“Maestro, chi ha peccato…?”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia IV Domenica di Quaresima - anno A

Un pover’uomo, da anni seduto al solito posto, continua a chiedere l’elemosina. In tanti lo hanno visto e continuano a vederlo; solo qualcuno di tanto in tanto si ferma per dargli qualche spicciolo per poi continuare sulla sua strada. Gesù vede quell’uomo e si ferma; non va oltre. Anche i discepoli si fermano e lo guardano. Ma è uno sguardo diverso.Per i discepoli è un caso su cui intavolare una disputa. A loro interessa più il problema che quel povero disgraziato.

Essi chiedono a Gesù : “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco ?” Secondo il giudaismo corrente, la disgrazia era effetto del peccato: Dio castigava l’uomo in proporzione alla sua colpa. Questa concezione ha in verità attraversato i secoli ed è entrata a far parte anche della mentalità di molti cristiani sino ai nostri giorni. Non è raro sentir dire da molti cristiani che Dio sia all’origine di questo o quel malanno. È una concezione totalmente errata.

È anzi offensiva del Signore, come se Egli stesse spiando le nostre debolezze per colpirci. Gesù, in questa pagina, si scaglia contro tale concezione: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori”. Non vuole rispondere alla questione teorica (e certamente drammatica) della presenza del dolore e della malattia in questo mondo. Gesù però vuole mostrare chiaramente qual è l’atteggiamento di Dio di fronte al male. Il Signore non solo non è uno che infligge il male ai suoi figli (su questo è categorico), ma neppure è indifferente i drammi e alle malattie che si abbattono su di loro. Egli viene in nostro soccorso per salvarci.

È la vicenda di quel cieco. Mentre i discepoli discutono Gesù si avvicina e lo tocca con tenerezza. In quella mano che tocca si compie il mistero dell’amore di Dio. Il mistero non è una realtà incomprensibile. E’ piuttosto incomprensibile la durezza e la cattiveria degli uomini, spesso distanti a tal punto da non riuscire né a parlarsi né ad amarsi. Ma quando quella mano si stende l’amore di Dio ci tocca, fisicamente. Gesù disse a quel cieco : “Va a lavarti nella piscina di Siloe”. Il cieco vi andò, “si lavò e tornò vedendo”, nota, stringato, l’evangelista. La guarigione non è questione di magia o di pratiche esoteriche.

È molto più semplice: basta obbedire alle parole di Gesù. Anche per noi è possibile rivivere questa pagina della Scrittura: è sufficiente lasciarsi toccare il cuore dal Vangelo e immergersi nella piscina di Siloe ch’è la Messa della domenica. E saremo guariti dalla cecità. Forse accadrà anche a noi quello che accadde al cieco: non essere compresi. Toccato dal Signore, quel cieco praticamente rinacque; non solo vedeva coloro che prima non vedeva, ma si era anche un poco affezionato a Gesù anche se non lo conosceva bene. Era insomma diventato un uomo nuovo, tanto da suscitare perplessità tra coloro che pure lo conoscevano.

Alcuni pensavano persino che non era la stessa persona che stava a chiedere l’elemosina. Altri, come i farisei, giunsero ad accusarlo sino a cacciarlo fuori. Ma, cacciato fuori, incontrò nuovamente il Signore. Gli altri lo cacciano, ma Gesù lo trova, e gli parla ancora. Gesù non abbandona chi ha iniziato ad ascoltarlo, chi si è affidato alle sue mani, chi si è lasciato toccare il cuore. In questo nuovo incontro Gesù gli apre gli occhi del cuore. È quello di cui noi abbiamo bisogno, di settimana in settimana, per purificarci dalle nostre chiusure, per rafforzare le nostre mani, per allargare il nostro cuore, per abbracciare anche noi come quel cieco il Signore Gesù e dirgli: “Io credo, Signore”.

AUTORE: Vincenzo Paglia