L’amore vale più del rito

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXXI Domenica del tempo ordinario - anno B

Ordinariamente l’incontro tra Gesù e gli scribi è caratterizzato da accenti polemici, talvolta molto aspri; stranamente oggi l’incontro fra Gesù e uno di loro avviene fra approvazioni reciproche. Gli scribi, detti anche dottori della Legge, equivalevano a quelli che oggi chiamiamo “intellettuali”. Quello del Vangelo di oggi dirà a Gesù di essere assolutamente d’accordo con la risposta avuta; Gesù di rimando lo assicura che lui è veramente vicino al regno di Dio.

Il dialogo, nella relazione che ne fa Marco, è ridotto all’osso; pertanto va osservato attentamente nei particolari. Questi domanda: “Quale è il primo di tutti i comandamenti?”. Domanda frequente, su cui si dibatteva nei circoli accademici. Non ci si chiedeva tanto quale precetto si dovesse mettere in cima alla lista, ma piuttosto quale fosse il nocciolo della Legge, il suo punto più alto, la chiave interpretativa dell’intera rivelazione di Dio. Gesù risponde citando alla lettera il passo dal libro del Deuteronomio (Dt 6,4) che la liturgia di oggi propone come prima lettura e che comincia con “Ascolta, Israele!”.

Si tratta forse del passo più noto di tutto l’Antico Testamento; ogni ebreo credente lo ripete, come formula di preghiera, più volte al giorno. Con questa formula il credente confessa l’unicità di Dio, in polemica con il politeismo pagano, praticamente universale in quell’epoca. Il richiamo all’ascolto è costante nella predicazione dei Profeti, fino a diventare una sorta di leitmotiv nel libro del Deuteronomio. Nel Nuovo Testamento raggiunge il vertice in una affermazione di Paolo: “La fede dipende dall’ascolto della predicazione” (Rm 10,17). Gesù continua a citare: “Amerai il Signore tuo Dio…”. Il verbo amare, nel nostro modo consueto di intendere, ha a che fare in prevalenza con i sentimenti. È classica la rima “cuore/amore”. Non così negli antichi linguaggi semitici, dove il significato fondamentale è vicino a “decidere, scegliere”. Pertanto il precetto di amare Dio non richiama tanto un sentimento, quanto una “decisione”.

Come dire: scegli di stare dalla parte di Dio, riconoscendolo come il tuo riferimento assoluto; cerca quale sia la Sua logica, il Suo pensiero su di te. A tale scelta radicale alludeva Gesù anche quella volta che disse: “Non potete rendere culto a Dio e al denaro”. Scegli e decidi “con tutto il tuo cuore, la tua anima, le tue forze”. Anche in queste espressioni, il sentire del mondo biblico si differenzia dal nostro. Dire “cuore” equivale a dire le tue profondità; quel nucleo nascosto dove ti identifichi con te stesso, e non puoi fingere. L’“anima” è la tua vitalità; quel soffio interiore che ti spinge là dove speri di trovare una pienezza. “Le tue forze”: cioè quanto è in tuo possesso, le tue ricchezze.

Gesù continua ancora, affermando che c’è un secondo comandamento, che è simile al primo. “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. L’espressione è presa integralmente dal libro del Levitico (Lv 19,28). Nella lingua originale, c’è una forza maggiore dell’italiano. Letteralmente potremmo tradurre: ama il tuo prossimo, perché lui è come te; tu e lui siete la stessa cosa. Lo scriba non può non trovarsi d’accordo con Gesù, che ha citato le Scritture sante e si trovava sulla stessa linea della tradizione profetica. Ma egli fa un passo avanti affermando qualcosa su cui non tutti concordavano: “Amare Dio… e il prossimo come se stessi vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”.

Per il giudaismo ufficiale del Tempio, il sacrificio e l’olocausto erano il massimo che si potesse offrire a Dio. Per la verità gli antichi profeti non avevano predicato così. Secondo il profeta Osea (Os 6,6) Dio preferisce l’amore agli olocausti e ai sacrifici. La stessa cosa affermavano altri passi importanti dell’Antico Testamento. Ma poi era prevalsa l’opinione che non c’era cosa più importante dei riti del Tempio. A questa tendenza molti in Israele si opposero: tra essi Gesù e lo scriba con cui oggi abbiamo fatto conoscenza. L’approvazione di Gesù alle parole dello scriba ci spinge a riflettere su alcuni comportamenti nostri e delle nostre comunità.

Non è forse vero che spesso ci sentiamo a posto con Dio perché andiamo alla messa la domenica, anche se poi a casa o nella professione o per la strada ci comportiamo in modo totalmente incoerente? È come se con la presenza ai riti domenicali avessimo pagato a Dio quanto dovevamo; il resto lo consideriamo optional. Questo è molto vicino a quelli che si sentivano giusti perché offrivano sacrifici nel Tempio. Concezione mercantile della religione, a somiglianza degli antichi pagani, che offrivano sacrifici agli dèi sperando di attirarsene la benevolenza: io ti offro qualcosa che mi costa, e tu in cambio mi assicuri il tuo aiuto e la tua protezione. Il cristianesimo è altra cosa: Dio ci ama gratuitamente, e niente altro chiede se non di riconoscerLo e considerare il prossimo pari a se stessi.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi