Se vuoi la pace rispetta il creato

La cronaca mostra che quando l'ambiente viene sfruttato, inquinato, stravolto, anche l'uomo che lo abita subisce la violenza. I grandi temi del nucleare, del diritto alla terra, dell'economia?

“Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”: sarà questo il tema della prossima Giornata mondiale della pace, che si celebrerà il 1’gennaio 2010. Il tema scelto dal Papa, spiega una nota, intende “sollecitare una presa di coscienza dello stretto legame che esiste nel nostro mondo globalizzato e interconnesso tra salvaguardia del creato e coltivazione del bene della pace”. La Chiesa italiana sta intanto organizzando la tradizionale Marcia della pace di fine anno, che passerà per L’Aquila e durerà tre giorni: il 30 dicembre inizierà con un incontro di riflessione a Terni, sarà in Abruzzo il 31 e si concluderà il 1′ gennaio 2010 a Piazza San Pietro. Ne abbiamo parlato con Matteo Mascia, esperto di temi ambientali della Fondazione Lanza.

Quale legame c’è tra salvaguardia del creato e costruzione della pace? “È un tema veramente importante e significativo, in continuità con il messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata della pace del 1990 ‘Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato’, ancora di grandissima attualità. Sulle emergenze ambientali e sociali, i cambiamenti climatici, l’uso delle risorse naturali, si può giocare l’aumento della conflittualità o, in positivo, creare percorsi di cooperazione, solidarietà, partecipazione. Anche perché l’ambiente, l’aria, l’acqua, trascendono i confini degli Stati, quindi le soluzioni vanno cercate in un contesto di cooperazione multilaterale. L’aumento della temperatura, l’innalzamento del livello dei mari, ecc., provocheranno infatti notevoli scompensi su scala globale. La questione energetica, ad esempio, ha inciso su alcuni grossi conflitti. E sarà sempre peggio, perché diminuiscono le fonti non rinnovabili. Dobbiamo allora cercare modalità di cooperazione diverse, più rispettose delle comunità locali. Altrimenti i più deboli pagheranno il prezzo più alto”.

Eppure non sempre le dichiarazioni dei governi si traducono in fatti, soprattutto in tema di cambiamenti climatici. “È vero, ma l’unica alternativa è rafforzare la cooperazione multilaterale, rafforzare le Nazioni Unite come governo mondiale con potere di sanzione. Per questo servono norme e regole a livello internazionale. Poi dobbiamo agire a livello continentale e nazionale. Nei singoli Paesi dobbiamo rafforzare normative e controlli. I governi hanno un ruolo fondamentale nell’avviare politiche di riduzione delle emissioni e gestione delle risorse che riconoscano il diritto ad alcuni beni essenziali come l’acqua. Ma gli interessi economici ancora indirizzano le decisioni politiche. Manca assolutamente una visione di lungo termine. In questo modo mettiamo a repentaglio la vita e il futuro delle generazioni future. Allo stesso tempo ci sono forti segnali da parte della società civile, delle Chiese, delle imprese, di tutti coloro che hanno colto la valenza strategica della salvaguardia dell’ambiente”.

Ci sono poi molti conflitti legati alla terra, vedi i popoli indigeni in America Latina. “In quei casi è importante il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni all’accesso alla terra. È ancora in atto uno scontro grandissimo, perché nei Paesi del Sud del mondo spesso si produce in funzione del Nord del mondo e non per l’autosussistenza locale. Qui diventano importanti i comportamenti individuali e globali. Le scelte alimentari possono favorire il consumo di beni locali e stagionali. Può essere un segnale forte che favorisce gli interessi dei piccoli produttori locali e dei consumatori. È importante tenere alta l’attenzione su questi temi. Anche se sul piano culturale, per quanto stia crescendo l’interesse, tanti non si rendono conto che siamo parte della natura, un dono di Dio che ci è stato dato non solo per il consumo ma per amministrarlo nel tempo. Dobbiamo continuare a lavorare in un’ottica educativa per modificare il nostro atteggiamento”.

Perché molti governi ancora non capiscono che si potrebbe fronteggiare la crisi anche investendo sull'”economia verde”? “Abbiamo dei segnali, ma questa nuova cultura ancora fatica ad affermarsi: in Germania, ad esempio, sono stati creati 100.000 nuovi posti di lavoro, Obama negli Usa ha lanciato un piano del genere. In Italia ancora non si capisce che investire sull’ambiente non è un costo ma un’opportunità. In questo senso l’attuale Governo è molto debole, non sta utilizzando la crisi economica come occasione e stimolo per ripensare il nostro modello di crescita, mettendo al centro la questione della sostenibilità e lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Se al posto del ‘piano casa’ fossero stati sviluppati programmi di efficienza energetica, avremmo potuto dare una forte spinta alla crescita economica senza mettere a repentaglio il nostro territorio”.

Anche decisioni come il nucleare non favoriscono certo l’ambiente e la pace. “Assolutamente no. Il nucleare non è favorevole all’ambiente perché è una tecnologia ad alto rischio che produce scorie tossiche nocive, e per eliminarle servono migliaia di anni. E nessun Paese ha ancora trovato siti sicuri dove smaltirle. Inoltre si usa l’uranio, importato da Paesi del Sud del mondo, nella solita ottica di sfruttamento delle risorse altrui. Rilanciare il nucleare significa avere un atteggiamento del passato. Non c’è più nessun Paese, a parte l’Iran e la Corea, che sta investendo su centrali nucleari di vecchia generazione, semmai sulla ricerca per il nucleare pulito. Il nucleare vuol dire grandi interessi, grandi strutture, soggetti monopolistici che vi lavorano, azioni centralizzate. Al contrario le rinnovabili consentirebbero una grande responsabilizzazione del territorio e una maggiore partecipazione dei cittadini alle scelte”.