Le responsabilità dei Pastori

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XVI Domenica del tempo ordinario - anno B

Il tema conduttore della liturgia di questa domenica è ispirato dalla frase conclusiva del Vangelo: Gesù “vide molta folla, si commosse… perché erano come pecore senza pastore”. Le immagini allegoriche del pastore e del gregge sono frequenti nella liturgia, perché frequenti nelle sante Scritture. Gregge e pastore: l’accoppiata descrive anzitutto un rapporto, che allude a quello fra il Signore e il suo popolo. I primi ascoltatori del Vangelo di Marco ne avevano esperienza; sapevano cioè che un gregge senza pastore non sa dove andare, si smarrisce, si disperde; cessa di essere un gruppo; finiranno preda di ladri, di profittatori, di lupi.

Così è di una comunità priva di guida. Su questa allegoria si espande oggi il profeta Geremia, nella prima lettura, con riferimento soprattutto ai pastori. Contro di loro, a nome di Dio, scaglia violente invettive. La traduzione italiana comincia con la parola “guai!”, che richiama una minaccia per il futuro. Il corrispondente ebraico è piuttosto un’esclamazione dolorosa da parte di Dio, che vede il suo amato gregge abbandonato, sfruttato, disperso. Ciò che lo addolora è che i pastori “fanno perire il gregge, lo disperdono, non se ne occupano”. La punizione che li colpirà sarà corrispondente al loro peccato: siccome non si sono occupati del gregge, il Signore occuperà di loro e della “malvagità delle loro azioni”. A questa sentenza di punizione per i pastori, ne segue una di promessa per il gregge: Dio stesso si incaricherà di radunarle, di farle tornare ai ricchi pascoli di una volta, dove saranno feconde e si moltiplicheranno.

Il Salmo responsoriale riprenderà le immagini, i motivi, che saranno modulati in termini poetici. I nuovi pastori saranno “costituiti” personalmente da Lui, cosicché le pecore non dovranno più “temere e sgomentarsi”. Segue una profezia messianica: all’orizzonte appare un Pastore, un discendente di Davide, che salverà il popolo del Signore, lo farà vivere in sicurezza e stabilità. Per i cristiani l’allusione è chiara: Gesù sarà il Pastore, “vero re, saggio, che eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra”. Ma il richiamo a Davide è ricco anche di significati antichi: prima di diventare re, egli era stato umile pastorello del gregge di suo padre. Fu preso dal suo mestiere e fatto Pastore del popolo, senza alcun suo merito precedente.

Fuori metafora: chi sono i pastori inetti e malvagi, di cui parla il profeta e alla cui assenza farà riferimento Gesù? Nell’antichità semitica, era chiamato pastore chiunque avesse una responsabilità di guida. Erano certamente le autorità religiose, ma anche quelle politiche, amministrative, giudiziarie; quelle culturali. Nella società teocratica mediorientale, queste figure in pratica si sovrapponevano. Nella realtà sociale di oggi, esse sono distinte. C’è una gerarchia di responsabilità? Dio invita ciascuno ad assumersi le proprie.

Il Vangelo comprende due parti: la conclusione della missione dei Dodici, di cui si è ascoltato domenica scorsa, e la preparazione del racconto della moltiplicazione dei pani, che ascolteremo domenica prossima. I Dodici dunque tornano, si radunano intorno a Gesù e raccontano “ciò che hanno fatto e insegnato”. Questa notazione dell’evangelista lascia trasparire l’uso della Chiesa al tempo in cui egli componeva il suo scritto: un piccolo gruppo era inviato in “missione” dalla comunità, per un tempo determinato. Al ritorno la comunità si radunava e ascoltava quanto il Signore aveva operato per mezzo loro. Tutti se ne sentivano partecipi. Era anche una sorta di verifica. Questa prassi del resto, è ripetutamente attestata anche nel libro degli Atti degli apostoli. Dovremmo renderla consueta anche nella Chiesa di oggi.

Poi il Maestro li invita ad andare insieme a Lui a riposarsi un po’: avrebbero fatto magari anche uno spuntino, visto che l’andirivieni della folla non gli permetteva nemmeno di mangiare: nessuno è una macchina instancabile. Detto, fatto: salgono in barca e puntano verso una zona disabitata e forse incolta, pensando di dribblare la folla. Ma le gente si mostrò più furba di loro: qualcuno conosceva delle scorciatoie e, quando la barca giunse dall’altra parte, trovarono che lo stavano aspettando. Al vederli così, Gesù “si commosse”.

Il corrispondente termine greco ha a che fare con le viscere. Forse in italiano dovremmo dire che qualcosa gli si rimescolò dentro dalla pena, al vederli senza guida, che non sapevano da che parte andare, che cosa fare della propria vita. Certamente erano anche a stomaco vuoto. Eppure Gesù non comincia a moltiplicare il pane; questo verrà dopo; prima “si mise ad insegnare loro molte cose”. Il malessere non ha inizio dalla crisi economica, ma dal non conoscere che senso abbiano le cose, dove vada la vita, in che direzione giri quella ruota di cui tutti parlano.

AUTORE: Bruno Pennacchini, Esegeta, già docente all’Ita di Assisi