Senza paura di esporsi

“Lettera al laico” al termine della Settimana di aggiornamento pastorale del Cop

“Preti e laici, tutti siamo chiamati alla santità e ad annunciarla con la vita, con scelte concrete nel fare il prete, nel matrimonio, nella vita consacrata”. È un passaggio della Lettera al laico diffusa al termine della 61a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, organizzata dal Cop (Centro di orientamento pastorale) a Firenze dal 20 al 23 giugno sul tema “Educarsi alla corresponsabilità. I battezzati nel mondo alla prova della vita quotidiana”. “Abbiamo una missione comune – riporta la Lettera, che contiene alcune suggestioni maturate nei quattro giorni di riflessione e dibattito –: annunciare il Vangelo. Le relazioni, che sono il perno della vita di una comunità cristiana, le dobbiamo sviluppare nella direzione di una matura corresponsabilità. Una Chiesa tutta ministeriale non è una Chiesa clericalizzata, ma popolata anche di laici autentici ed evangelizzatori”. “La corresponsabilità che viviamo – si legge ancora – è più ricca di una rivendicazione, è più viva di un dovere, è più aperta di un impegno, è più concreta di un sogno, è più vera di una illusione: è una vocazione esigente cui Dio chiama tutti i battezzati, preti e laici, nessuno escluso”. La corresponsabilità “prima che un diritto da far valere e un grande dovere da assolvere”, ha detto mons. Domenico Sigalini, presidente del Cop, tracciando a chiusura dei lavori le prospettive emerse. “Il laicato – ha osservato – è apprezzato e talora rassegnato, è carico di aspettative e, nello stesso tempo, lasciato a se stesso, senza stabili cammini formativi che lo aiutino a crescere. Si sa bene che le relazioni sono il perno della vita di una comunità cristiana, ma non vengono sviluppate nella direzione di una matura corresponsabilità; c’è consapevolezza che il laicato è la spina dorsale della vita di una Chiesa locale, ma forse è ancora ai livelli di una splendida teoria”. “Evangelizzare – ha precisato il vescovo –, per i laici che si appassionano alla vita del mondo, significa sposare i propri ambienti di vita, superare la tentazione dell’estraneità e abbandonare il recinto di una comunità autoreferenziale”. Mons. Sigalini ha invitato al confronto tra “cristiani che operano nel territorio”. “Non diamo al mondo una bella immagine – ha aggiunto – se all’interno delle nostre Chiese siamo divisi per gli interessi personali e per le appartenenze a una parte politica prima che alla dottrina sociale della Chiesa e al Vangelo. Non si sperimenta né responsabilità, né corresponsabilità, ma irresponsabilità. S’impone il superamento di particolarismi, chiusure, piccoli recinti, per costruire nel territorio percorsi di vera fraternità e comunione. Ancora di più – ha rimarcato – chi s’impegna politicamente non deve sentirsi un appestato, deve sapere sperimentare sempre che la sua casa è la Chiesa, che come compito primario per costruire percorsi di corresponsabilità offre al cristiano ascolto della parola e esperienza di fede, lì riceve forza per la testimonianza, anche rimprovero per l’infedeltà, perdono per gli errori. Nella vita quotidiana non siamo esenti dal pericolo di falsi profeti, di miraggi magari di efficace impatto sociale ma che potrebbero falsificare il Vangelo. Il segno dei frutti e la loro corrispondenza allo spirito delle beatitudini diventa il luogo della verifica della coerenza che ogni corresponsabilità presuppone, se vuole davvero contribuire alla manifestazione del regno di Dio”. Ad aprire l’ultima giornata di lavori è stato Giuseppe Savagnone, direttore dell’Ufficio per la cultura della diocesi di Palermo, che ha invitato a non temere di esporsi. “L’uomo che vuole realizzare appieno la sua vita cristiana – ha affermato – non può fare a meno delle grandi passioni” e deve stare “nella vita reale”. Riferendosi a un diffuso rifiuto nell’affrontare questioni politiche in parrocchia, Savagnone ha messo in guardia dall’avere “un amore ingessato, senza grandi passioni”, e “lo spegnersi della passione per le questioni umane nella comunità cristiana non è un buon segno”. “Se qualcuno, impegnato in parrocchia, si candida in un partito – ha denunciato il docente – viene subito ostracizzato perché ‘si è schierato’”, mentre proprio questo sarebbe “entrare nella vita reale delle nostre comunità”. Invece, ha lamentato, “è venuta meno la nostra capacità d’incidere sulla cultura delle nostre società” e si vive secondo un “doppio binario”, per cui “si partecipa entusiasti alla preghiera, poi, usciti fuori dalla dimensione ecclesiale, quando si devono pagare le tasse, scegliere un canale televisivo, votare un candidato, ci si comporta come tutti”.