Le tre domande che la Bibbia ci costringe a farci a Lampedusa

Un momento della celebrazione
Un momento della celebrazione

“Immigrati morti in mare – ha detto Papa Francesco l’8 luglio durante l’omelia al campo sportivo ‘Arena’ in località Salina -, da quelle barche che, invece di essere una via di speranza, sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore! Prima però – ha aggiunto – vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà. Grazie!… Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!”. Ha poi offerto alcune riflessioni alla luce della Parola di Dio del giorno. “‘Adamo, dove sei?’ è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. E Adamo è un uomo disorientato, che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia, e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: ‘Caino, dov’è tuo fratello?’. Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta a una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello… Tanti di noi (mi includo anch’io) siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito… ‘Dov’è il tuo fratello?’. Chi è il responsabile di questo sangue?… Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?’… La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla; sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza… Ma io – ha aggiunto – vorrei che ci ponessimo una terza domanda: ‘Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?’. Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del patire con: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere”.

 

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