Perchè lui e non io?

A bruciapelo, dopo avermi fermato per strada: ‘E a te, perché non ti fanno Vescovo?’ Mezz’ora fa è stata resa pubblica la nomina di mons. Mario Ceccobelli a vescovo di Gubbio. A bruciapelo, su due piedi. ‘Perché lo Spirito santo non prende mai le ferie’. A domanda bislacca, risposta bruciante. Chi ha posto la domanda bislacca è amico di antica data; e insiste: ‘Ma mons. Ceccobelli ha tre anni meno di te!!’: è convinto che anche nelle ‘carriere’ (?!) ecclesiastiche, funzionino gli scatti automatici di anzianità, come nel suo ufficio. ‘E poi tu hai speso tutta la tua vita per”: lo interrompo, perché hanno cominciato a sfilarmi davanti agli occhi della mente tutti gli emarginati che hanno speso la vita per me. Poi però ci ripenso, come quei tali. Mi dico: a parte il mio caso, qualcosa di vero c’è. Ciotti, Monterubbianesi, Albanesi, Vatta, Vian, Cupini’: tutti gli splendidi ‘Preti di strada’, che ho conosciuto di persona, e che in tutt’Italia hanno portato avanti una loro iniziativa a vantaggio degli ultimi, centrata sul Vangelo ma non altrettanto sulla Chiesa, nella Chiesa non hanno mai avuto uno ‘status’, una specifica collocazione. Nessuno è mai diventato Vescovo. E i ‘preti della carità’? I Nervo, i Pasini, i Damoli, predecessori dell’attuale direttore della Caritas italiana, Nozza’: nessuno ha visto valorizzato il servizio che in quella veste hanno reso alla Chiesa. Profezia contro Istituzione? Ci ho fatto su un pensierino. Trent’anni fa ci avrei fatto su un trattato. Poi in Tv, con l’autopresentazione del nuovo Vescovo, ho scoperto un nuovo tipo di profezia: ‘Una profezia di nuovo conio’ direbbe (se mai esistesse) don Paolo Criceto Bonolis. Figlio di contadini, don Mario, e se ne vanta. Artigiano della pastorale, e se ne vanta. Uno che, da quando ha messo la sua vita nelle mani della Chiesa, ha fatto sempre e soltanto quello che la Chiesa gli ha chiesto di fare, e se ne vanta. Uno che, nel richiamarsi all’etimologia dell’auctoritas nella Chiesa (‘Attitudine a far crescere’), vi aggiunge sempre l’avverbio ‘insieme’. E se ne vanta. Tutta una profezia/vanteria, che identifica una nuova, splendida modalità del ‘parlare a nome di’. Quarant’anni fa Papa Giovanni emanò la Veterum sapientia con la patetica intenzione di iniziare al gusto del latino quegli studenti di teologia che non ne avevano avuto l’opportunità. Ma i virgulti del Sacro Efebeo non volevano saperne. Al seminario regionale di Assisi la cattedra di Latinitas ai Corsi riuniti di Teologia venne affidata a me. Ma loro non volevano saperne. Erano quasi miei coetanei. Mi spernacchiavano. Credo che qualcuno sia venuto a lezione con il coltello sotto la tonaca. L’orda mi passò sulla testa con la rapida grazia dei cavalieri di Gengis Khan, e la materia che dovevo insegnare restò nel cassetto, sostituita da ‘ciacole’ assortite sul mondo e i suoi immediati paraggi. Ceccobelli fu tra coloro che ebbero misericordia di me, e non infierirono. Aveva già iniziato l’esercizio di quella certa profezia.

AUTORE: A cura di Angelo M. Fanucci