“Ma voi chi dite che io sia?”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XII Domenica del tempo ordinario - anno C

La liturgia di oggi raggiunge il suo vertice nelle parole della “confessione di fede” di Pietro, che Gesù corregge e completa. Anche gli altri due evangelisti sinottici, Marco e Matteo, registrano lo stesso episodio, che però collocano nei pressi di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina. Luca non ne specifica la località, ma precisa la circostanza: “stava pregando”. Immediatamente prima, ha narrato il prodigio della moltiplicazione dei pani che la liturgia ci ha proposto la scorsa domenica.

Sebbene non si faccia cenno alla reazione della gente di fronte a quel pasto gratuito ed abbondante, si dovettero pur domandare: chi sarà mai costui?, come era avvenuto in altre circostanze. Pochi versetti prima, l’evangelista aveva riferito che perfino il re Erode Antipa si domandava: “Chi è dunque costui di cui sento dire queste cose?” (Lc 9,9). La domanda su chi fosse Gesù era dunque nell’aria. In questo clima interrogativo sulla sua identità, si inserisce la domanda fatta personalmente da Gesù: “La gente che dice di me?”.

I discepoli riferiscono alcune delle voci correnti: “C’è chi dice che sei Giovanni Battista, chi Elia, chi qualcuno degli antichi profeti, risorto dai morti”. Questo era il parere di quelli di fuori. Ma loro, quelli di casa, che cosa pensavano di Lui? La risposta venne da colui che già allora era riconosciuto come capogruppo, Pietro: “Tu sei il Messia di Dio”. Gesù interviene in maniera drastica e inaspettata: “Ordinò loro severamente di non dirlo a nessuno”.

Questo dialogo di Gesù con i discepoli segna il punto di svolta della vicenda pubblica di Gesù, che ora comincia a manifestarsi esplicitamente. Lo fa nello stile proprio delle scuole rabbiniche, dove l’insegnamento parte sistematicamente da una domanda posta ai discepoli. È questo il senso della sua domanda: introdurre l’insegnamento sulla propria identità. La risposta dei discepoli ci fu; ma, come era prevedibile, era orecchiata; in sostanza non avevano capito bene quello che avevano detto. La parola “Messia” infatti richiamava alla loro mente ciò che richiamava alla mentalità corrente: un rivoluzionario che avrebbe liberato Israele dall’oppressione straniera, dall’attuale governo corrotto e compromesso con l’invasore, e finalmente avrebbe ricostituito il regno che fu di Davide, in tutto il suo antico splendore; e i suoi seguaci avrebbero condiviso il nuovo potere.

Pertanto, dire in pubblico che Gesù era il Messia significava mettere in allarme le autorità costituite. In quel periodo, inoltre, circolavano altri personaggi che si spacciavano per Messia; e che uno dopo l’altro fecero tutti una brutta fine. Dopo questa premessa, Gesù cominciò a parlare di sé come “Figlio dell’uomo”; termine che rimandava non a personaggio mondano, ma a una figura ultraterrena di cui avevano parlato i profeti (Dn 7,13). Aggiunse: “Deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Non dunque un trionfatore politico-militare, come se lo aspettavano, ma un uomo sofferente, rifiutato da tutti quelli che contavano, e che alla fine lo avrebbero ucciso. Ma Dio lo avrebbe salvato, risvegliandolo dalla morte al terzo giorno. Anche di questo avevano parlato gli antichi profeti (Is 53). I discepoli lo avrebbero constatato dopo pochi mesi.

A questo punto l’orizzonte si allarga. Gli interlocutori ora non sono più i soli discepoli, ma la folla: “Poi diceva a tutti…”. Fra quei tutti, ci siamo anche noi. Gli studiosi chiamano questi versetti: “detti sulla sequela di Cristo”. Sono la risposta alla nostra domanda: che cosa si deve fare per seguire Gesù? Tre cose, risponde questa Parola. Tre cose non facili da accettare dalle nostre orecchie moderne e secolarizzate: rinnegare se stessi; prendere la propria croce ogni giorno; seguirlo. Proviamo a capire. In un’epoca in cui l’aspirazione massima è affermare se stessi nel successo, l’espressione più ostica è quel “rinnegare se stessi”.

In questo contesto, essa va collegata con la seguente: prendere la propria croce ogni giorno. Vale a dire: rinnega se stesso colui che non rifiuta di sottoporsi ogni giorno ai pesi e alle tribolazioni del proprio oggi, indipendentemente dalla posizione sociale o dal ruolo che ricopre. Non c’è uomo o donna al mondo che veda scorrere la sua giornata o il suo lavoro senza intoppi, così come la sognerebbe. Di fronte all’inaspettato, ciascuno si irrita e spesso impreca; cioè rifiuta la sua croce quotidiana. Seguire Gesù è anzitutto – dunque – non rifiutare la concreta quotidianità. Farlo in una società secolarizzata, consumistica e spesso anticristiana, come è la nostra, richiede maggiore consapevolezza e decisione.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi