Quelle due sorelle siamo noi

Commento alla Liturgia della Domenica "Firmato" Famiglia

AltareBibbia“Signore, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11,27). È la straordinaria professione di fede di Marta nel Vangelo di Giovanni. Professione di fede fatta a Gesù di fronte al cadavere del fratello morto da quattro giorni. Giovanni infatti racconta che Gesù, pur essendo stato avvisato della malattia di Lazzaro, di fronte alla richiesta di un suo immediato intervento si trattenne due giorni prima di partire, e al suo arrivo Lazzaro ormai era morto. Di qui il bruciante rimprovero delle due sorelle (“Se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”). Sì, perché anche Maria rimprovera Gesù con le stesse identiche parole della sorella. È per questo che la professione di fede di Marta è straordinaria. Nella sua rabbia, nel suo dolore riconosce che Gesù è il Cristo. Proprio in quel dolore Marta accoglie Gesù. Lo accoglie come non avevano fatto i samaritani. Luca, nel Vangelo che la Chiesa ci propone in questa domenica, racconta di come Marta apre le porte di casa a Gesù e gli prepara da mangiare. Un gesto importante, di grande generosità. Il viaggio era duro, lungo, difficile e le tappe impegnative. Marta accoglie Gesù nella “sua” casa. La protagonista è lei, dall’inizio al centro della scena. È lei che alacremente allestisce la tavola, prepara le vivande, ammazza la gallina, pulisce la casa, cuoce il cibo. Luca ci dice che “Marta aveva una sorella”. Non dice che “c’erano due sorelle”, Marta e Maria.

Il focus è sempre Marta, il centro resta lei. Per questo si ha l’impressione che Marta fosse la maggiore. Quando Gesù arriva in casa, Maria ne è incantata, non riesce a staccare gli occhi da lui. Gli si siede ai piedi, nella posizione della discepola, e si mette ad ascoltarlo. Ed ecco che scatta il rimprovero della sorella maggiore: il problema di Marta non era il “preparare” bensì l’essere stata lasciata sola. L’accento, Marta lo pone sul fatto che Maria l’ha abbandonata, non tanto sulle cose da fare. Un guaio, sì, Marta. Certe cose non si possono dire davanti a Gesù, si rischia di fare brutte figure. Come stai per fare tu… per secoli. Ma badiamo bene alla risposta di Gesù: per così tanto tempo considerata sferzante, in effetti non lo è. Gesù fa osservare l’affanno di Marta nel curare troppe cose; il suo appunto è sull’angoscia che porta alla dispersione. Il suo lavoro è “una parte”, come è “una parte” quello di Maria. Non ce n’è una migliore. Il testo greco dice che quella di Maria è una parte “buona” e come tale Marta sbaglia a denigrarla. Nel servizio a Gesù non può mancare la parte attiva, pratica, concreta. Ma se questa non si fonda su una solida attività contemplativa, rischia di disperdersi. Sbaglia chi disprezza l’una in favore dell’altra; esse devono avere il giusto equilibrio. Non viene fatta alcuna preferenza fra una vita contemplativa e una vita attiva, come per secoli è stato detto. Gesù sottolinea certo il contrario, ovvero che una vita attiva non fondata sull’ascolto della Parola decade nell’attivismo frenetico, ma è vero anche che uno spirito contemplativo sradicato dalla realtà e non incarnato nel mondo non porta alcun frutto.

Ci piace la lettura che padre Ermes Ronchi fa di questo brano, quando dice che Marta e Maria non si trovano su posizioni opposte, ma sono complementari. Marta non può fare a meno di Maria, perché il servizio ha un senso se nasce da una sorgente, l’unica che fa grande il cuore. Maria non può fare a meno di Marta, perché non c’è amore di Dio che non debba tradursi in gesti concreti. L’amica e l’ancella sono due modi d’amare, entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo” e di un’unica beatitudine: “Beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica”. Noi siamo Marta, noi siamo Maria; dentro di noi le due sorelle si tengono per mano, e quando nulla separerà l’uomo da Dio, allora nulla separerà l’uomo dal servizio all’uomo. Il brano evangelico è introdotto da Genesi 18,1-10, che racconta di Abramo che ospita i tre viandanti alle querce di Mamre, ancora una storia di accoglienza. “Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: ‘Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo’”. Sollecitati dalla ricchezza delle parole della liturgia di questa domenica, proviamo allora anche noi a dire: “Non passare nella nostra vita, Signore, senza fermarti, senza che abbiamo avuto il tempo di riconoscerti, senza che abbiamo avuto il tempo di ascoltarti, troppo presi dalle nostre preoccupazioni e affanni della vita, ma fa’ che ti accogliamo e ti riconosciamo come il nostro unico Signore e Maestro” (Wilma Chasseur, eremo della Salette) come Marta ci insegna.

AUTORE: M. Grazia Riccardini; Luciano Carli