Profezia realizzata a sorpresa

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini IV Domenica di Avvento - anno B

Domenica scorsa Giovanni Battista annunciava la presenza di Uno, sconosciuto ai suoi interlocutori, eppure fortissimo; oggi la liturgia annuncia che quello sconosciuto è già misteriosamente comparso nel grembo di una vergine e che quando nascerà sarà chiamato Gesù. Oggi sappiamo anche che Dio Padre ne aveva velatamente parlato per bocca del profeta Natan, al tempo di Davide.
Davide, visse e regnò circa mille anni prima di Cristo. Dopo avere sconfitto tutti i nemici all’intorno, stabilì la capitale del nuovo regno in Gerusalemme. All’epoca ogni città capitale, oltre ad avere un re, doveva necessariamente avere un palazzo e un tempio. Gerusalemme aveva il re, aveva il palazzo, ma non aveva un tempio. E questo politicamente svantaggiava anche il popolo, soprattutto sul piano internazionale. Quando il re Davide ritenne mature le condizioni per costruirne uno, ne chiese il consenso ad un profeta di corte, di nome Natan.

Pensava anche che era giusto dare a Dio una degna dimora, come del resto avevano tutte le altre divinità dei dintorni. Il profeta istintivamente rispose: “Vai pure; benissimo!”. Dio però era di tutt’altro parere; tramite lo stesso profeta gli mandò a dire: “Tu vuoi costruire una casa per me? Guarda che Io non ne ho bisogno; io abito l’universo. Perché mi vuoi catturare dentro quattro mura? Io piuttosto farò una casa a te”. (Il termine “casa” è usato qui in doppio senso: come abitazione, e come discendenza ovvero casata). E perché fosse ancora più chiaro aggiunse: “Io susciterò un tuo discendente dopo di te”.

Il profeta e lo stesso Davide dovettero avere inteso la promessa di Dio nel senso ovvio di una continuità dinastica: un figlio del re ne avrebbe occupato il trono, alla sua morte; poi il figlio del figlio e così via, stabilmente. Quello che non sapevano, era che quelle parole avrebbero trovato pieno compimento un millennio più tardi, quando un messaggero di Dio, di nome Gabriele, raggiunse uno sconosciuto villaggio della Galilea, Nazaret – che convenzionalmente l’evangelista Luca chiama città (Lc 1,26) – e senza chiedere permesso, entrò in casa di una ragazza del posto.

La ragazza, che si chiamava Maria, era fidanzata di un uomo di nome Giuseppe. Tutti e due, attraverso complicate genealogie, erano lontani discendenti del re Davide. Gabriele salutò la ragazza così: “Rallegrati, o graziosissima, perché il Signore è con te”. Il fatto era davvero insolito: l’ingresso improvviso di un estraneo e il suo saluto tanto nobile e santo; tant’è che la ragazza ne rimase profondamente turbata. Mentre lei provava a capire quello che stava succedendo, il messaggero divino la prevenne: “Non aver paura, Dio ti ha scelta ad essere madre del Messia, destinato a sedere sul trono di Davide, suo antenato”.

Il Messia non arrivava inaspettato, anzi era l’Atteso di Israele; ma tutti pensavano che sarebbe nato all’interno di un matrimonio principesco, come si conveniva all’Unto del Signore. La ragazza, che tra l’altro ancora non aveva convissuto con lo sposo promesso, né avuto mai relazioni con altri uomini, si stupì ancora di più e lo fece presente a Gabriele, il quale rispose: “La Potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra e tu concepirai e partorirai il Figlio dell’Altissimo e lo chiamerai Gesù”. A riprova del fatto che ciò che è impossibile per l’uomo non lo è per Dio, aggiunse che anche la sua anziana parente, Elisabetta, notoriamente sterile, era incinta di sei mesi. Di fronte a questa Parola, Maria si dichiarò “Serva del Signore”: “Si realizzi pure quello che hai detto”.

La narrazione dell’evangelista Luca non è la cronaca dell’avvenimento, ma una forma di teologia narrativa a cui non siamo più abituati. Forse non conosceremo mai nel dettaglio ciò che accadde nel dialogo misterioso, fra la proposta di Dio e la libertà della Vergine Maria. Troppo incomprensibile è il fatto dell’Incarnazione perché lo si possa raccontare disinvoltamente con parole umane. Ciò che premeva all’evangelista era mostrare che la profezia di Natan aveva trovato il suo compimento storico: un discendente di Davide avrebbe regnato sul nuovo Israele, l’Israele di Dio. E non per opera d’uomo. Maria e Giuseppe discendevano da Davide per via naturale; il Messia ne discendeva attraverso un grembo femminile e l’opera misteriosa dello Spirito santo, senza concorso maschile.

Gli ultimi tre versetti della lettera di san Paolo ai cristiani di Roma formano la seconda lettura liturgica di oggi. È una lode a Dio, che ha finalmente rivelato il mistero di Gesù Cristo. Mistero per secoli e millenni rimasto avvolto nel silenzio, ma ora “manifestato mediante le scritture dei profeti”. Ciò che la prima lettura e il vangelo di oggi presentano in forma narrativa, diventano preghiera nello scritto di Paolo.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi