Riabilitato? E risuscitando

DON ANGELO fanucci

Riabilitazione è la seconda delle tre grandi parole programmatiche che la moderna civiltà del Welfare State ha lanciato a beneficio del disa-bile o dell’anziano ancora aperto alla vita.

E l’antropologia teologica, che alla luce della Rivelazione s’interessa dell’uomo con la consueta, immancabile, maniacale preferenza per l’uomo debole, non può tirarsi indietro. Questo, perché la Chiesa del Concilio ha imparato dal suo Signore ad aprirsi al positivo che – anche senza di lei, anche contro di lei – altre correnti di pensiero hanno messo a punto. Ma a sua volta la Chiesa chiede agli altri di aprirsi al contributo che essa pensa di poter e dover dare, nel contesto di un pluralismo in positivo autentico. E questo contributo consiste nella corretta comprensione della frase più ovvia di tutta la nostra fede: “Cristo è risorto”.

Battuta definitivamente la morte, non come individuo isolato, ma come “primizia di coloro che sono morti” (1Cor 15,20), il Risorto è presente e operante, al di là del fatto che gli uomini ne abbiano coscienza, nel cuore della storia: della storia delle persone e della storia del mondo, poiché è “asceso al cielo per riempire tutte le cose” (Ef 4,10).

Se riprendiamo il solco scavato dall’aratro di Serenthà, ci rendiamo conto, o per lo meno intuiamo che il misterioso ma attivissimo cordone ombelicale che ci collega a Cristo fa sì che la sua Risurrezione si cali nel fluire oscuro e contraddittorio della storia di ogni uomo, e venga – in qualche modo e in una certa misura – anticipata e prefigurata in quegli interventi con cui l’uomo, collaborando con l’amore di Dio, promuove su questa terra lo sviluppo e il recupero della persona umana in tutte le sue dimensioni spirituali, psichiche, corporee.

Quella che gli uomini chiamano impersonalmente “voce della coscienza” in realtà è la voce dello Spirito santo; è Lui che motiva e sostiene l’impegno a riabilitare chi ha perduto in parte l’agibilità del proprio corpo, perché da quando Cristo è risorto, tutto può essere Pasqua. Tutto: è Pasqua là dove un uomo passa dalla paura al coraggio di vivere, è Pasqua là dove un uomo passa dall’ignoranza alla sapienza, è Pasqua là dove un uomo passa dall’inerzia al dono di sé, è Pasqua là dove un uomo passa dalla povera autosufficienza di sé all’obbedienza a Dio.

È Pasqua là dove un uomo non s’arrende all’insulto di un ictus che l’ha privato dell’uso di una parte del suo corpo, ma fa del tutto per recuperarlo. E da parte dell’operatore, l’esercizio di quello che abbiamo qualificato come “diritto-dovere alla riabilitazione” si rivela come un inserirsi dell’uomo nel piano di Dio; un’attiva, libera, responsabile collaborazione alla futura risurrezione, un “tirare la vita eterna che verrà dentro la storia feriale che sta passando”.