Principi e valori

Cosa vuol dire il finalino dell’ultima abat jour, la messa in guardia dal pericolo di “contrabbandare per valori quelli che in realtà sono solo principi”? Ribadisco la mia convinzione: l’identificazione principi/valori è uno dei punti di debolezza della nostra cultura. Ma in che cosa consiste l’equivoco? Consiste nel proclamarsi entusiasta di una certa affermazione di principio, e nell’esserlo veramente, senza che quell’adesione cerebrale investa tutta la nostra vita e motivi le sue scelte portanti. Un valore merita questo nome quando comincia a muovere la vita. Prima di quel momento è solo un principio, una fiammata di consenso cerebrale, magari solenne ma innocua. Quando il problema si presenta in forma di aut/aut, il principio giusto sprigiona il massimo della sua capacità di coinvolgimento. Prendiamo il problema dell’handicap grave. Tutti sono d’accordo sul fatto che l’handicap grave è un male, ma la persona handicappata è un bene. Ma quando le due affermazioni configgono, si dispongono in forma di aut/aut, quale delle due deve prevalere? A “scegliere il principio del primato della vita” ci aiuta certa giurisprudenza, che percepiamo come aberrante, anche quando non sapremmo dire né come né perché. Nel 1980 un ospedale californiano non segnalò ad una coppia che era in attesa di un bambino la presenza di una malformazione nel feto: la giustizia dello Zio Sam condannò la struttura ospedaliera a risarcire i danni sia ai genitori che al loro figlio handicappato, perché I genitori hanno il dovere di evitare di procurare handicap ai loro figli, anche se per farlo devono astenersi dal metterli al mondo. Nel 2000 la giustizia francese ha riconosciuto ad un diciassettenne il diritto di essere risarcito per essere nato handicappato perché la rosolia della madre durante la gravidanza, causa del suo handicap, a suo tempo non era stata diagnosticata dai medici; giusto, ma sulla scia di quella sentenza in Francia si moltiplicano le richieste di “risarcimento per nascita”. Dove porta questo tipo di giurisprudenza? Sicuramente porta a rimotivare in noi quella prevalenza di principio, assoluta, cioè senza “se” e senza “ma”, che il Cristianesimo accorda alla seconda affermazione (“la persona handicappata è un bene”) sulla prima (“l’handicap è un male”). Adesso il principio del primato della persona rifulge in tutta la sua luminosità. Ma non è ancora un valore: lo diventerà, un valore, quando penetrerà nel midollo spinale della nostra coscienza, là dove risiede il suo Dna, e da lì alimenterà la nostra capacità di indignazione di fronte ad ogni violazione della dignità della persona e la nostra determinazione a cambiare il mondo in quella direzione, ogni volta che ce ne venga offerta l’opportunità.