Per infusione o per immersione

Caro don Francesco, la notte di Pasqua sono stato invitato a un battesimo che veniva celebrato durante la Veglia. Lì, per la prima volta, ho visto immergere il bambino in acqua per ricevere il sacramento. Ne sono rimasto molto colpito perché nella mia parrocchia il parroco battezza i bambini con un catino davanti all’altare, rovesciando un po’ di acqua sulla testa. Qual è la forma più corretta?

Gentile lettore, le prime testimonianze extra-bibliche che abbiamo parlano di battesimo per immersione, soprattutto finché la prassi prevalente fu quella di battezzare catecumeni in età adulta. Con il passare dei secoli ha preso il sopravvento la prassi di battezzare i bambini, e conseguentemente di celebrare il battesimo per infusione, cioè con un po’ di acqua versata per tre volte sul capo del neonato. Per questo, ad oggi la Chiesa cattolica mantiene entrambe le modalità, dando la possibilità sia dell’immersione che dell’infusione. Il Rito del battesimo dei bambini nella parte introduttiva, al n. 22, afferma: “Si può legittimamente usare sia il rito di immersione, segno sacramentale che più chiaramente esprime la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, sia il rito d’infusione”. Da quanto citato comprendiamo che sono possibili entrambi le prassi, ma anche che l’una esprime la realtà che si celebra meglio dell’altra. Non è difficile concludere che, seppur entrambe sono possibili, il rito per immersione è il più corretto, non solo perché modalità più antica, ma perché se il sacramento – come già affermava Pietro Lombardo – è “segno della grazia di Dio e forma visibile della grazia invisibile, in modo tale da portarne l’immagine ed esserne causa”, per significare ciò che il sacramento produce e dona c’è bisogno di segni rituali che esprimano ciò che “nascondono”.

Per questo, se il battesimo è essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, lo si può meglio esprimere con l’immersione ed emersione dall’acqua. Lo stesso vale per gli altri “significati” del battesimo, quello del lavacro di purificazione o della nascita a nuova vita, indubbiamente espressi in maniera eccellente dal rito di immersione. Chiaramente questa prassi non è facilitata dell’architettura di molte nostre chiese, che hanno fonti battesimali piccoli, pensati per la sola prassi dell’infusione.

Perciò l’auspicio è che nella costruzione delle nuove chiese, o nell’adeguamento liturgico di quelle esistenti, si tenga anche conto della possibilità di un fonte battesimale che consenta di celebrare il battesimo per immersione, così da meglio esprimere quanto san Paolo affermava nella Lettera ai Romani (6,4): “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”.

 

AUTORE: Don Francesco Verzini