L’umile carro trionfale del Re

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Domenica delle Palme - anno B

La liturgia della domenica delle Palme presenta due aspetti: la memoria dei festeggiamenti popolari in onore di Gesù che si avvicina a Gerusalemme; e l’ingresso della Chiesa nei giorni decisivi della Pasqua, mistero di morte e risurrezione. La lettura del Vangelo, che ne caratterizza la prima parte, è il racconto/catechesi dell’accoglienza fatta a Gesù, re umile e mansueto, da parte delle folle pellegrine. Con questa narrazione Marco dà inizio alla quinta parte del suo Vangelo (Mc 11,1-12,44), nella quale descrive il soggiorno di Gesù in Gerusalemme e i conflitti con le autorità, come premessa immediata alla sua passione. Il carattere catechetico del racconto si riconosce dal riferimento costante alle antiche Scritture sante. Colpiscono anche le numerose, dettagliate indicazioni dei luoghi, i dialoghi realistici. Non bisogna lasciarsi sfuggire alcuni particolari fortemente evocativi: l’asinello legato, che scioglieranno per portare a Gesù, non è mai stato cavalcato da alcuno. Neppure quelli che hanno l’incarico di condurlo lo cavalcheranno. Alla domanda dei passanti, che chiedono conto del gesto, rispondono: “Ne ha bisogno il suo padrone” (così il testo greco). Nell’antichità semitica, il re era considerato padrone di tutto, anche degli animali domestici. Si tratta dunque di una cavalcatura regale, su cui i discepoli pongono i propri mantelli, in sostituzione dei finimenti. È scritto anche che Gesù sedette sull’asino, non che lo cavalcò; così appunto avveniva per i re.

L’ingresso a Gerusalemme si collega con la guarigione dei ciechi di Gerico, avvenuta subito prima della salita verso la città santa, e con il movimento di folla che l’aveva accompagnato (Mc 10,46-52). Marco racconta che i due ciechi guariti lo seguirono; nulla dice della folla presente al miracolo; non è improbabile tuttavia che lo abbiano seguito perché entusiasmati da quanto avevano visto. Arrivati in vista di Gerusalemme, il passaparola deve aver fatto lievitare la massa. La scena descritta avviene prima dell’ingresso in città. Se ne possono distinguere due parti: una riguardante i due discepoli che vanno a prendere l’asinello e preparano il corteo regale; l’altra riguarda l’accoglienza entusiastica delle folle. Il racconto è intessuto sulla trama di passi dell’Antico Testamento.

L’ordine di andare a sciogliere l’asino rimanda a alla figura di Giuda, quarto figlio di Giacobbe, antenato del Messia, che il vecchio patriarca benedice prima di morire. Di lui canta così: “Egli lega il suo asino alla vite, a scelto vitigno il suo puledro” (Gn 49,11). È come dire che l’atteso Messia realizzerà un’èra di pace totale, in cui perfino l’asino rispetterà il germoglio della vite, di cui peraltro è molto goloso. Il racconto è collegato inoltre alla profezia di Zaccaria, sebbene non citata esplicitamente; tutto quello che sta avvenendo ne è il compimento: “Rallegrati, città di Sion; acclama, Gerusalemme, ecco giunge il tuo re giusto, vittorioso, umile; cavalca un asino, un puledro di asina” (Zc 9,9). Vittorioso e umile.

Cosa insolita: un vincitore arriva in genere con i segni della sua gloria. L’asino non è un animale da guerra o da parata, ma da lavoro, una cavalcatura senza pretese, usata anche dagli antichi Giudici di Israele. I re o i principi cavalcavano cavalli. Il profeta descrive il re di Gerusalemme che ritorna vittorioso non in forza di un potente esercito, ma perché al suo fianco cavalcava la Giustizia. Non è stata la vittoria di un potere aggressivo, ma, paradossalmente, della mansuetudine. L’antica profezia si compie in Gesù, che entra nella capitale per istaurare un’èra di pace e di splendore.

Questa fu anche la percezione della folla festante, che stende a terra i mantelli al suo passaggio, mentre lo acclama con il saluto messianico: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Mc 11,10-11). Saluto che è reminiscenza di quanto era avvenuto anticamente. Narra, infatti, il Secondo libro dei re che quando gli ufficiali dell’esercito d’Israele seppero che Jehu, loro collega, era stato unto re di Israele, “presero in fretta i propri vestiti e li stesero sotto di lui… e gridarono: Jehu è re!” (2 Re 13). Gesù entrava in Gerusalemme per prendere il potere, ma in modo totalmente differente da quanto la gente si aspettava. Il Figlio di Dio prenderà il potere mettendosi al rango di vittima. Quel potere però sarà il solo capace di vincere ogni violenza, di cui gli uomini sono vittime da sempre. L’Amore è più forte della morte (Ct 8,6). Questa è la sola parola-chiave che permette di capire il senso della passione del Signore. È accettando di diventare vittima che Gesù vince il male e la violenza. Perdonando il male che gli facciamo, Gesù dimostra che c’è in lui un amore più forte di ogni violenza omicida.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi