Sospinti dal Soffio di Dio

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Santissima Trinità - anno B

La liturgia oggi celebra la Trinità santa, ossia Dio in quanto Trini-Unità, come si esprime la teologia ortodossa. Una domanda viene in mente a tanti: che cosa c’entra con la nostra vita concreta, quotidiana, questa complicazione teologica, in cui pare che non si riesca a cavarci le gambe? Le tre letture della messa rispondono mostrando che Dio è “relazione”. Egli istaura un rapporto con la storia dell’uomo: come Dio si dà a conoscere e sceglie (I lett.); come Spirito vivifica e pone in movimento (II lett.); come Figlio si fa fratello dell’uomo e spinge ad andare (III lett.).

Il brano dal libro del Deuteronomio esprime lo stupore per il fatto inaudito che Dio si sia dato a conoscere ad un popolo, scelto da Lui personalmente. Il fraseggio è antico e volutamente drammatico. Si fa riferimento al fuoco, che ricorda l’esperienza del Sinai, alla dimensione temporale e a quella spaziale, “dal giorno in cui Dio creò l’uomo… da un’estremità all’altra del cielo” (Dt 4,33-34). Lo stupore nasce dalla consapevolezza che Dio, che pure è l’Altro, il Trascendente, Colui che non può esse visto e nemmeno nominato, perché abita una dimensione inaccessibile, abbia scelto di entrare in una dimensione storica, accessibile all’uomo e di mettersi in relazione con lui. Non è quindi un solitario, aristotelico Motore immobile. Dio ha a che fare con il nostro quotidiano; con le nostre aspirazioni a vivere e a vivere felici. Così infatti si conclude la lettura di oggi: “… perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te” (Dt 4,40).

Nella seconda lettura, Paolo rivolge la propria attenzione allo Spirito di Dio, che è come dire al Respiro di Dio, al Vento di Dio (la lingua greca per designare il vento o il respiro usa la parola che noi solitamente traduciamo “spirito”). Paolo intende, per prima cosa, rispondere alla domanda: chi è figlio di Dio? Risposta: è figlio di Dio chi si lascia guidare dal Vento di Dio. “Quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Rm 8,14). L’espressione richiama l’immagine dell’imbarcazione a vela, che si dirige nella direzione verso cui il vento spira, mentre l’equipaggio lo asseconda con l’orientamento delle vele, del timone e quant’altro.

Il vento di Dio spinge l’uomo verso il luogo dove egli troverà libertà e pienezza di vita. L’uomo è libero di assecondare il Soffio; l’uomo è libero di resistere al vento di Dio e cercare autonomamente la propria libertà, assumendosene le responsabilità relative. La figura del figlio poi rimanda a quella della famiglia, dove, ai tempi di Paolo, vivevano fianco a fianco figli e schiavi. Il figli guardando il padrone di casa, spontaneamente chiamavano “abbà”, vale dire “papà”. I figli di Dio, rivolgendosi a Dio, spontanea- mente gridano “Abbà!”, cosa impossibile agli schiavi, dominati dalla paura. I figli di Dio sono uomini liberi, dinanzi al Padre e ai fratelli, e non hanno motivi di paura. La libertà dalla paura è la garanzia che siamo veramente figli e non schiavi.

Quando la paura si fa strada dentro di noi, vacilla la certezza che Dio è Padre, e la libertà cede gradualmente il passo alla schiavitù. La metafora della famiglia si espande ancora e rimanda alla dimensione dell’eredità. “Se siamo figli, siamo anche eredi” (Rm 8,17). Gli schiavi non saranno mai eredi delle sostanze del padre di famiglia; solo i figli lo saranno. Di che cosa saranno eredi i figli? Della stessa eredità di Gesù Cristo, il quale è erede della gloria di Dio, “coeredi di Cristo” (Rm 8,17). L’antico Israele ebbe in eredità la “Terra”, simbolo della meta raggiunta, della fine delle angosce e delle tensioni; simbolo del riposo, della pacificazione profonda; della tranquilla accoglienza reciproca; della consapevolezza di essere giunti finalmente a casa. Verso quella direzione naviga ogni battezzato credente. È il sogno, spesso inconfessato, di ogni uomo.

La parola centrale nella lettura evangelica è “potere”. Gesù dice: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. Narra Matteo che gli undici discepoli – il dodicesimo se n’era andato – si recarono all’appuntamento con Gesù su un monte della Galilea, regione rivolta verso i pagani. Quando lo videro si inginocchiarono, ma anche dubitarono. Egli, come incurante dei loro dubbi, si avvicina loro e presenta se stesso come Colui che ha ricevuto “ogni potere”. Questo avvicinarsi di Gesù ai discepoli ha qualcosa di imponente: Egli dichiara che si è compiuta in lui la profezia di Daniele sul Figlio dell’uomo (Dn 7,13), personaggio profetico a cui Dio trasmette “potere, gloria e regno”. Con questo potere, li manda a fare discepoli tutti i popoli, a battezzarli e a istruirli nella via del Signore. Il battesimo sarà amministrato in nome della santa Trinità: Padre, Figlio e Spirito santo.

AUTORE: Bruno Pennacchini - Esegeta, già docente dell’Ita di Assisi