Museo della Memoria

Parola di vescovo

Il 24 marzo scorso in Assisi è stato inaugurato il Museo della Memoria, in ricordo di quanto la città seppe fare a favore dei perseguitati politici, in particolare degli ebrei. Poiché il museo resterà aperto per alcuni mesi e avrà probabilmente ulteriori sviluppi, è importante riflettere sulle ragioni che sono alla base di questa iniziativa. Assisi ha una lunga tradizione di accoglienza, e non può che essere così, considerato il ruolo che questo centro spirituale, sulle orme di san Francesco, è tenuto a perpetuare nel campo della fraternità, della pace e dell’attenzione verso i più bisognosi e i più sofferenti. Tuttavia ciò che Assisi fece verso la fine del secondo conflitto mondiale è straordinario e supera di gran lunga le opere pur importanti del suo glorioso passato. In questo drammatico periodo, in singolare sinergia tra istituzioni religiose e civili, pur in presenza di odi contrapposti, di tramonto inglorioso, di povertà e di miseria, furono molte le persone che affrontarono pericoli di ogni genere per cercare di salvare tutto ciò che era possibile. C’è innanzi tutto il dovere della “memoria”. Solo partendo dalla parte migliore della nostra storia possiamo affrontare e superare le difficoltà del presente. Le pubblicazioni che sono state già curate sull’argomento e lo stesso film di Ramati Assisi underground non possono restare nascosti sugli scaffali delle librerie e delle cineteche, ma devono essere posti davanti a tutti per indurre a pensare e a riflettere. Se Israele ha ritenuto doveroso creare il “Giardino dei giusti”, in ricordo delle oltre 24.000 persone che nel mondo si sono adoperate per salvare il popolo ebreo dall’infame Olocausto, anche la nostra regione, che in ogni sua parte, ha saputo dare esempi luminosi di altruismo, dovrebbe onorare i suoi numerosi giardini dei giusti. Per Assisi è doveroso ricordare: il vescovo di allora, mons. Giuseppe Placido Nicolini, artefice e promotore di tutta l’organizzazione, che arrivò a dormire in una poltrona per dare il suo letto a un ebreo ricercato; il canonico Aldo Brunacci, arrestato e che rischiò di essere fucilato, se mons. Montini, futuro Paolo VI, allora sostituto della Segreteria di Stato, non lo avesse tempestivamente nascosto a Roma; il p. Rufino Niccacci, un francescano verace che, dietro la sua proverbiale bonomia, seppe aggirare ostacoli di ogni genere; i coraggiosi tipografi Luigi e Trento Brizi che di notte stamparono falsi documenti per nascondere gli ebrei e dar loro la possibilità di accedere alle tessere annonarie; il p. Michele Todde dei conventuali; il sindaco Arnolfo Fortin, legato al regime ma uomo di grande cultura e di profonda ispirazione francescana e pertanto in qualche modo superiore alle parti; il colonnello Muller, tedesco cattolico, amico del Vescovo, che pur vedendo fece finta di non vedere. Non sono che alcuni dei tanti che potrebbero e dovrebbero essere ricordati. Se le celle dei conventi, i vicoli di Assisi e umili case di cittadini potessero parlare, avrebbero molte altre vicende da raccontare, degne di memoria. Il museo intende essere soprattutto una “scuola di vita”, soprattutto a vantaggio delle giovani generazioni. La ricerca sfrenata del piacere, l’esaltazione delle apparenze, il degrado morale con la banalizzazione del sesso, la denigrazione della famiglia, la pericolosa distinzione tra moralità pubblica e vita privata, stanno generando la cultura dell’individualismo, che in realtà non è altro che una forma di paganesimo e di ateismo, poiché, all’infuori del proprio egoismo, toglie spazio ad ogni altro aspetto della vita, non solo a Dio ma anche al bene comune e ai fratelli. Mi viene in mente la parabola evangelica del buon samaritano: non si può passare ignorando chi è ferito e abbandonato; occorre invece sapersi fermare, pronti a ristorare con olio e vino, perfino a caricarsi sulle spalle, almeno in parte, il fardello pesante che grava sul fratello. È ciò che auspico per tutti coloro che visiteranno il museo.

AUTORE: Sergio Goretti