S. Giuseppe da Leonessa e la nuova evangelizzazione

Qualche sera fa, tornando da Leonessa dove avevamo stabilito di tenere la nostra Conferenza mensile dei vescovi della Regione, aderendo all’invito rivoltoci dal carissimo confratello mons. Chiaretti, arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve, ho trovato un biglietto che mi ricordava di preparare il mio articolo per il settimanale La Voce. Dal momento che l’invito e la nostra accettazione era stata motivata dalla venerazione al santo cappuccino, grande evangelizzatore dell’Umbria, per prenderne ispirazione nell’imminenza dell’Anno della fede indetto da papa Benedetto XVI per l’anno cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II, ho creduto opportuno scrivere per dare notizia a tutto il nostro popolo dell’Umbria della eroica opera di questo Santo a comune edificazione. Il Santo fu l’apostolo della “nuova evangelizzazione”, dopo la crisi della Chiesa a seguito della tragica mondanizzazione umanistico-rinascimentale del potere ecclesiastico e dell’aspro dissidio teologico con il protestantesimo. Abbiamo iniziato la nostra Conferenza in preghiera nella Chiesa del convento dei Cappuccini e più tardi abbiamo concelebrato l’eucaristia nel tempio dove è venerato il corpo di san Giuseppe, presieduta dal nostro presidente, l’arcivescovo mons. Paglia, attorniato dall’ordinario della diocesi di Rieti, di cui ora fa parte Leonessa, mons. Delio Lucarelli, e dall’arcivescovo emerito mons. Chiaretti, e da tutti noi, insieme a mons. Gino Reali vescovo di Porto-santa Rufina. La biografia del Santo è davvero straordinaria. Eufranio Desideri, terzo di otto figli, nacque a Leonessa l’8 gennaio 1556. A quindici anni maturò la sua vocazione tra i Cappuccini e trascorse molti anni della sua formazione a Perugia, nel convento di Montemalbe. Fu ordinato sacerdote in Amelia il 24 settembre 1580. Ottenuta a Montemalbe la patente di predicatore, iniziò la sua itineranza nei piccoli paesi della montagna umbro-marchigiana. Avendo chiesto di recarsi in missione, il 1° agosto 1587, in occasione del Perdono di Assisi, ottenne di far parte del gruppo di missionari che Sisto V inviò a Costantinopoli, i primi dopo i fatti di Lepanto, e ivi operò tra i cristiani condannati alle “galere”. Ma quando, scampato dalla peste, volle tentare – come san Francesco – di avvicinare il sultano Murad III per annunciargli Cristo, catturato fu appeso al gancio per una mano e un piede, da cui fu liberato dopo atroci sofferenze per l’intervento dell’ambasciatore di Venezia e della stessa sultana.

Il supplizio di san Giuseppe da Leonessa (Perugia, Oasi di S. Antonio)

Tornato in Italia nel 1589, si dedicò per un ventennio a una predicazione intensissima fino a sette-otto prediche al giorno nei piccoli paesi, operando anche sul piano sociale a difesa dei poveri, fondando Monti frumentari e ospedali, promovendo pacificazioni clamorose, operando come taumaturgo a sollievo della popolazione bisognosa per le frequenti carestie e pestilenze. Nelle sue peregrinazioni visitò spiritualmente tutte le diocesi dell’Umbria. Morì il 4 febbraio 1612 nel convento di Amatrice. Il suo corpo fu strasferito a Leonessa nella notte del 18 settembre 1639 in occasione di un grave terremoto. Fu canonizzato da papa Benedetto XIV il 29 giugno 1746. Pio XII proclamò san Giuseppe da Leonessa patrono delle missioni in Turchia e nel Medio Oriente, e Paolo VI il 2 marzo 1967 lo nominò patrono di Leonessa.

AUTORE: Pietro Bottaccioli, Vescovo emerito di Gubbio