“Sono ritornato stanco ma entusiasta”

Mons. Chiaretti racconta la visita in Malawi

“Sono ritornato entusiasta! Stanco, non lo nascondo, ma entusiasta”. Sono le prime parole di mons. Giuseppe Chiaretti, rilasciate durante l’intervista che ci ha concesso a pochi giorni dal rientro dal suo viaggio in Malawi. Entusiasta di trovare una comunità cristiana di appena 100 anni di vita che va fiorendo, una comunità dove colpisce la semplicità, la generosità, fino alla commozione. “La celebrazione della Messa: cinque ore! Ho avuto lacrime… non posso dire ho pianto; ma mi sono commosso per davvero nel vedere innanzitutto la sincerità, la spontaneità, la semplicità di questa gente che è stata cinque ore senza muoversi. E poi vedere l’offerta dei loro doni alla Chiesa. Tutti vengono con qualcosa, anche il bambino che sta dietro le spalle della mamma, anche lui con la sua monetina… offerte anche semplici – chi porta una pannocchia, chi un uovo, chi una testa di cavolfiore… – tutti partecipano”. Esperienze semplici, genuine, dove si tocca con mano la dignità di questo popolo, malgrado l’estrema povertà: “Abbiamo saputo che adesso, nel mese di novembre ci sarà una grande fame, una grande carestia: sono state svendute tutte le scorte di grano, mentre quest’anno c’è stata grande siccità. Quindi si ritroveranno nella fame e noi dovremo trovare un modo per aiutarli”. Ma è un aiuto, quello che cerca di dare la nostra diocesi alla “gemella” Zomba, che va ben al di là del sostegno economico per sconfiggere la piaga della fame: un sostegno che vuole essere pastorale, culturale, sociale. Ecco allora le conseguenze del viaggio effettuato principalmente per verificare i bisogni reali di questa giovane Chiesa: “Abbiamo preso coscienza della situazione – dice l’Arcivescovo – e delle loro necessità. Abbiamo fatto prendere coscienza della situazione non soltanto nell’ambito della nostra Chiesa ma anche alle nostre istituzioni locali che si sono fatte coinvolgere – Comune e Provincia presenti con i loro delegati – e loro stessi hanno veduto quali sono le condizioni di vita della gente. Questo è stato un altro grande fatto dal quale nasceranno delle particolari conseguenze”. Tra le necessità più impellenti, la formazione dei laici: “La Chiesa di Zomba – spiega mons. Chiaretti – è di nascita recente, e i preti sono ancora inesperti. Allora abbiamo cercato di identificare i loro bisogni; ecco: il primo riguarda la preparazione del laicato, soprattutto nella dimensione socio-culturale, ma anche nella dimensione strettamente ecclesiastica come compartecipazione e corresponsabilità, per cui ci hanno chiesto delle presenze per aiutarli a crescere culturalmente, pastoralmente, spiritualmente …e pensiamo di poterli soddisfare. Ora sono loro che devono farci con esattezza un quadro delle richieste, poi manderemo sacerdoti, ma anche laici”. Altra necessità, l’aiuto da dare ai sacerdoti in situazione di particolare bisogno, “perché lì non hanno provvidenze economiche come qui in Italia – ci dice mons. Chiaretti. Ci siamo impegnati, quindi, ad attivare delle borse di ‘lavoro pastorale’ dedicate a San Giovanni Maria Vianney, attraverso le quali aiuteremo questi sacerdoti con un’offerta annua che manderemo in coincidenza con il Natale”. E poiché l’impegno pastorale di una Chiesa trova sempre grande sostegno nella preghiera di anime consacrate alla contemplazione e all’intercessione, “hanno chiesto anche un aiuto economico per costruire un monastero di clausura per le carmelitane. Suore che ci sono già. E questo monastero sorgerà nei pressi della chiesa cattedrale”. L’ultimo progetto da sostenere è ormai noto ai fedeli della nostra diocesi: riguarda il Politecnico di Thondwe, “una scuola professionale abbinata a un’azienda – perché ci sia interazione tra queste due realtà. Abbiamo fatto visita a questa azienda, ma certamente c’è bisogno di impostare le cose su parametri più efficienti e per questo pensiamo di mandar giù due giovani di una organizzazione non governativa, con i quali ci siamo già accordati, in maniera da provvedere ad una istruzione sistematica dei responsabili, cercando di creare una classe dirigente, in maniera che siano loro stessi a gestire le loro cose”. I due giovani, uno di Pisa, agronomo e l’altro di Padova, veterinario, sono volontari della Lvis, una Ong di Cuneo, contattati attraverso la Caritas italiana. “Qui si inserisce il discorso – prosegue l’Arcivescovo – di locali che siano per noi punto di appoggio. Ecco come è nata l’idea di fare una piccola costruzione a Thondwe dentro il complesso del loro centro pastorale”. Altre visite sono state fatte ai centri sanitari, agli ospedali: a quello di Chipini, gestito da religiosi, dove tutto è decoroso, e a quello civile di Zomba, dove l’impressione è stata davvero pessima: “L’impatto più drammatico”, ci dice l’Arcivescovo. Non ci sono medici se non uno tedesco; solo infermieri. Non c’è pulizia, ma solo malati e malati messi insieme. Poi incontri al Comune con il Sindaco, all’Università con il Rettore, e anche incontri con rappresentanti di altre chiese cristiane, ma il dialogo, lì, non è ancora così sentito. Insomma, un bagaglio di entusiasmo, riportato da questo viaggio, che nasce “da questa possibilità di apertura che abbiamo come Chiesa locale: se vogliamo dare un segno della nostra vitalità dobbiamo aprirci alla missionarietà anche andando, quindi una missionarietà che comporta trasferimento di persone, non soltanto di mezzi”. Un entusiasmo che nasce dalla riuscita del collegamento con le istituzioni civili della nostra città e provincia di Perugia… “Tutto questo farà crescere piano piano la sensibilità per cui vorremmo veramente adottare questa città. Tra l’altro sento questo bisogno perché nello stemma di Zomba ci sono parole che mi sono familiari: ‘Floreat Zomba’: è una parola latina! Trovarla in un contesto dove si parla una lingua fatta di 900 parole, dove si parla inglese…”. Un gemellaggio già scritto, si direbbe, in questo motto. “Un aneddoto bello – ricorda mons. Chiaretti – è che mi sono trovato lì in un paese dentro la savana, un paese fatto ancora di capanne, dove siamo entrati casualmente, quasi per sbaglio e vengono fuori dei giovani che sentono parlare italiano. E ci chiedono: ‘Ma voi siete italiani?’, e diciamo: ‘Sì’. Parlano anche loro italiano. Quando vengono a sapere che c’è anche il Vescovo vengono da me tutti contenti per dire : ‘Siamo stati in Italia per la celebrazione del Giubileo ed eravamo in diciassette’. Insomma, nella remota Africa, in un paese fatto ancora di capanne, trovare giovani entusiasti, contenti, che ti dicono: abbiamo formato un gruppo di 100 persone e ti parlano con entusiasmo della Giornata Mondiale della Gioventù alla quale hanno partecipato… Be’ questo è segno di vitalità; uno si sente rincuorato”.

AUTORE: Francesca Acito