Le parole di papa Francesco per il Giubileo della vita consacrata

A Roma il 1° febbraio in aula Paolo VI ha parlato a religiosi e religiose, anche a conclusione dell’Anno speciale dedicato alla Vita consacrata

vita-consacrata2015_CMYK.jpgDa “religioso” anche lui (ossia appartenente alla Compagnia di Gesù, i gesuiti), Papa Francesco ha parlato dal cuore ai religiosi e religiosi venuti a Roma per il Giubileo della vita consacrata, il 1° febbraio in aula Paolo VI. Tant’è che non ha letto il discorso che aveva preparato ma ha parlato interamente a braccio.
Era anche la conclusione dell’Anno dedicato alla vita consacrata, la quale – ha detto Bergoglio – ha “tre pilastri. Il primo è la profezia, l’altro è la prossimità, e il terzo è la speranza”. Ha però cominciato dalla più ‘classica’ virtù dei monaci: l’obbedienza.
“La perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di croce. Ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte” e dicono: “Secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa – ha commentato il Papa – “è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. ‘Tu che fai?’ – ‘Io faccio quello che mi piace’. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio!”. E a proposito di profezia, essa consiste nel “dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma, la profezia, e lo si deve chiedere allo Spirito santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia… Poi l’altra parola è la prossimità. Uomini e donne consacrate non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no! Per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo. ‘Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?’. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente”.
La scelta della vita consacrata – ha aggiunto – non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente”. Il Papa è quindi tornato su un tema che gli è particolarmente caro, quando parla dello stile di vita quotidiana del cristiano, religioso o laico che sia: “Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere! Perché chi chiacchiera è un ‘terrorista’ dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se ne va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo, distrugge. Questa, l’apostolo Santiago [ossia Giacomo, vedi Gc 3,5-10] diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere: quella di dominare la lingua”. Infine, la speranza, la virtù che guarda con fiducia al futuro.
E qui Francesco si è confidato con l’uditorio: “Vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: ‘Quanti seminaristi avete?’ – ‘Quattro, cinque…’. Quando voi, nelle vostre comunità religiose, maschili o femminili, avete un novizio, una novizia, due, e la comunità invecchia, invecchia…. a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: ‘Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?’. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della ‘inseminazione artificiale’. Accolgono: ‘Ma sì, vieni, vieni, vieni…’. E poi i problemi che [nascono] lì dentro… No, si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione, e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci”. Con il consueto realismo, ha aggiunto: “Perché c’è un pericolo… questo è brutto, ma devo dirlo: quando una congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti e incomincia a essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo… E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore!”.
Per concludere con un grande abbraccio fraterno: “Vi ringrazio tanto per quello che fate”, voi “consacrati, ognuno con il suo carisma!”.

 

AUTORE: D. R.