L’abatjour. Oltre i borborigmi

Càpite nos, cioè scusatemi se mi sono dilungato su quello che succedeva alla facoltà di Teologia dell’università del Laterano negli anni della mia giovinezza più… giovane: quegli ultimi anni ’50 del secolo XX durante i quali maestri che giudicavo integerrimi mi ingannarono, e non su quisquilie ma sul modo di proclamare e vivere la fede. Li ripenso, quegli anni, e sento rifiorire e rimescolarsi i borborigmi del risentimento acido. Ma qualcosa del genere mi capita anche oggi quando a volte clicco su “I nemici di Papa Francesco” e leggo. Anche a Gubbio ne abbiamo qualcuno, di questi “arditi della fede” che ieri, veri “araldi della croce”, cantavano, rivolti al Papa: “Al tuo cenno, alla tua voce, un esercito all’altar!”, e oggi piangono come coccodrilli sdDON-ANGELO-cmykentati sulla distruzione della Chiesa operata dal Papa; che poi sarebbe un falso Papa, perché il concetto stesso di “Papa emerito” – dicono – è un assurdo, un puro flatus vocis al quale non corrisponde nulla. Ma allora perché gli esperti di Diritto canonico, quelli che dovrebbero denunciare l’assurdo, tacciono? “Ovvio: perché sono tutti conformisti. Tutti. Ma prima o poi dovranno capitare a Gubbio, quegli infingardi, e allora potremo dirglielo noi, da chi andare e come trovare la forza per fare (finalmente!) il loro dovere”. Signoruccio mio, che fare? Penso che innanzitutto occorrerà aiutare noi stessi e quelli che ancora ci ascoltano a ripensare la Chiesa. La Chiesa è innanzitutto oggetto di fede: non per nulla nel Credo diciamo: “Credo la Chiesa”. Non nella Chiesa, ma la Chiesa. Complemento oggetto. La Chiesa-mistero, impegnata fino alla fine del mondo a capire se stessa, alla luce della Parola. E come tutti gli “articoli di fede, le parole con le quali essa si presenta al mondo da una parte sono vere, dall’altra sono sempre inadeguate e provvisorie: san Tommaso. In questa prospettiva Papa Francesco chiama la sua e nostra Chiesa con parole nuove: accoglienza e tenerezza, tratti fisionomici della misericordia. L’ha detto anche nell’ultimo incontro con il clero della sua diocesi di Roma: “A me piace sognare una Chiesa che giorno dopo giorno viva la compassione di Gesù, senta quello che sentono gli altri, accompagnarli nei sentimenti. Chiesa madre, dal cuore senza confini, animata da veri testimoni della fede. Per questo – ha concluso – è più facile fare il vescovo che il parroco! Perché noi vescovi abbiamo la possibilità di prendere le distanze, o nasconderci dietro il ‘Sua Eccellenza’, e questo ci difende!”. La solita battuta, che non è mai solo una battuta, perché il Papa che simpaticamente la pronuncia tutto è tranne che un ‘simpaticone’.

AUTORE: Angelo M. Fanucci