Ricominciamo di nuovo da capo

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia I Domenica di Avvento - anno B

L’Avvento è il periodo di tempo dedicato all’attesa del Natale. Comprende quattro settimane di preparazione alla festa cristiana istituita nel V secolo. Circa cento anni dopo fu istituito questo tempo liturgico di preparazione, con carattere ascetico e penitenziale, da dedicare alla preghiera e alla mortificazione. Oggi, in tempi di raffreddamento spirituale, esso finisce per avere solo significato liturgico, da pochi compreso e ricordato solo nella celebrazione domenicale. Adventus è una parola latina che significa “venuta”, una triplice venuta di Gesù: quella storica del Natale, quando il Figlio di Dio si fece uomo e venne ad abitare fra noi, uomo fra gli uomini, per salvarci con la sua morte e risurrezione; la venuta finale di Gesù sulle nubi del cielo con potere e gloria, per portare a compimento la sua opera di salvezza.

Tra queste due venute, quella iniziale e quella finale, se ne colloca una terza intermedia, quella sacramentale, che interessa la vita della Chiesa e quella di ciascuno di noi. È il nostro incontro con Gesù che ci accompagna dalla nascita alla morte, sempre presente, ma anche sempre atteso, finché busserà definitivamente alla nostra porta per introdurci nel suo regno definitivo. Con l’inizio del nuovo anno liturgico riprendiamo il cammino spirituale verso questo incontro antico e sempre nuovo: facciamo memoria con riconoscenza infinita della prima visita del Salvatore a Natale, siamo in ascolto del Gesù che bussa continuamente alla porta del nostro cuore nell’incontro di fede, siamo in attesa dell’incontro faccia a faccia nella sua ultima venuta che rende definitiva e sicura la nostra salvezza.

In questo nuovo anno liturgico la catechesi è affidata al Vangelo di Marco, il più breve dei quattro, ma anche il più antico. In queste pagine ritroviamo la voce viva di Pietro, di cui Marco fu segretario e interprete specialmente a Roma. La brevità e la vivacità dei racconti tradiscono la preoccupazione dell’apostolo di essere essenziale ed incisivo nella sue catechesi su Gesù; ma comunicano anche l’amore e la fede viva che egli portava al suo maestro, fino a dare la vita per lui. Leggendo ciò che Marco ha scritto, lo scopriremo facilmente. In questa prima domenica di Avvento, Marco ci invita a guardare lontano, oltre il Natale e oltre l’orizzonte della nostra vita terrena, per dirci che il nostro cammino e la nostra attesa non finiscono qui. La storia della nostra salvezza cammina fino alla tappa finale del compimento di tutte le cose. È un richiamo a volgere lo sguardo alla vera meta della nostra vita: la venuta finale di Gesù, nostra gloria.

È un invito ad aprire gli occhi e non vivere nel sonno dell’oblio, come gli animali che non capiscono. Il brano di oggi inizia con due verbi che catturano la nostra attenzione: “Aprite ben gli occhi” (in greco: blèpete) e “rimanete svegli” (in greco: gregorèite). Il secondo verbo addirittura è ripetuto ben quattro volte nel brano del nostro Vangelo, e questo già dice l’importanza che Gesù vi annette. Chi dobbiamo guardare attentamente e chi stiamo aspettando ad occhi ben aperti? Il Signore Gesù che viene nella nostra vita, che bussa alla nostra porta per essere accolto con gioia. E questo non solo a Natale, ma anche a conclusione della nostra vita. Perché per noi l’ultima venuta di Gesù, l’escatologia, coinciderà con la morte, quando lo vedremo faccia e faccia ed entreremo nella sua gioiosa casa. Questo ultimo incontro è certo come quello dei pastori e dei magi a Natale.

L’Avvento ci invita a camminare verso questa direzione con il Battista e con Maria, che hanno atteso e annunciato la prima venuta del Signore. Sono due le immagini che Gesù usa per annunciare questo secondo avvento: quella dei “servi” ai quali il padrone in partenza affida tutti i suoi beni, e quella del “portinaio” pronto ad aprire a qualsiasi ora il portone di casa, quando il padrone tornerà. L’ambiente descritto da Gesù è quello di una casa signorile palestinese, dove il padrone ha a disposizione molti schiavi (doùloi). Un giorno il signore decide di partire per un lungo viaggio e lascia il suo palazzo e le sue proprietà totalmente in mano ai suoi servi, distribuendo gli incarichi di responsabilità a ciascuno secondo le sue capacità e il suo ruolo. In modo particolare raccomanda al portinaio di vigilare e farsi trovare sveglio al suo ritorno per aprirgli il portone.

Era difficoltoso e pesante portarsi dietro le grosse chiavi del portone di casa. Questo in genere si apriva dal di dentro togliendo i catenacci di sicurezza che lo bloccavano. Le immagini allegoriche traducono in modo chiaro la situazione della Chiesa al tempo dell’evangelista. Gesù era asceso al cielo e non aveva dato nessuna indicazione precisa per il tempo del suo ritorno. Qualunque momento era buono. Partendo, aveva detto: “Non sapete quando è il tempo (kairòs)”. Non si trattava solo di una data del calendario (chrònos), ma del tempo di Dio, quello della salvezza, il tempo della fine, quello che introduce nell’eternità divina. Tempo ignoto all’uomo, fuori di ogni previsione. Aveva dato però precise indicazioni sul comportamento e sulle responsabilità all’interno della comunità cristiana. Prima di tutto il servizio da rendere ai fratelli di fede. Gesù voleva che nessuno dei suoi cristiani si sentisse padrone della comunità dei credenti; tutti dovevano sentirsi servi gli uni degli altri, anche se con precise e specifiche responsabilità individuali.

La diversità dei compiti rendeva tutti impegnati e complementari nel servizio. Aveva detto: “Se uno vuol essere il primo si consideri l’ultimo e il servo di tutti” (9,35)”chi vuol essere grande tra voi si faccia vostro schiavo e chi vuol essere il primo si faccia vostro servo, come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita per tutti” (10,44s). Nessun seguace di Gesù deve sentirsi estraneo e inutile nella sua Chiesa, a tutti Gesù ha detto di essere testimoni attivi e credibili del suo Vangelo. Ognuno dovrà rendere conto al Signore del suo servizio, del come abbia messo a frutto i talenti ricevuti (Mt 25,14-29).

È un monito alle autorità a non spadroneggiare, ma anche un monito ai laici a non addormentarsi in un comodo disimpegno. Bando quindi all’abuso fanatico del potere, ma bando anche all’indifferenza e all’apatia che caratterizza tanta parte dei battezzati, che non si sentono più Chiesa di Dio. Anche l’immagine del portinaio, a cui Gesù dà risalto, ci riguarda da vicino. Ciascuno deve sentirsi a guardia della propria vita, perché non vengano ladri a rubarci la nostre cose più preziose, come la fede. Siamo anche in attesa del Signore che verrà a bussare alla nostra porta, pronti ad aprirgli come ad un amico. Non sappiamo quando, ma sappiamo che verrà. Non ci facciamo sorprendere nel sonno della morte.

AUTORE: Oscar Battaglia