Sotto l’alluvione naturale e culturale

A fissare gli occhi sul teleschermo mentre si sta a pranzo o a cena si rimane stupiti, sgomenti di fronte alla potenza distruttrice dell’acqua. Quei torrenti e fiumi travolgenti che entrano negli ambienti della vita quotidiana di città e paesi, invadono le strade, travolgono macchine e ogni cosa che vi si trova, irrompono nelle case provocando anche morti come i due coniugi a Chiavari, e nei negozi provocando danni senza numero.

Solo a guardare quelle scene, si prova un senso di paura e impotenza. Sembrano riprodurre e rievocare il Diluvio biblico primordiale, rigettando nel caos la bellissima armonia del cosmo disegnato dall’Artefice divino. La domanda che si pone: è fallito il progetto scritto nel creato e segnato dall’arcobaleno (Genesi 9,12 s)? Per colpa di chi? Sembra una domanda ingenua, non scientifica e non concreta, ma si propone in queste occasioni in un’altra forma: quanto sta accadendo è colpa della Natura “matrigna” o dell’uomo? In altri termini, è troppa l’acqua che si abbatte sulla nostra terra, e con troppa violenza, oppure l’uomo – che conosce la forza e la possibile violenza della natura – non si è preso cura di tutelarsi adeguatamente? Una domanda che si pone anche in rapporto ai terremoti e ai vulcani.

Il custode della terra, l’uomo, posto in essa come in un giardino da contemplare, da conoscere, da utilizzare per la sua vita, da tenere in ordine secondo criteri di prudenza, operosità, cura, preveggenza e previdenza, dopo tante cattive esperienze e tanti insegnamenti, non ha ancora compreso che non è lui il padrone dispotico, con il diritto di comandare alla terra, al mare, ai fiumi e alle correnti d’aria, portatrici di brezze leggere o di tempeste irresistibili.

Non abbiamo ancora compreso che la natura ci trascende, è più forte di tutti, e che le sue leggi e le sue dinamiche sono senza pentimento. E continuiamo a costruire attorno alle bocche dei vulcani, e presso fiumi e torrenti, case che non reggono al minimo urto, presumendo che nulla accadrà e fidando sulla buona sorte. Dopo le tragedie ci si distrae, si dimentica o si scarica la rabbia – più o meno giustamente, secondo i casi – sui sindaci o sui Governi di turno.

So che le prediche non raggiungono il fine per cui sono fatte, se non limitatamente, e tuttavia mi sembra opportuno ripetere, in tutti gli ambiti della società, che non si deve dare la colpa sempre a “qualcun altro”. La diffusa ricerca dei diritti si deve comporre con l’assunzione dei doveri. Al “diritto di avere diritti”, secondo una formula di successo coniata da un docente di larga fama, che denota bene la cultura dominante di oggi, si dovrebbe sostituire un’altra forma di pensiero, meno di successo, che potrebbe suonare: “il dovere di essere responsabili” o in altro modo, “il dovere di sentirsi in dovere”, ognuno per la sua parte, considerando che per tutti, in misura diversa, c’è una parte di dovere verso l’ambiente: non solo quello naturale, ma anche quello umano, a cominciare dalla famiglia.

Non c’è spazio in questa pagina, ma si può almeno accennare che un discorso simile vale a proposito delle “acque minacciose” che invadono le famiglie e le menti attraverso i mass media vecchi e nuovi (web). Ad Assisi, il card. Bagnasco ha detto che si stanno distruggendo principi fondamentali del vivere nella famiglia introducendo, come “cavallo di Troia”, criteri di comportamento contrari a un sano e ragionevole ordinamento delle relazioni sociali e familiari.

Abbattendo le regole della ragione, la virtù della prudenza e il criterio della precauzione è come abbattere dighe e argini e si rischia l’alluvione, anche nell’ambiente umano, cioè il caos sociale, il nichilismo antropologico, il disordine morale, e un’immensa dose di sofferenza per tutti. Non serve, poi, piangere o andare in televisione a lamentarsi e protestare.

AUTORE: Elio Bromuri