Se arriva Gesù, ascoltiamolo

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XVI Domenica del tempo ordinario - anno C

Da qualche settimana, insieme al Vangelo secondo Luca, stiamo accompagnando Gesù nel pellegrinaggio verso Gerusalemme, dove si compirà la sua Pasqua. Per comprendere i fatti che si vanno succedendo e gli insegnamenti dati ai discepoli durante il viaggio, non dobbiamo perderne di vista l’orizzonte: tutto converge verso i misteri della sua morte e risurrezione. Dopo giorni di faticoso cammino, oggi assisteremo a una tappa di tutto riposo e intimità familiare, a casa i due sorelle, Marta e Maria. (Luca non parla del fratello Lazzaro, che invece tanta parte avrà nel Vangelo di Giovanni). Marta sembra essere la padrona di casa, o comunque colei che gestisce l’ospitalità; è attiva, buona manager. Maria è più distaccata dai doveri casalinghi e più sedentaria.

Nella predicazione è invalso l’uso di vedervi due stati di vita, l’attivo e il contemplativo, impersonati appunto dalle due sorelle: Marta rappresenterebbe la vita attiva, Maria quella contemplativa. Opposizione piuttosto semplicistica: dentro ognuno di noi coabitano le due attitudini. Dobbiamo tentare di liberarci da questi schemi; noi tutti siamo allo stesso tempo Marta e Maria. All’evangelista, d’altra parte, non interessa tanto questo aspetto, quanto l’insegnamento che racchiude, come fra poco vedremo. Per Marta, Gesù è l’amico da nutrire, a cui bisogna dare, per il quale “fare cose”. Al contrario, per Maria il Cristo è la Parola, colui che bisogna ricevere, che è nostro nutrimento, dato gratuitamente, senza fatica da parte nostra. Due parole sono i pilastri portanti del testo del Vangelo di oggi.

Una ha per soggetto Marta, l’altra Maria. Come abbiamo sentito, l’affaccendata Marta si permette di rimproverare Gesù che non esorta la sorella, beatamente seduta ai suoi piedi, ad aiutarla nei servizi. Gesù, secondo il suo solito, non risponde direttamente, ma interpella l’interrogante con un’osservazione di carattere generale: “Tu ti affanni e ti agiti per molte cose”. Soprattutto il primo dei due verbi, che la versione liturgica italiana traduce con “affannarsi”, ha molte risonanze bibliche. Le prime che vengono in mente le troviamo nel discorso della montagna (Mt 6,25-34) “Non vi affannate per il cibo… per il vestito… per il domani”. Affannarsi non è la stessa cosa che occuparsi di.

Tutti ovviamente dobbiamo occuparci di procurare cibo, vestito per noi e per i nostri cari, progettare il domani per noi e per i figli. L’affanno è altra cosa: agita la mente e danneggia anche la salute. L’affanno contagia anche l’ambiente circostante, segnatamente quello familiare, e non aiuta a risolvere i problemi, anzi li complica. Gesù motiva l’esortazione a evitare l’affanno: il Padre che provvede agli uccelli, ai fiori campestri, provvederà anche a voi che siete suoi figli, molto più degli uccelli e dei fiori; d’altronde, per quanto ti affanni, puoi forse aggiungere un’ora sola alla tua vita? Quando poi ci agitiamo per il domani, non facciamo che aggiungere gli affanni di oggi a quelli che il domani porterà con sé. L’altra parola-pilastro è l’unum necessarium, ossia l’unica cosa indispensabile, la parte migliore scelta da Maria.

Marta è dispersa fra le molte cose. L’essere dispersi vuol dire perdere il centro, in qualche modo non ritrovarsi più, non sapere più chi sei. C’è una sola cosa capace di ricompattare la mente e il cuore dell’uomo: la Parola. Maria lo ha capito e l’ha scelta. Gesù non dice esplicitamente quale sia questa unica cosa necessaria, ma si intuisce dalla descrizione precedente: “Maria, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua Parola”. L’uomo non vive solo di pane, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. Di fronte a questo Vangelo, la liturgia pone una Parola dall’antico libro della Genesi: Abramo accoglie il Signore, che si presenta sotto l’aspetto di tre uomini.

Gli antichi Padri cristiani vi hanno visto un’oscura, lontana allusione alla Trinità. Abramo è un nomade che, come gli altri nomadi, abita con la moglie in una tenda di pelli di capra. All’apparire dei tre viandanti si prostra e li scongiura di fermarsi: potranno proseguire dopo essersi lavati e piedi e avere consumato un buon pasto: pane fresco, carne di vitello e yogurt di pecora. Tutto all’ombra di una quercia; alle querce di Mamre. Abramo vi assiste in piedi, sotto l’albero. Accoglienza ospitale simile a quella che Marta e Maria faranno a Gesù, dopo alcuni secoli. Intanto la moglie, Sara, è rimasta nella la tenda: le donne non partecipavano ai banchetti. I tre ne chiesero notizia. Abramo li informò: “È là nella tenda”. Il Signore disse: ci rivedremo fra un anno, quando Sara, novantenne, sterile da sempre, porterà in braccio tuo figlio, Isacco. E fu come un compenso per l’ospitalità.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi