Ricominciando “ab ovo”

DON ANGELO fanucciNella seduta del Consiglio direttivo dell’Acradu del 13 gennaio ci siamo riproposti di ripensare a fondo la natura della nostra associazione di secondo livello (associazione di associazioni), e di renderla di nuovo efficiente sul piano di una seria e serena rappresentanza politica di fronte all’autorità regionale, che è e rimane il titolare primo del bene comune nel settore sociale e sanitario.

“Titolare primo” però non vuol dire che la Regione debba fare tutto lei. Fu la tentazione (“Fàso tuto mì”) che prese campo quando la Regione nacque nel 1970; una tentazione condita di presunzione piccante più del peperoncino colto e tritato. Io ne avverti il sapore acre quando, dopo tre anni di vita in comune gioiosamente vissuta con i miei eccellenti disabili, a Fabriano, in via Gentile 26, alla metà degli anni ’70 fui spinto dal calore dei miei eccellenti eugubini ad aprire una nuova comunità a Gubbio. L’assessorato alla Sanità era allora in via San Bonaventura, una traversa di via dei Filosofi, In portineria c’era un certa signorina Pagliari, attempatella, piccolina, giallina, che doveva credere fermamente di essere in credito con la vita, visto come mi trattava: “Faccia la sua anticamera, per favore”, con l’accento tonico su tutt’e tre le sillabe (e io: ma è già passata un’ora e un quarto!). Oppure, secca: “L’Assessore non c’è!” (e io: ma se l’ho visto là in fondo un momento fa!).

Le cose cambiarono quando, poco dopo, aprì i battenti, sul monte Ansciano, nell’ex convento dei Minori francescani, la Comunità di San Girolamo (poi Centro lavoro cultura, poi Comunità di Capodarco dell’Umbria). Venne una volta l’assessore, uno spoletino di cui non ricordo il nome, vennero più volte prima il dr. Rossi, medico provinciale, poi la dr. Losito Baldasserini. Tra la Regione Umbria e noi nacque così un feeling straordinario, che si tradusse, fra l’altro, nel fatto che diverse volte da Perugia furono dirottate a Gubbio alcune delegazioni di Paesi europei calate in Umbria per sapere come funzionava il settore socio-assistenziale nel cuore verde d’Italia.

Intanto noi stavamo lavorando su quale dovesse essere lo specifico della nostra azione a favore dei soggetti deboli; eravamo infatti ancora legati alla ragione sociale (“la formazione umana e cristiana dei disabili”) del Centro comunitario “Gesù Risorto”, ente di diritto ecclesiastico fondato da don Franco Monterubbianesi negli anni ’60 e poi riconosciuto anche dal diritto civile.

Lunghe discussioni nel Consiglio intercomunitario di Capodarco. Chi centrò il bersaglio fu il giovane don Vinicio Albanesi, classe 1953, la cui proposta nel 1984 ebbe il consenso di tutti: “La Comunità di Capodarco persegue lo sviluppo della persona, con particolare attenzione agli emarginati”. L’emarginazione è il mostro da battere. L’emarginazione dei disabili, degli anziani, dei tossicodipendenti, dei fuori di testa, dei barboni, dei vu’ cumprà

Eccolo, il punto da cui ripartire. Ab ovo, cioè dall’epicentro del problema.

AUTORE: Angelo M. Fanucci