Sulla sinodalità l’Azione cattolica può fare scuola

Il vescovo di Foligno mons. Gualtiero Sigismondi ha partecipato per la prima volta in qualità di assistente nazionale dell’Azione cattolica a un evento dell’associazione, e rilascia a La Voce la sua prima intervista in cui parla di sinodalità. Il suo nuovo compito è impegnativo: per poterlo seguire ha scelto di lasciare non la diocesi, “senza la quale non riesco a concepirmi”, ma il servizio di visitatore apostolico dei Seminari al quale era stato chiamato sempre da Papa Francesco.

Cosa vuol dire essere assistente nazionale di Ac?

“Lo devo scoprire, ancora! Comunque credo che il compito dell’assistente generale sia quello di ricordare all’Ac che la cura della vita interiore resta la prima pastorale, la più importante; che il discernimento passa attraverso la direzione spirituale, e gli assistenti devono dedicarsi soprattutto a questo. Più dei ‘campi’… il campo base è la cura della vita interiore”.

Qual è lo specifico dell’Ac oggi?

“Credo che una strada tutta tutta da scrivere – anche forte della storia – è quella di aprire un percorso per formare i laici all’impegno sociale e politico. Credo che di questo abbia oggi grande bisogno anche la nostra Italia, lo vediamo. Quest’assenza, forse anche questa latitanza dipende anche dal fatto che nessuno si è più preoccupato di formare queste persone. L’Ac credo che abbia, non dico l’esclusiva, ma certamente una bella tradizione che le permette di stare in prima linea con sicurezza”.

Si è occupato della formazione dei seminaristi come visitatore apostolico. Adesso si cambia campo, o alla fine parliamo della stessa cosa?

“Intanto adesso mi devo occupare del ‘seminario dei laici’, perché l’Ac è una sorta di seminario dei laici. E sono anche contento di questo cambio, perché mi aiuta a completare l’aspetto del mio ministero. Per tanti anni, prima come formatore poi come visitatore, ho tenuto l’occhio puntato in maniera decisa sui Seminari. È ora di cambiare aria, grato al Signore per l’esperienza fatta, ma consapevole che anche per me si aprono dei files nuovi di cui ha bisogno anche il mio ministero, per trovare nuova linfa vitale in uno spazio che è la Chiesa, perché la Chiesa è popolo di Dio”.

Papa Francesco ha riproposto con grande forza questa immagine di Chiesa, con l’idea della sinodalità, ad esempio. Quindi l’Ac, che è in questa linea, lo sarà ancora di più?

“Penso che anche sulla sinodalità l’Ac abbia un vocabolario ben collaudato, perché l’associazione è retta da uno stile che è sinodale, in fondo. Quella che chiamiamo ‘democrazia’ in realtà è esercizio concreto della sinodalità della Chiesa. Anche in questo l’Ac credo che possa fare scuola, visto che gli organismi di partecipazione non sono ancora decollati… anzi, sono ‘de-collati’ perché non hanno respiro: segno che manca una scuola, una palestra di sinodalità. Dicevi che la Chiesa è popolo di Dio: sì, Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio in cammino, questo è il nome della Chiesa. Quando partecipo alle processioni, mi piace fermarmi, voltarmi e guardare la Chiesa, Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio in cammino”.

Ecclesialità: a volte sembra che questa funzione possa soffocare quella che è anche la vista stessa dell’Ac, con un appiattimento su esigenze particolari, specifiche di parrocchie…

“Direi che la ricchezza dell’Ac è anche la sua debolezza. La ricchezza è il fatto che si identifica con la Chiesa, ma porta anche le ferite e le difficoltà della Chiesa, tutte, proprio per questa sua identificazione; che però è il punto di forza. Direi che tra Ac e movimenti la differenza è questa: è quella che c’è tra i ministeri e i carismi. Sono due realtà necessarie, ma il carisma si inserisce dentro il ministero. Direi che l’ossatura è il ministero, la muscolatura sono i carismi”.