Nel mondo, non del mondo

Commento alla Liturgia della Domenica "Firmato" Famiglia

AltareBibbiaIl tema di questa settimana è “per sé” (Lc 12,21). “Per sé” significa ritenersi il centro dell’universo e vivere come se gli altri non esistessero. Centrare tutta la propria esistenza su di sé. I miei beni materiali, le mie doti morali, i miei doni fisici e psichici (la mia salute, la mia intelligenza, la mia integrità….): tutto mio. “Mio” è l’unica parola che sa dire quell’uomo ricco senza nome, senza amici intorno, nel suo deserto dorato. Su quel “mio” l’uomo ricco costruisce la sua vita e la sua intera esistenza: “i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni”. Da quel “mio” fa dipendere la sua felicità e tutto il suo futuro. Gesù ci mette in guardia da questo egocentrismo, dall’individualismo sfrenato tanto di moda ai nostri tempi, ci mette anche in guardia dalla cupidigia intesa come smodata e biasimevole avidità, come bramosia sfrenata. Il tema del rapporto con le ricchezze è da sempre snodo cruciale per la vita di ogni cristiano e campo di verifica sull’adesione al Vangelo. Diversi atteggiamenti possono essere rintracciati: c’è chi afferma sinceramente che, non avendo rubato a nessuno, ciò che possiede è legittimamente tenuto a crescere in banca (senza chiedersi, p.es., da dove arrivino gli interessi tanto desiderati), c’è chi afferma che la gestione dei beni non deve entrare nel campo del comportamento religioso. Gesù nel Vangelo di questa domenica non giudica negativamente l’uomo perché ricco (ci ricorda un altro ricco, il giovane), ma lo pone di fronte alla stoltezza delle sue scelte (come al giovane ricco). Non vi è quindi condanna nel possesso di beni terreni in sé quanto del desiderio smodato di accumulare e accumulare beni su beni. Questo ammassare per ammassare svincolato dalle effettive necessità materiali fa dell’uomo uno “stolto”. La parola greca àphron indica un uomo privo di intelletto, di volontà, di obiettivi, uno senza testa. È stolto perché non ha capito che l’obiettivo della sua vita terrena non può essere l’accumulo dei beni, ma la ricerca di una ricchezza “presso Dio”.

Gesù ci insegna che tutto ciò che possediamo lo possediamo come amministratori di una parte di un tutto, che va considerato al servizio di tutti. In questi giorni assistiamo a conflitti e scontri verbali e fisici per la difesa di una presunta democrazia, per la difesa di confini, di un ordine precostituito. Neanche la terra è mia. Nemmeno i confini di uno Stato sono miei, né un popolo li può considerare per sé. Ma senza andare a importunare i massimi sistemi, pensiamo al nostro lavoro, alla nostra famiglia, alle nostre comunità. Molti dei mali che ci affliggono derivano dal considerare i beni come se fossero per me e non per noi. È l’atteggiamento dell’uomo che si rivolge al rabbi di turno perché gli risolva il problema pratico: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Gesù non è venuto per risolvere le nostre beghe condominiali, c’è già una legge per questo, un Codice conosciuto. Non serve tirare in ballo Gesù, che, raccontando una parabola, spinge l’interlocutore a porsi delle domande e pone l’attenzione sulla radice del problema: quanto sei attaccato ai tuoi beni? Sei disposto a lasciare a tuo fratello la tua parte di eredità, anche se ne hai diritto? Il problema è l’eredità o il rapporto con tuo fratello? Cosa sei disposto a sacrificare per rimanere in pace con tuo fratello al di là dei torti e delle ragioni? Questo è il problema.

Chiediamoci anche noi perché siamo infelici se non accumuliamo ricchezze sulla terra, e vediamo che spesso vi pensiamo come al raggiungimento di una tanto desiderata serenità, come se la pace fosse garantita solo da esse. Ma la via della vita eterna sarà da esse aperta, garantita, comprata? Il Vangelo ci dice chiaramente di no. La chiave per stare nel mondo, senza essere del mondo, può essere solo quella del distacco dai beni, senza demonizzazione. È un percorso faticoso, perché controcorrente, ma alla fine di certo liberante: sì, perché non si è liberi se si è attaccati alle cose, e se pensiamo che altri possano offendere le nostre proprietà. Questo cammino inizia pensando alla condivisione dei beni come a una strada verso la vera libertà. Una cosa molto importante che emerge dalle Scritture è che la condivisione dei beni non è solo un principio morale. Costruire intorno a sé un regno dorato e chiudere fuori i fratelli (fratelli generati e creati dallo stesso Padre) rappresenta “vanità delle vanità” e alla fine solo un danno prima per se stessi e poi per gli altri. Qui e ora. L’unica vera preghiera che può aiutarci in questo difficile cammino è pregare con il Salmo: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”, per mettere ogni cosa al suo posto, per non diventare gli ‘uomini più ricchi del cimitero’.

AUTORE: M. Grazia Riccardini; Luciano Carli