Per forza o… per amore

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXIX Domenica del tempo ordinario - anno C

La chiave di lettura dell’intera liturgia di oggi sta all’inizio della lettura evangelica. “Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare senza scoraggiarsi”. Anche l’episodio di guerra narrato nella prima lettura può essere letto come una parabola. Essa mostra come nella preghiera ci si possa stancare; ma se con l’aiuto di fratelli si persiste, ottiene il risultato sperato. Il libro dell’Esodo colloca l’episodio durante la marcia quarantennale che portò gli israeliti dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della Terra promessa attraverso il deserto del Sinai, dove lo scontro fra bande nomadi faceva parte della normalità. Tale fu anche lo scontro con Amalèk.

Alcuni di questi fatti più tardi furono drammatizzati e divennero emblematici. Il brano di oggi ne è un esempio. Amalèk divenne presto l’archetipo dell’eterno nemico del popolo di Dio. Talvolta diventò perfino un altro nome del demonio, contro cui Israele instancabilmente combatte. Qui si narra che il suo capo, Mosè, non esce in battaglia; ci manda Giosuè, suo braccio destro. Egli sale sulla cima del colle e rimane a in preghiera, a braccia alzate, fino alla vittoria finale. Stare in quella posizione non era agevole; Mosè si stancava e le braccia calavano. Allora intervennero i due aiutanti, Aronne e Cur, che lo sostennero. Il testo biblico sottolinea intenzionalmente un particolare: “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk”.

Il significato è chiaro: quando la preghiera rallenta, il demonio prevale; ma se qualcuno tra i fratelli di fede ci sostiene, è possibile andare oltre la stanchezza e persistere nella supplica. Il finale del racconto rischia di scandalizzare qualcuno: “Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada”. Si tratta di un motivo letterario consueto, per dire semplicemente che il risultato fu completo. È quanto dire: la preghiera raggiunge sempre il suo scopo, purché sia instancabile.

Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme si sta per concludere. I farisei hanno chiesto a Gesù: “Quando verrà il regno di Dio?”. Gesù ha risposto loro in modo un po’ enigmatico. In ogni caso ha lasciato capire che i tempi non saranno brevi. La preghiera perseverante è pertanto indispensabile come lotta contro lo scoraggiamento, mentre la venuta del Regno ritarda. La storia, narrata come parabola, comincia con la presentazione dei due personaggi. Primo, il giudice, la cui malvagità sta fondamentalmente nel fatto che trasgredisce i due comandamenti supremi, a cui è tenuto ogni uomo: l’amore di Dio e quello del prossimo. L’altro personaggio è una vedova. A quell’epoca la vedova era l’incarnazione di chi è totalmente privo di protezione. Non ereditava i beni lasciati dal marito morto; era pertanto economi- camente e socialmente molto fragile, alla mercè dell’oppres- sione, dell’egoismo e della lussuria dei potenti.

Tuttavia la figura presentata oggi è una vedova che ha coraggio da vendere: reclama con forza il suo diritto e pretende con ostinazione dal giudice che promuova l’azione giudiziaria contro un terzo colpevole: “Fammi giustizia contro il mio avversario!” Il giudice non si dà per inteso e non prende in considerazione la pratica della vedova. Il racconto lascia intendere che i tempi fra il ricorso della vedova e la decisione del giudice siano stati molto lunghi. L’inerzia e il disinteresse del giudice tuttavia non riescono a scoraggiarla. Chi conosce la capacità di insistenza di cui sono dotati gli abitanti di quelle regioni può ben immaginare questa vedova che rincorre il giudice per la strada, lo aspetta sotto casa, bussa e ribussa alla porta dell’ufficio… da scocciarlo a tal punto che, pur di levarsela dai piedi, decide di prenderne in considerazione la pratica. È curioso il discorso con cui il giudice giustifica il proprio comportamento: ammette di far parte della categoria dei giudici iniqui; ma questa volta fa un’eccezione, pur di levarsi dai piedi quella donna terribile.

Questa volta è Gesù stesso a tirare le conclusioni: se il giudice, pur appartenendo alla categoria degli iniqui, si è lasciato smuovere dalla testardaggine di una vedova, che cosa non farà Dio per i suoi eletti “che gridano giorno e notte verso di Lui?”. La battuta finale di Gesù è un po’ amara: collega strettamente la preghiera alla fede. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Se uno non è certo che esista Qualcuno che benevolmente lo ascolta, non ha alcun motivo di insistere a pregare. Gesù verrà gloriosamente alla fine dei tempi; ma viene anche quotidianamente nella vita della comunità e in quella di ognuno. Se ci troverà in preghiera, troverà ancora la fede; altrimenti il suo sospetto sarà confermato.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi