“Non c’è pace senza giusto “ordine” tra le persone e Dio

Mons.Fontana propone il messaggio di pace di san Benedetto portato nel mondo con la Fiaccola Benedettina

La “Fiaccola pro pace”, con il suo ideale percorso, è una sorta di ideale filo d’oro che congiunge le iniziative di Norcia a favore della pace, organizzate come preludio ad ogni 21 di marzo, festa della nascita al Cielo di san Benedetto. Sono quasi quarant’anni che raggiunge la Basilica del Santo, accesa ogni volta in uno dei luoghi significativi nel mondo, beneficati dall’opera dei figli del Patriarca del monachesimo d’Occidente. Quest’anno la “Vetusta Nursia”, come è scritto sulla porta principale della città umbra, si è idealmente collegata con New Norcia, nello Stato dell’Australia Occidentale che ha per capitale Perth. Quando le ragioni dell’ideologia, a metà dell’Ottocento, costrinsero i monaci all’esilio, un gruppo di loro, da Cava dei Tirreni, presso Salerno, andò in Australia. Materialmente disboscarono, ararono, seminarono, piantarono olivi e messi, allevarono bestiame, sfamarono il popolo insegnando loro ad alternare la preghiera al lavoro; costruirono collegi, educarono e promossero la popolazione, che cresceva attorno a loro. Mi sono commosso quando l’Arcivescovo di Perth, al termine della grande celebrazione con cui ha accolto la Delegazione Benedettina di Norcia ci ha mostrato la vecchia stele, su cui quei monaci pionieri avevano inciso il monogramma della pace. Una popolazione enorme venera la memoria di quegli antichi benedettini che avevano un’idea così concreta della pace che, con la grazia di Dio, la pazienza e l’impegno hanno edificato una civiltà. Sono dovuto andare in Australia per imparare che la mia città di Norcia, da Virgilio definita “frigida Nursia” (Virg. En., VII, 716) può diventare la “Città del sole”, di campanelliana memoria, se si vive lo spirito di san Benedetto. Visitando, presso Perth, una casa d’anziani immigrati italiani – i nostri furono celebri muratori in Australia – mi ha sorpreso il commento: “questa città è stata costruita più con la fede, che con il cemento”. Abbiamo incontrato migliaia di persone: assemblee di popolo, circoli culturali, Consigli Comunali ed altre Istanze Istituzionali, su, su, fino al Governatore dello Stato. Tutti ci hanno detto di dire al Papa, nella nostra udienza, che anche l’Australia fa eco alla sua parola a favore della pace: la pace è possibile purchè alla Grazia di Dio si unisca l’impegno dell’uomo. L’intuizione di san Benedetto da Norcia è ancora vivacissima e adatta ai tempi che corrono. Quando san Benedetto visse la sua avventura umana non fu un’epoca meno difficile della nostra. Una congerie di barbari, nel giro di cinquant’anni, si era affacciata ai confini dell’Impero Romano. Anche nel passato erano capitati molte volte fenomeni analoghi, ma nel V secolo, per la prima volta, le orde barbariche non avevano trovato resistenza, erano riuscite ad entrare, devastando, sovvertendo una civiltà che, per varie cause, era come implosa, ripiegandosi su se stessa. Alla calata dei Vandali, il più geniale degli scrittori cristiani, Agostino di Ippona, nella lucida riflessione sulle sorti del mondo, il “De civitate Dei”, aveva coniato la chiave interpretativa della resistenza al male che incombe: la pace è “tranquillitas ordinis”. Amerei che nel nostro tempo si riflettesse sulla “Regula Benedicti”, cogliendone una delle valenze certamente più significative: il discorso sul metodo. La riflessione cristiana, a partire dalla Scrittura, non si accontenta della pace “iuxta fines”; anzi per noi la pace è prima di tutto una dimensione interiore, poi, e nella misura di una interiorizzazione matura e responsabile, diventa un sistema di relazioni. San Benedetto insegna che non c’è pace senza un giusto “ordo” tra le persone e Dio. Già questo asserto, riletto oggi, mi sembra profetico. Il “nulla assolutamente antepongano a Cristo” della “Regula Benedicti” (LXXII,11) è solido fondamento d’uguaglianza e di rispetto tra le persone; è garanzia che i ciclici tentativi di sopraffazione dell’uno sull’altro siano destituiti d’ogni giustificazione possibile. Così nel monastero si insegna il giusto ordine nei rapporti tra le persone, dove il termine “giusto” evoca la soprannaturalità, il mistero dell’altro, che non necessariamente devi capire e ma devi comunque rispettare. Una società giusta mette al centro la persona. Credo che valga la pena, in questo nostro tempo, di domandarci quanto impegno viene dedicato alla cura di sé. Mai si è speso tanto per l’educazione, ma viene davvero da chiedersi se non si debba riguardare al monastero, quantomeno per essere provocati alla prudenza, alla giustizia, alla fortezza, alla temperanza. Forse abbiamo bisogno dell’umiltà, che san Benedetto dice che è la madre di tutte le virtù, per recuperare un mondo più umano. Il concetto tutto benedettino della possibilità di progredire, la “scala” (R.B. VII, 8) fa riscoprire la palestra dello Spirito, che forse abbiamo dimenticato, come possibile espressione dell’avventura umana. Una sapiente valutazione di sé fa riscoprire la bellezza del creato e il gusto di riparare, con il lavoro, il male indotto dal disordine delle cose. E’ così che i Benedettini a Norcia sanarono le Marcite per assicurare pascoli alle greggi, a Campello raddoppiarono il percorso del Clitunno perché con minor fatica si potessero molire le olive, nel priorato di Santa Maria di Turrita innestarono varietà d’olivi in grado di resistere alle gelate sul colle centrale dell’Umbria, in Sant’Eutizio di Preci studiando la medicina inventarono la nostra antica scuola chirurgica. I codici eutiziani della Biblioteca Vallicelliana sono certa testimonianza del fervore culturale di quegli uomini amanti del bello, della musica e delle arti messe a dispozione del popolo: a loro dobbiamo le più antiche trascrizioni del volgare umbro, testimonianza della nostra lingua primeva. Il fascino tutto benedettino mette in guardia il monaco dalla tentazione delle cose: lo educa a sentirsi superiore agli strumenti del suo lavoro; a non lasciarsi dominare dall’economia, che è il prodotto delle sue mani, che può essere governata. Pace, così intesa, è libertà. Il 12 marzo la Delegazione Benedettina della Fiaccola “pro pace” è stata ricevuta dalla Presidenza del Parlamento Italiano. Abbiamo potuto dire la nostra parola di pace, abbiamo potuto raccontare la pace, che ha fatto storia tra gli Italiani in Australia, abbiamo potuto chiedere che si rimetta mano ad edificare la pace secondo il metodo che il Santo Patriarca Benedetto ha insegnato. Il 19 il Papa ci ha accolto: “Bella città, Norcia: ci sono stato quando ero giovane, lo ricordo ancora”. Poi il discorso è scivolato su san Benedetto e la pace. Abbiamo ringraziato il Pontefice per il suo Magistero ancora una volta libero, forte e coraggioso. Ci ha chiesto di pregare per la pace. Seguendo l’invito del Papa abbiamo pregato per la pace sulla casa natale dei santi Benedetto e Scolastica. Lo abbiamo fatto fino alla commozione il 20, quando, tra un mare di giovani, anzi portata da loro, la nostra piccola fiaccola “pro pace” è giunta ad “incubabula Sanctorum geminum”, come si dice col linguaggio forbito a Norcia, da secoli. Il 21 il Cardinale Ratzinger ci ha guidato per i percorsi dello Spirito: mentre nelle interviste ha rilanciato la pace in queste ore drammatiche, in chiesa ha scelto il metodo benedettino della interiorizzazione e della palestra dello Spirito. che cambia le persone e, attraverso di esse, il mondo intero. Commentando il Vangelo della vite e i tralci ha invitato a riconoscere nell’unità con Cristo le radici culturali dell’Europa; nel primato della coscienza il nucleo dei valori irrinunciabili; nella fede la via sperimentata dai Padri per vincere la malizia del mondo. Siamo rimasti largamente impressionati dall’Allocuzione del Vice presidente del Senato, il professor Fisichella, che nella Sede Comunale ha preferito, ai tanti altri possibili, il tema del rapporto tra la libertà, la coscienza e la pace.Forse la piccola luce della fiaccola benedettina “pro pace” è in grado di far barbagliare ancora la luce più grande di San Benedetto: è una sfida agli uomini liberi e forti. Tocca a noi, uomini e donne di questo difficile avvio del Terzo Millennio. Tocca alle genti umbre di far da epigoni a san Benedetto, che di questa terra e di questa civiltà è figlio ben luminoso.

AUTORE: Riccardo Fontana