Non c’è da rallegrarsi

Statuto regionale. Si riparte con la prossima legislatura. Salta anche il referendum

Statuto regionale. Si ricomincia daccapo. Non c’è da rallegrarsi che le cose siano andate a finire così. Siamo stati (Ceu, Consulta regionale, laicato cattolico) tra coloro che con capacità di proposta e forte impegno partecipativo hanno desiderato che l’Umbria si dotasse entro questa legislatura di uno statuto regionale dai contenuti alti suffragato dall’ampio consenso della comunità regionale. Purtroppo quando la discussione è approdata in Consiglio regionale si è smarrito il senso istituzionale confezionando errori uno di seguito all’altro. Però non tutto il male viene per nuocere. L’Umbria non poteva permettersi di promulgare uno statuto politicamente debole, con un testo criticato da gran parte dell’opinione pubblica regionale, cattolici in testa. Importante è non commettere altri errori. Non pensare, ad esempio, che quando, nella prossima legislatura, si riprenderà la discussione sia sufficiente aggiustare qua e là il testo tanto per accontentare qualcuno. Sono diverse le questioni che andranno riprese senza fretta e con spirito di autentica laicità. La prima questione riguarda l’identità dell’Umbria: il richiamo ai santi Francesco e Benedetto non è questione cattolica. È semplice coscienza di sé, della propria storia passata, presente e futura. La schizofrenia politica è evidente. In Parlamento rappresentanti di tutti i partiti, umbri in testa, si sono battuti per fare del 4 ottobre la giornata di riflessione intorno ai valori della pace e del dialogo tra le culture. Si vuole addirittura che diventi festa nazionale. Come è possibile che sia proprio lo Statuto dell’Umbria ad ignorare tutto questo? La seconda questione attiene alla famiglia. Anche questa non è una ‘fissa’cattolica. L’armonia del vivere sociale e il bene dei cittadini dipende anzitutto dalla felice esperienza familiare. Non si vuole escludere nessuno dai diritti personali sanciti dalla Costituzione, ma le istituzioni, in nome del bene comune e della costruzione di una società civile solida e solidale, devono dare indicazioni chiare su quale famiglia intendono promuovere. La prima responsabilità è quella di non incentivare la tendenza a separare famiglia e matrimonio che è alla base della crisi dell’istituto familiare con tutte le conseguenze anche sul piano economico (Stato sociale). La terza questione riguarda la forma di governo. Il presidenzialismo può andare bene. Vanno però meglio equilibrati i ruoli tra giunta e consiglio regionale, tra maggioranza e opposizione. Si abbandoni poi l’infausta proposta di aumentare il numero dei Consiglieri regionali e si espliciti, invece, la volontà di ridurre i costi troppo alti della politica. La quarta questione riguarda la sussidiarietà. L’art. 16 può andare bene. Rimane però vuota enunciazione se il principio di sussidiarietà è poi contraddetto in altre parti dello Statuto dove, per esempio, si parla di scuola e di sanità. La quinta questione attiene al ruolo delle aziende e delle parti sociali. La pratica concertativa in Umbria è in atto non da oggi, pur con tutti i limiti che l’esperienza attesta. È necessario rafforzarla, renderla sostanziale, promuovendo la partecipazione responsabile delle Parti sociali. Lo statuto regionale deve sancire più esplicitamente questa volontà politica. L’auspicio è che il nuovo Consiglio regionale che uscirà dalla Consultazione elettorale del 3 e 4 aprile prossimo (saremo attenti ai programmi e alle persone messe in lista) faccia tesoro dell’esperienza maturata in oltre due anni di discussione intorno allo statuto regionale.

AUTORE: Pasquale Caracciolo