Le piccole regioni del Centro Italia costrette ad unirsi per sopravvivere

Promosso da Nemetria un colloquio tra specialisti sul futuro dell'Umbria

Il destino dell’Umbria è sempre in bilico? Qualche anno fa la Fondazione Agnelli individuò nella formazione di macroregioni la possibilità di aggregare territori ed istituzioni per venire incontro anche alle aree marginali. L’Umbria veniva scomposta a favore delle regioni confinanti. Ora il centro di formazione Nemetria, nel suo “primo colloquio di Assisi”, lancia una proposta-provocazione. In sostanza le piccole regioni (Umbria, Marche, Abruzzo e Molise) non ce la fanno ad attivare nuovo sviluppo, anzi si va verso una progressiva marcia indietro. Dunque “occorre costruire-è stato detto nel corso del convegno – un processo di progressiva aggregazione di interessi e di risorse tra le aree che ne fanno parte”. Che significa? Bisogna creare il terzo polo territoriale dell’Italia centrale. E’ una macroregione? No. Vanno mantenute le specificità, la forza e l’autonomia di ciascuna zona ma nella direzione di evitare la marginalizzazione di questi territori rispetto ad altre realtà dello stesso centro Italia (l’area romana e quella fiorentino-toscana). Per il Lazio si rileva la capacità di attrazione dell’area metropolitana della capitale con la capacità di contenere punte di eccellenza in vari settori: ricerca, formazione, servizi avanzati, cultura. Per la Toscana si fa leva sul polo urbano fiorentino, con caratteristiche diverse e più limitate rispetto a Roma. Le aree del terzo polo sono strutturalmente troppo piccole e, pur tra le significative eccezioni, rischiano la dispersione e la non piena valorizzazione delle proprie potenzialità. Il prof. Luca Diotallevi, professore di sociologia dell’Università di Chieti, ricordando come nel nostro paese “non sia stata mai posta la questione dell’Italia centrale” ha presentato l’ipotesi nuova che interessa le 4 regioni, accomunate dalla difficoltà di diventare protagonisti di una fase effettiva di federalismo, viste le ridotte dimensioni. E non pensano neanche ad aggregarsi con le grandi regioni perché probabilmente destinate ad essere solo una zona di periferia. Ecco allora la provocazione, rivolta alle élites sociali (economiche, sociali, politiche, intellettuali e religiose): ragionare di poliarchia. Cos’è? In sintesi è l’accentuazione della tendenza alla specializzazione funzionale delle istituzioni sociali, è la valorizzazione dei modi di rappresentanza degli interessi e di imputabilità delle responsabilità proprie a ciascun ambito funzionale. Il cammino verso la poliarchia – è stato ricordato – non è un cammino che può essere guidato da un piccolo gruppo ma è un’impresa possibile solo ad una larga schieradi associazioni diverse e di interessi diversi”. Nel corso del convegno il prof. Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis e presidente di Nemetria, ha sottolineato l’incapacità di fare sistema in Italia centrale che “è la culla del sistema italiano, della piccola impresa, del localismo, del policentrismo, delle medie città. E tutto quello che ha fatto l’Italia negli ultimi anni è nato, cresciuto ed ha avuto come punto di riferimento l’Italia centrale. Ma non riesce adessere un sistema come il nord-ovest o il nord-est. Diverse possono essere le ragioni di questa situazione: le realtà sono troppo piccole, la congiuntura internazionale ha trovato spiazzate le aziende che non hanno saputo reagire, il mancato sostegno delle banche ma c’è anche una sorta di ‘nanismo’ imprenditoriale in cui domina l’egoismo ed il localismo”. Il ‘piccolo’ oggi funziona solo se è sottoposto ad un processo forte di modernizzazione e di integrazione. Altrimenti rischia di essere più un fattore di debolezza che di forza. Altra nota dolente per l’Italia centrale, e per l’Umbria, sono le banche, sempre di più “colonizzate” dai grandi gruppi. Per il presidente emerito della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre, la globalizzazione” cambia i punti di riferimento”. Ma ha anche ribadito la capacità del “piccolo” d’importanza del ‘piccolo” di adeguarsi “connettendosi con la rete – sia con il ‘piccolo’ ma anche con le grandi aziende”. Baldassarre ha parlato però di “debolezza culturale” in questi territori e della difficoltà della ricerca che “sta morendo, con gli atenei destinati alla fine perchè non adeguati alle realtà locali”.

AUTORE: E.Q.