Sotto la neve non c’è più grano

Entra nelle ossa, ti fa venire i brividi lungo la schiena e, se esci di casa, il freddo e il chiarore della neve abbaglia gli occhi che si mettono a lacrimare, mentre il vento gelido ti schiaffeggia la faccia. Niente di male, se stai bene in salute e se in casa ti puoi permettere un buon riscaldamento. Eppure vi sono stati molti morti in Italia e in Europa a causa del freddo. Un amico ucraino, studente a Perugia, mi ha detto che nel suo Paese sono morte 160 persone. “Quando è freddo, la gente beve molto, si ubriaca e cade per terra o muore in casa”, spiega. Ma il freddo eccessivo uccide anche per altre ragioni. Vi sono stati morti in tutta Europa: chi dice 300, chi più di 400. In Umbria ha fatto notizia il caso del tedesco di 47 anni, Hagen Falck René, trovato morto a Castiglione del Lago in un anfratto della Rocca. Era conosciuto e benvoluto dalla popolazione: se avesse accettato, avrebbe avuto un riparo da parte dei servizi del Comune e dalla Caritas. Tanti altri, che si arrangiano a vivere all’aperto, con questo tempo sono stati accolti in strutture di enti pubblici e Caritas e di altre iniziative di volontariato. Vi sono pure situazioni non facili o persino impossibili da gestire, e non solo per mancanza di mezzi e strutture, ma per il rifiuto di accettare un alloggio da parte di chi ha paura di essere relegato o recluso. C’è ad esempio un clochard di una città del Nord, che non si sa perché si trovi a fare accattonaggio qui da noi e non stia nella sua città dove gli è assicurata l’assistenza; o la persona che ha una famiglia, ma beve e vive fuori; e lo straniero che doveva essere ritornato tante volte in patria e sta ancora qui. Insomma, situazioni umane che ci fanno ricordare coloro che si prendono cura di queste persone, come quei giovani che passano di notte a distribuire coperte e sacchi a pelo. Una ancora giovane donna, che dorme in stazione a Roma, intervistata da una giornalista del Tg 3 li ha chiamati “volontari de core e de fede”. Il volontariato in queste situazioni ha un bel da fare, e grazie a Dio c’è, come c’è anche una solidarietà diffusa che in queste situazioni emerge con più evidenza, per esempio quella del signore che spala la neve anche per il vicino o che porta la legna o la spesa all’anziano bloccato in casa. Ma ciò – anche se necessario e lo sarà sempre di più – non è sufficiente di fronte ai grandi problemi che provoca un evento meteorologico come questo. Tutti i settori vitali della società sono colpiti: lavoro, scuole, mobilità, commercio, sanità. L’amico Pierluigi Gioia descrive il fenomeno della nevicata da un punto di vista meteorologico e storico (a pagina 5). E va bene. Ma ci sono altri aspetti che si affacciano provocando reazioni e dibattiti accesi: dalla questione del cambiamento del clima e delle cause che lo determinano alla fragilità di una società complessa, tale che, se si inceppa un solo ingranaggio, si ferma tutto. Pensiamo solo alla consegna di merci e di medicinali o al blocco del gas o dell’energia elettrica. Un tempo, in agricoltura si diceva: sotto la neve c’è il pane (variazione: il grano), sotto l’acqua la fame. Oggi il grano chi sa da dove viene e come e così per gli alimenti e le merci in generale. La dimensione mondiale dei mercati e delle risorse e la complessità fanno saltare proverbi e certezze. Forse anche la poesia della neve e del suo fascino. Tutto ciò dovrebbe indurre amministratori e politici ad un radicale mutamento di atteggiamento, mettendo da parte ideologie, egoismi e ripicche per scegliere strade concrete di efficienza, a sostegno di una normale vita dei cittadini, anche in casi di emergenza.

AUTORE: Elio Bromuri