Prove di laboratorio. La cavia? L’uomo nella sua fase embrionale

Clonazione umana. Ricercatori coreani e statunitensi hanno prodotto embrioni con nucleo cellulare di un donatore per ottenere cellule staminali embrionali compatibili con il donatore

Forse ci siamo. Dopo una serie di annunci risultati sistematicamente falsi, venuti per lo più dai paesi dell’estremo oriente, pare che questa volta la clonazione umana sia qualcosa di più che una notizia ad effetto. A differenza delle notizie precedenti, infatti, l’annuncio è ora suggellato da un articolo su una seria rivista scientifica, Science. A firmarlo sono una sfilza di scienziati coreani dell’Univertsità di Seoul e uno statunitense. Scopo degli esperimenti è la produzione di cellule staminali embrionali compatibili, sotto il profilo immunologico, con i portatori di alcune gravi malattie come diabete giovanile, lesioni del midollo e immunodeficienze. Le cellule staminali embrionali, totipotenti perché capaci di differenziarsi in tutti i tipi cellulari presenti in un organismo adulto, potrebbero, in teoria, essere usate per sostituire le cellule malate o morte che provocano le patologie elencate ed altre ancora. Le staminali, però, come tutte le altre cellule, i tessuti o gli organi, se trapiantate in un organismo diverso da quello di provenienza, scatenano le reazioni immunitarie di rigetto che portano alla loro eliminazione. Per risolvere alla radice questo problema, i ricercatori di Seoul sono ricorsi alla tecnica della clonazione che, unita a quella della produzione in vitro di embrioni, ha permesso di ottenere staminali compatibili con gli organismi dei portatori delle gravi patologie sopra elencate. In pratica – e semplificando al massimo – hanno fatto questo. Hanno prelevato da alcune cellule del corpo dei pazienti i nuclei cellulari e li hanno usati per sostituire quelli di altrettante cellule uovo (185 in tutto). Hanno poi lasciato che avvenissero i conseguenti processi di formazione degli embrioni e li hanno poi fatti crescere fino allo stadio di blastocisti nel quale l’embrione è costituito, quasi per intero, da cellule staminali embrionali totipotenti. A questo punto hanno staccato l’una dall’altra le cellule degli embrioni e le hanno messe separatamente in coltura, ottenendo così 11 ceppi diversi. Le staminali così preparate, avendo lo stesso patrimonio genetico dei pazienti, non dovrebbero essere riconosciute come estranee dagli organismi dei pazienti stessi e quindi non dovrebbero scatenare reazioni di rigetto. Parlo al condizionale perché i ricercatori coreani non sono passati a questa fase dell’esperimento. Si sono fermati alla produzione delle 11 linee cellulari. Gli interventi successivi di vera e propria terapia dei pazienti con le staminali non sono stati compiuti, ma i passi fatti sono di per sé molto significativi e capaci di aprire strade nuove per la cura di stati patologici ad oggi ancora incurabili. Certo, non ci si deve fare illusioni su una rapida introduzione di questa tecnica nella comune pratica clinica. Moltissime e di varia tipologia sono ancora le difficoltà che dovono essere superate. Tralasciando quelle più propriamente scientifico-mediche che pure non sono né di facile risoluzione né di rapida attuazione, la prima e più evidente difficoltà è di ordine etico. Per produrre cellule staminali embrionali è necessario distruggere l’embrione. È necessario, cioè, negare vita e futuro ad un essere umano che ha appena iniziato ad esistere. E questo nel nome della ricerca di una possibile, futura cura di malattie devastanti. Che senso ha, però, uccidere un uomo oggi per curarne, forse, un altro domani? Si stanno sperimentando, in vari laboratori, nuove vie che, spero, porteranno entro tempi non molto lontani alla prepazione di staminali umane embrionali senza nuocere all’embrione. A quel punto sarà risolto il problema etico fondamentale e resteranno da risolvere tutti gli altri. Nel frattempo, invece di intestardirsi a fare esperimenti direttamente sull’uomo, perché non studiare questi problemi sugli animali da laboratorio in modo da conoscere meglio questa materia ancora notevolmente oscura?

AUTORE: Carlo Cirotto