Siria: parla il vescovo caldeo mons. Audo

Per il futuro del paese servono riforme, diritti e modernizzazione delle strutture

Il 4 dicembre è scaduto l’ultimatum della Lega araba a Damasco, chiamata a dare una risposta al suo piano di pace, pena sanzioni quali la sospensione di tutte le transazioni con il Governo e la Banca centrale siriana, la sospensione dei voli da e per la Siria, il divieto d’ingresso nei Paesi arabi per i funzionari pubblici e il congelamento delle collaborazioni economiche. Risposta positiva che, salvo smentite, è giunta il 5 dicembre, con l’accettazione formale del piano di pace dei Ventidue del Cairo. Bashar al-Assad è ora chiamato a porre fine alla repressione delle proteste e ad accettare anche l’invio di 500 osservatori tra i quali membri di Organizzazioni per i diritti umani, giornalisti e militari. Il Paese sembra diviso: da una parte la popolazione non tollera il regime di Assad e del suo partito Baath, le sue tecniche dilatorie nel propugnare riforme; dall’altra una fetta – forse non del tutto minoritaria – che sostiene il presidente che, seppure a discapito della democrazia, avrebbe portato un minimo di ordine e un livello di vita accettabile anche per le minoranze religiose. Una situazione che preoccupa non poco la Santa Sede: il 2 dicembre, intervenendo alla sessione speciale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, a Ginevra, l’osservatore permanente vaticano presso l’Ufficio Onu, mons. Silvano M. Tomasi, ha auspicato che siano accolte le legittime aspirazioni della popolazione e la fine delle violenze. Sugli ultimi sviluppi in Siria il Sir ha parlato con il vescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo.

Eccellenza, le notizie parlano di una risposta positiva del presidente Assad alla Lega araba. “La situazione resta difficile. Subiamo pressioni di tipo economico che turbano la popolazione e ne minano la fiducia. La Lega araba, per la prima volta, si è mossa, forse perché spinta da forze esterne, per sostenere un atteggiamento confessionale, la maggioranza sunnita contro sciiti e alauiti. Ma non vogliamo diventare come l’Iraq”.

Cosa intende dire?
“Se dall’estero continuano a fare pressioni e a incoraggiare la lotta confessionale, andremo verso la guerra civile, che provocherà la distruzione della Siria. Il nostro Paese non ha bisogno di guerre ma di riforme, di diritti, di modernizzazione delle strutture, di pluralismo, che il Governo vuole cercare di fare. Non si può accendere la miccia di scontri confessionali imponendo pressioni economiche. Così non si fa il bene della Siria e del suo popolo”.

Nemmeno violandone i diritti umani. Sono di questi giorni le notizie su casi di tortura e maltrattamenti di detenuti anche bambini…
“Non credo a torture e ad abusi contro i bambini come denunciato da più organizzazioni. Non esiste una mentalità simile in Siria. Non è possibile”.

Qual è, a suo parere, la via da seguire?
“La via, come ribadito dalla Santa Sede ancora pochi giorni fa, è il dialogo affinché i diritti legittimi degli individui e delle minoranze, che fanno parte della Siria, possano essere rispettati, e che queste possano partecipare più attivamente alla gestione del Paese. La violenza non paga, per questo dobbiamo insistere sulla riconciliazione e sul rispetto dei diritti umani. In Siria esiste una tradizione di mutuo rispetto verso le minoranze e le diversità, ma abbiamo bisogno di strutture e mezzi politici moderni perché questa oggi possa continuare a vivere e a prosperare. La Chiesa locale incoraggia il contatto, il dialogo perché si giunga a questi risultati. Quello che sta accadendo in Egitto, in Tunisia, in Libia, dove l’estremismo musulmano sta prendendo piede, ci preoccupa. Noi non vogliamo cadere nella rete del fondamentalismo. La Siria ha un’altra situazione, un’altra tradizione”.

Cosa dovrebbe fare, allora, il presidente Assad?
“Il presidente dovrebbe permettere una transizione pacifica del potere laddove il popolo, attraverso un voto democratico e libero, lo decidesse. La volontà popolare è sovrana. La Siria, con Assad o con un altro, deve poter continuare il suo cammino. Il popolo deve scegliere, senza ricorrere alla violenza come è successo in Libia. È una sua legittima aspirazione”.

E la comunità internazionale?
“Credo che la comunità internazionale debba fare il possibile per aiutare la Siria, prendendone a cuore i bisogni e le esigenze del popolo e dei suoi governanti, e non solo comminando sanzioni. Questo atteggiamento potrebbe aiutare a stabilizzare la Siria”.

I cristiani siriani vengono accusati di stare dalla parte del regime di Assad, è così?
“La comunità cristiana è impegnata per la pace e la riconciliazione nonostante sia preoccupata per una eventuale svolta fondamentalista. Siamo a favore di riforme vere, serie, che abbiano a cuore il bene della Siria e di tutto il suo popolo. Il sostegno che la maggioranza dei cristiani offre ad Assad nasce anche dalla preoccupazione di ciò che potrebbe accadere dopo la caduta del presidente, che non ha mai creato problemi alla minoranza. Questo, tuttavia, non ci esime dal chiedere con forza meno corruzione, riforme serie, rispetto dei diritti e delle minoranze. Cosa che non potremmo fare se si dovesse verificare anche da noi ciò che sta accadendo in Iraq”.

AUTORE: Daniele Rocchi