Lo spirito di Assisi, nostra preziosa eredità

Il 29 ottobre si è tenuta nella città serafica una manifestazione commemorativa delle due Giornate di preghiera interreligiosa per la pace volute da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il Vescovo di Assisi intende farne nascere un evento a cadenza annuale
Assisi 27 ottobre 2011, Giornata di riflessone , dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo

Un anno fa, il 27 ottobre 2011, ad Assisi si è svolto il pellegrinaggio di Benedetto XVI insieme a numerosi fratelli cristiani, a rappresentanti delle religioni mondiali, e, per la prima volta, anche insieme a intellettuali e studiosi rappresentanti della cultura laica e dei non credenti. Il tema era “Pellegrini della verità e della pace”.

Con questa iniziativa l’attuale Pontefice aveva inteso riprendere la prima Giornata di preghiera delle religioni per la pace, voluta da Giovanni Paolo II nel 1986 e celebrarne il 25° anniversario.

Ora il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, in perfetto accordo con le famiglie francescane ha inteso ricordare questa data e farne un appuntamento annuale anche per il futuro. L’evento dal quale è scaturito quel modello di comportamento tra nazioni e religioni diverse, denominato dal papa Giovanni Palo II “lo spirito di Assisi”, secondo il vescovo Sorrentino, non deve essere dimenticato nel luogo dove è sorto mentre viene ricordato e celebrato in tutte la parti del mondo. È qui in Assisi che è nato e qui deve continuamente alimentarsi come alla sorgente, che è san Francesco e lo spirito francescano che in Assisi trova la sua più antica e radicata presenza.

Da quest’anno, pertanto, secondo la proposta del vescovo della Chiesa che fu madre di Francesco in pieno accordo con coloro che ne sono i seguaci e figli, tutti i francescani, il 27 ottobre costituirà una data e un appuntamento che segnerà il futuro della Chiesa e della città di Assisi. Inizierà così una nuova serie di celebrazioni e riflessioni sullo “spirito di Assisi” che porterà ad approfondimenti e attualizzazioni tendenti a sviluppare tutto il potenziale religioso e umano che potrà segnare e arricchire le relazioni tra uomini e popoli di ogni Continente.

La decisione pastorale più che opportuna ha avuto una felice e sentita risonanza nelle parole di tutti i rappresentanti della grande famiglia francescana, con le sue componenti, i Minori, Conventuali, Cappuccini, Terzo ordine regolare, Terzo ordine secolare, che si sono espressi pubblicamente e con impegnative dichiarazioni, raccontando anche esperienze significative di incontro e dialogo con personaggi di confessioni cristiane diverse dalla cattolica e di varie religioni ricordando, tra l’altro, il recente incontro con due monaci del Monte Athos al sacro Convento.

All’iniziativa del 29 scorso sono stati interessati anche l’Istituto teologico e l’Istituto superiore di Scienze religiose, oltre alla città di Assisi e a tutti gli amanti della pace, ammiratori e imitatori di san Francesco. Senza un riferimento a san Francesco e alla spiritualità francescana lo spirito di Assisi rischierebbe di snaturarsi e di perdere il suo vero significato.

Questo è quanto è venuto fuori dagli interventi che hanno preceduto la relazione magistrale del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, mons Gerhard Mueller.

Ha bene espresso il senso dell’incontro di lunedì 29 ottobre il custode del Sacro Convento padre Giuseppe Piemontese che ha accolto e salutato i convenuti nella Sala papale del Sacro Convento: “Siamo qui riuniti – ha detto – non solo a rendere grazie al Signore per quanto vissuto lo scorso anno, ma per interrogarci nuovamente sulla consegna dello ‘spirito di Assisi’ che è stato affidato alla Chiesa di Assisi e alle famiglie francescane”.

La consegna dello “spirito di Assisi” – ha aggiunto mons. Elio Bromuri, invitato a fare l’intervento introduttivo – è stata consegnata anche all’Istituto teologico, ai discepoli e docenti, chiamati a scoprire e approfondire il significato teologico e pastorale di ciò che si intende con questa espressione, ponendo l’accento sulla dimensione conoscitiva relativa ai “segni dei tempi”. Gli incontri di riflessione e preghiera sono caricati di molti significati che hanno una rilevanza anche teologica, quella di mostrare al mondo in generale, ai credenti e non credenti, un volto e un nome di Dio, santo e pacifico che non si può comporre con una qualsiasi ragione di violenza e di guerra. Il nome di Dio è nome di pace, che non può essere usato a pretesto per giustificare la violenza e la guerra.

La manifestazione si è conclusa con un pellegrinaggio dalla Basilica superiore alla tomba di san Francesco, dove è stata recitata la Preghiera semplice, e impartita la benedizione di mons. Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (incarico che – si ricorderà – era stato di Joseph Ratzinger prima di salire al Soglio pontificio).

La parte più attesa della giornata era appunto la relazione di mons. Müller, che riassumiamo qui sotto. Una relazione ricca e complessa che sarà pubblicata integrale sul sito internet della diocesi di Assisi, intesa a fare il punto in particolare sul dialogo interreligioso, chiarendone obiettivi e modalità.

Gerhard Muller
Le parole di mons. Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

“Il dialogo può cominciare solo dalla verità, che è Cristo”

“Per un cristiano – ha detto mons. Gerhard Müller all’incontro del 29 ottobre – il rispetto della religiosità altrui non significa, e non potrebbe significare, una rinuncia alla propria fede, alla propria identità e alla verità definitiva ricevuta, tramite la Chiesa, nella rivelazione di Dio. Anzi – ha aggiunto – la Chiesa può proporre un dialogo vero solo a partire della verità su se stessa. Sarebbe menzognero nascondere la fede autentica ed abbandonare l’unicità della rivelazione e della incarnazione del Figlio di Dio, in nome di un dialogo politically correct. È giustificato e corretto solamente un dialogo condotto nella verità e nell’amore. Perciò la nostra fede, indirizzata verso Cristo, e la verità su noi stessi devono sempre avere un posto privilegiato in ogni occasione di dialogo dei cristiani con coloro che non lo sono”. Pertanto, “il dialogo con i seguaci delle religioni non-cristiane – ha osservato il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – è una forma di testimonianza della fede, che dev’essere sempre rispettosa verso l’altro e la dignità della sua coscienza. È un dialogo da praticare sempre nella verità, che include ed accetta la missione, ricevuta da Gesù Cristo, di predicare il Vangelo fino alla fine dei tempi e agli estremi confini della terra. La dimensione missionaria della Chiesa non può essere sospesa nel dialogo interreligioso. È così che il dialogo diviene fruttuoso”. Ciò, ovviamente, non significa che il cristiano sia “un possessore della verità”. Ne è piuttosto un “testimone”. Nel suo lungo e articolato intervento, mons. Müller ha delineato anche lo scopo del dialogo che “non è il dialogo in sé stesso” quanto “la conoscenza della verità. Il dialogo è un metodo che aiuta nel cammino verso la verità”. E ha aggiunto: “A volte l’uomo si chiude in posizioni relativistiche o in una semplificante religiosità naturale per sentirsi libero dalle esigenze della verità. Il relativismo preferisce il dubbio permanente per non lasciarsi obbligare dalla certezza della verità. Così, le religioni naturali possono offrire qualche risposta alle domande fondamentali dell’uomo, placare qualche inquietudine intellettuale e spirituale ed offrire un certo orizzonte di vita, sebbene talvolta esonerino dall’obbligo di cercare la verità nella sua pienezza e di informare la coscienza ad essa. Il dialogo interreligioso serve dunque a provocare l’uomo perché si incammini con coraggio nella ricerca della verità e si apra con fiducia alle sue esigenze”. Ad Assisi, i leader delle religioni mondiali si erano ritrovati su invito di Giovanni Paolo II per pregare per la pace. “Non fu – ha ricordato mons. Muller – una preghiera comune, che sarebbe manifestazione di sincretismo, ma una preghiera pronunciata simultaneamente. La pace – ha aggiunto – è un bene stimato da tutti. Tutta l’umanità aspira alla pace. Tuttavia la pace, essendo così cagionevole di salute, richiede una cura costante e intensiva. Essa, come ci insegna la tradizione della fede, è frutto della giustizia ed ancor più della carità. Le negoziazioni politiche per la pace, pur necessarie, possono solo risolvere alcuni problemi, stabilendo accordi e convenzioni. La pace autentica, che supera l’ingiustizia, che ama la verità e si apre all’universale solidarietà, è un dono che viene dall’alto ed esige un’apertura a Dio. Essa si nutre di un rapporto vivo con Dio e di un rapporto con un Dio vivo e presente in mezzo a noi”.