Sagra musicale umbra, gran finale con Bach

Il concerto di chiusura è stato un momento altissimo

Abbiamo avuto modo di scrivere che la Sagra musicale umbra quest’anno è entrata nel tempio ed ha reso un servizio liturgico appropriato, come è giusto che sia per una musica che si dice sacra e che è nata per la preghiera e il culto divino. Questo lo ha fatto con il canto gregoriano e con la Messa breve di Britten per voci bianche cantata da un prestigioso coro di ragazzi (vedi La Voce del 26 settembre, articolo a pag. 7). Una cosa simile è avvenuta dentro la basilica di San Pietro dei padri Benedettini di Perugia con il concerto conclusivo, nel quale è stata eseguita la Messa in Si minore di Bach. Non si è celebrato il rito, come è avvenuto nella cattedrale di San Lorenzo, ma la basilica nella sua bellezza ha offerto alla musica uno spazio carico di sacralità e tale da sostenere, se ce ne fosse stato bisogno, l’orientamento dei pensieri verso la trascendenza e la qualità mistica dei sentimenti sprigionati dalle note di Bach. Non saprei dire se il teologo Dietrich Bonhoeffer, tedesco evangelico, avesse ragione ma, in una lettera scritta dal Lager nazista in cui era rinchiuso (vi verrà impiccato nel 1945) ha affermato che la Messa in Si minore è la più alta espressione della musica. Chi l’ha ascoltata nelle due ore di esecuzione ininterrotta, di cui non si avverte il passare del tempo, sperimenta una sorta di coinvolgimento in un flusso come di un fiume in piena, verso un approdo che non ha confine e che si svolge e cresce continuamente con un sovrappiù di tensione interiore. Eppure questa Messa non è nata in maniera organica. È il frutto di quindici anni di scrittura ed elaborazione e contiene nei vari brani le caratteristiche specifiche dello stile del grande compositore. Possiamo dire che in questa Messa c’è tutto Bach e tutto ciò che è caratteristico del suo stile e del suo modo di esprimere i sentimenti intimi e profondi della sua anima di uomo, di artista, di genio e di credente. Ci risenti motivi e ritmi delle Cantate, delle Passioni, gli improvvisi mutamenti di toni come quando dall’incarnatus e crucifixus, che sprofondano l’ascoltatore nella tristezza fino alle lacrime, fa sobbalzare di gioia nel grido di tutto il coro e l’orchestra nel pieno del resurrexit. Una parola a parte merita il direttore Helmuth Rilling, che ha diretto senza gestualità spettacolare, con quegli occhi fissati volta a volta sul coro o sui vari gruppi orchestrali, o sui solisti con una tensione emotiva che trasmette vitalità e forza. Un uomo che ha assimilato Bach e la sua musica per tutta la sua vita ed è riuscito a trasmettere non solo le note esatte, ma lo spirito che dà un potente slancio agli esecutori e un’indimenticabile emozione agli ascoltatori dalle prime note del Kyrie al Dona nobis pacem.

AUTORE: E. B.