L’Umbria scivola sempre più verso Sud

Esce il Rapporto economico-sociale dell’Aur. Per inverire il declino bisogna valorizzare le nostre preziose risorse: l’arte, il paesaggio, la tradizione manifatturiera. Più facile con la macroregione?

Le scosse del terremoto hanno interrotto mercoledì 18 gennaio a palazzo Cesaroni l’analisi e discussione del corposo – quasi 500 pagine – Rapporto economico e sociale 2016-17 dell’Aur (Agenzia Umbria ricerche). Un volume denso di numeri e tabelle, da cui risulta che nella cosiddetta “Italia di mezzo” la nostra regione è messa molto peggio delle confinanti Toscana e Marche, con parametri economici che sempre di più l’avvicinano all’Italia del Sud.

Prima dell’interruzione dei lavori c’era stato comunque il tempo per segnalare anche alcuni fattori positivi che possono alimentare il motore per uscire da questo tunnel, tra i quali la buona “tenuta sociale” in momenti pur così difficili.

La benzina di questo motore è soprattutto la valorizzazione, con servizi e innovazione tecnologica e digitale, del patrimonio artistico e paesaggistico dell’Umbria e della sua tradizione manifatturiera; impiegando i nostri giovani, che hanno un elevato livello di istruzione, superiore alla media nazionale, grazie alle due Università e altri prestigiosi enti formativi pubblici e privati. Ma il mercato del lavoro locale – come ha detto la ricercatrice Elisabetta Tondini – “privilegia strutturalmente le qualifiche più basse”, in un “sistema di basse remunerazioni, e frequenti e diffuse forme di sottoccupazione”, con “un capitale umano sotto-inquadrato”.

Una Regione più due

L’Umbria tra Toscana e Marche è il titolo del Rapporto, che non si limita dunque ad analizzare le dinamiche della nostra regione. Secondo la presidente Catiuscia Marini, l’assessore regionale Antonio Bartolini e la presidente del Consiglio regionale, Donatella Porzi, per la crescita sociale e economica dell’Umbria è infatti molto importante la collaborazione e cooperazione avviata con Toscana e Marche per un migliore impiego delle risorse.

La maggioranza degli umbri però è contraria alle macroregioni. Il Rapporto contiene infatti anche un’indagine condotta tra 1.566 persone, dalla quale risulta che per il 55% degli interpellati l’Umbria avrebbe più da perdere che da guadagnare da una riforma di questo tipo. “La nostra politica – ha spiegato la Marini – è quella di adottare politiche integrate, così come stiamo già facendo con la Centrale unica degli acquisti in sanità e la creazione di un unico ufficio a Bruxelles che segua le varie questioni per tutte e tre le Regioni”.

Per Donatella Porzi “quella della ridefinizione del ruolo, delle funzioni e degli assetti territoriali delle Regioni è ormai una questione che, posta da tempo da esperti e analisti di tematiche istituzionali, si è trasferita ormai nel confronto politico-istituzionale dell’Umbria e delle Regioni contermini di Toscana e Marche”.

“Ricominciare a ragionare sull’Italia mediana alla luce delle analisi puntuali contenute nel Rapporto – ha osservato l’assessore Bartolini – consente di affrontare con maggiore consapevolezza le complesse questioni della gestione ottimale dei territori e dei servizi per il cittadino e per il mondo produttivo”. A condizione però che questo percorso verso la cosiddetta macroregione “non sia un progetto calato dall’alto” ha sottolineato la presidente del Consiglio regionale. “Le fusioni a freddo infatti – ha aggiunto Bartolini – non funzionano e non servono a niente”.

Economia “pubblica”

L’ Umbria – ha detto ancora la ricercatrice Elisabetta Tondini – ha imboccato il tunnel della crisi più indebolita delle altre due regioni dell’“Italia di mezzo”, e nel declino degli ultimi anni è la più sofferente. Dal 2007 al 2015 il Pil reale è calato mediamente del 2,1% all’anno (1,5% nelle Marche; 0,7% in Toscana; 1% in Italia). La nostra regione ha visto precipitare i valori della sua economia, toccando nel 2014 i minimi storici. Produttività ed export non hanno tenuto il passo rispetto alle regioni confinanti e oggi – ha aggiunto la ricercatrice – l’Umbria “presenta uno dei più bassi tassi di industrializzazione del Centro-Nord”.

A produrre il maggior reddito non è l’industria ma la pubblica amministrazione. Insomma, il reddito degli umbri deriva sempre più dagli stipendi del pubblico impiego e non delle aziende private. Nel frattempo disoccupazione e povertà hanno cominciato a erodere il grado di benessere, tanto che nel 2015 quasi 3 umbri su 10 erano a rischio povertà ed esclusione sociale.

Per la ricercatrice, le difficoltà del sistema economico umbro “potrebbero accrescersi nei prossimi anni” poiché i motori di sviluppo sono sempre di più i “grandi contesti urbani quali potenti generatori di reti e dinamici veicoli di conoscenza”.

La grande bellezza

In Umbria non ci sono le grandi città, ma “un pregevole patrimonio artistico e paesaggistico” e una “importante tradizione manifatturiera”. Sono queste le risorse di cui dispone, e su queste deve puntare. Con però – ha detto Tondini – “una industria manifatturiera sempre meno basata sulla fisicità e declinata sulle coordinate imposte dalla quarta rivoluzione industriale” e “una gestione della risorsa culturale, ove finalizzata alla fruizione turistica, imperniata su innovazione tecnologica e digitale”.

Due terzi degli umbri – ha ricordato Mauro Casavecchia, un altro degli autori del Rapporto – vivono nei territori della “grande bellezza”, dove “la ricca dotazione di patrimonio culturale e paesaggistico si coniuga al meglio con le tradizioni artigianali e imprenditoriali legate alla cultura, le industrie creative, i prodotti tipici e tradizionali. Una grande poptenzialità in grado di generare crescenti impatti economici, diretti e indiretti, a patto di migliorarne la capacità di valorizzazione”.

Nel Rapporto un altro ricercatore, Andrea Orlandi, sottolinea che nella gestione del patrimonio storico edilizio “l’Umbria è la regione italiana più virtuosa, con l’85% degli edifici storici in buono stato di conservazione” (in base a dati del 2011, quindi prima dei gravi danni provocati dall’ultimo terremoto). Due Comuni su tre hanno un museo e la “partecipazione culturale è superiore alla media italiana”.

Sfiducia nella politica

L’ultima legge di riforma del bilancio dello Stato ha introdotto i Bes (indicatori di benessere equo sostenibile) tra gli strumenti di programazione e valutazione delle politiche pubbliche. Esaminando i dati degli ultimi anni – rileva Enza Galluzzo nel Rapporto – “l’Umbria si colloca a cavallo della linea mediana della classifica delle regioni, anche se in due ambiti, istruzione e paesaggio, riesce a raggiungere posizioni di preminenza, superando la Toscana e il Settentrione”.

Si colloca invece al di sotto della media italiana per le condizioni minime economiche e la sicurezza. Inoltre si segnala una diffusa sfiducia, comune però anche alle altre regioni, verso le istituzioni: il sistema partitico, quello politico e giudiziario riscuotono dai cittadini un giudizio decisamente basso. Fanno eccezione le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, gli unici – riferisce il ricercatore – a riportare una valutazione positiva.

I santi testimonial

Il rapporto Aur dedica un capitolo anche al “senso di appartenenza degli umbri” con una indagine di due docenti dell’Università di Perugia, Cecilia Cristofori e Jacopo Bernardini, che hanno chiesto a 1.556 residenti quale sia il personaggio che meglio rappresenta l’Umbria. La maggioranza ha indicato san Francesco, e quasi il 70% dei “votanti” ha individuato in personaggi che appartengono alla sfera religiosa i migliori testimonial della regione. Si tratta di santa Rita, santa Chiara, sant’Ubaldo, san Benedetto e san Valentino.

Nei posti più alti della classifica ci sono anche il Perugino, l’imprenditore Brunello Cucinelli e l’attrice Monica Bellucci. Tra i 143 personaggi indicati ci sono poi (ma con pochi voti) alcuni esponenti politici. In testa a questa particolare classifica, ai primi posti il sindaco di Perugia Andrea Romizi, l’ex sindaco di Terni Gianfranco Ciaurro e la presidente della Regione Catiuscia Marini.

 

AUTORE: Enzo Ferrini