescovo emerito di Foligno