Tutti annunciatori della sua venuta

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia II Domenica di Avvento - anno A

Domenica scorsa era lo stesso Gesù ad invitarci a guardare in avanti verso la sua ultima venuta nella storia del mondo e di ogni singolo uomo; oggi è Giovanni Battista ad assicurarci che Gesù viene già oggi nella Chiesa, ad annunciare di nuovo il suo Vangelo. È una venuta intermedia, tra il Natale di Betlemme e l’apparizione finale sulle nubi del cielo. Giovanni è l’annunciatore di questo avvento intermedio, sempre attuale, descritto dalle pagine del Vangelo che leggiamo durante tutto l’anno liturgico. In questo avvento intermedio, il futuro diventa presente, perché “colui che viene” è già qui, come dice il Battista: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me; a lui non sono degno di sciogliere nemmeno i legacci dei sandali” (Gv 1,26-27).

Guardare solo al futuro può creare evasione e fuga in avanti; guardare solo al passato può creare curiosità storica e nostalgia improduttiva. Dal futuro e dal passato prende significato il presente che diventa incontro impegnativo con il Gesù della storia. Con questo incontro dobbiamo confrontarci. Siamo dunque condotti dal Vangelo sulle rive del Giordano quando, per la prima volta, risuonò, forte e austera, la voce di Giovanni Battista, che preparava la strada a Gesù. Dopo più di trent’anni di silenzio passati a Nazareth nel lavoro di artigiano, Gesù decide finalmente di entrare nella vita pubblica e di iniziare la predicazione del Vangelo al mondo. La venuta (avvento) di Gesù è preceduta da quella di Giovanni “il battezzatore” (questo significa il nome di Battista), incaricato di preparare nella gente un cuore ben disposto ad accoglierlo. Giovanni è completamente orientato verso colui che annuncia: non predica se stesso, predica Gesù che sta arrivando.

Egli esiste in funzione di Cristo, unico scopo della sua vita, come dovrebbe essere per ogni cristiano. Matteo, l’evangelista, stabilisce una netta continuità tra i due, ponendo sulle loro labbra un messaggio identico, come un’eco che ripete esattamente il suono delle parole gridate: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (3,2; 4,17). La pagina evangelica di oggi è strutturata su tre registri: viene fornito un riassunto della predicazione di Giovanni, è poi descritta la sua persona e il battesimo da lui amministrato, infine è sintetizzato il suo richiamo al giudizio di Dio che sta per venire. Il tempo in cui Giovanni compare è vagamente indicato con una frase che a prima vista appare generica: “in quei giorni”. In realtà questi sono i giorni che Dio ha fissato per la venuta del suo Figlio. Iniziano i giorni della salvezza, aperti dall’invito del Battista che grida : “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”.

Il regno dei cieli indica la presenza regale salvifica di Dio, che ha deciso di intervenire nella storia dell’uomo. Il “regno dei cieli vicino” è lo stesso Gesù, perché in lui si manifesta la sovranità misericordiosa di Dio. In fin dei conti Giovanni annuncia la vicinanza di Dio, che sta per comparire nella persona di Cristo. Il luogo della sua apparizione al mondo è il deserto di Giudea, che si estende di qua e di là del Giordano. Lo aveva predetto già il profeta Isaia sette secoli prima (Is 40,3). Giovanni è erede del profetismo antico: il suo ascetismo e il suo abbigliamento richiamano la figura di Elia, anche lui uomo del deserto. Gesù stesso lo identificherà con l’Elia atteso ai tempi del Messia (17,12-13). Il suo cibo è quello dei beduini del deserto in tempo di carestia, un cibo povero e austero come si addice agli asceti. Qui, nel deserto, verrà Gesù per farsi battezzare da Giovanni (3,13). Allora si apriranno i cieli e il Padre presenterà ufficialmente al mondo suo Figlio, il Signore: “Questi è il Figlio mio prediletto in cui ho posto il mio amore” (3,17). Inizia così dal deserto, dove Dio aveva guidato il suo popolo nell’Esodo, un nuovo cammino, “la via del Signore”.

Le folle che accorrono per farsi battezzare da Giovanni nel Giordano confessano i loro peccati in segno di conversione, cioè di ritorno a Dio rimesso al centro della vita. Così egli prepara per Cristo un popolo ben disposto a ricevere il perdono. Saranno le stesse folle a venire da Gesù predicatore e taumaturgo. Solo la categoria dei farisei e dei sadducei, storici nemici di Gesù, sono trattati con severità per il loro formalismo religioso e per la loro durezza di cuore al messaggio di conversione. Loro non hanno bisogno di conversione, perché si ritengono giusti (Lc 18,9s). Per la loro opposizione alla parola di Dio, sia Giovanni che Gesù (23,23) li stigmatizzano come “vipere”, serpenti velenosi, insidiosi, dal morso letale. L’immagine esprime sia la ripugnanza propria dell’ambiente dei pastori nomadi, sia il disprezzo contenuto nel racconto biblico della creazione, dove il serpente è il simbolo della tentazione subdola e ipocrita, portatrice di morte e perdizione (Gn 3,1).

A loro specialmente Giovanni annuncia il giudizio severo di Dio prevedendo il male che faranno a “colui che viene”, cioè a Gesù. Pensavano che la salvezza fosse garantita loro dall’appartenenza al popolo eletto, alla discendenza di Abramo. Dicevano: “Come la vite si appoggia al palo, così gli israeliti si appoggiano ai meriti dei loro padri”. Giovanni sfata questa convinzione, affermando che nessuno vive spiritualmente di rendite altrui, e che “Dio può suscitare figli di Abramo anche dalle pietre”; in aramaico c’è un’assonanza tra figli (banim) e pietre (abanim). Egli ammonisce poi farisei e scribi a portare frutti di vera conversione, perché il giudizio di Dio è imminente: la scure è già alla radice dell’albero sterile, per abbatterlo e farne fuoco. Sta arrivando il Giudice ultimo, il Messia, il forte col quale Giovanni si paragona: egli non battezzerà, come sta facendo lui, con la sola acqua, ma con lo Spirito santo e il fuoco.

Il Battista annuncia già il battesimo cristiano, in cui l’acqua è segno dello Spirito (Gv 3,5), che apparve anche col segno del fuoco a Pentecoste (At 2,3). Così la coppia acqua e fuoco, visti come simboli del giudizio di Dio nella tradizione ebraica, diventano segno della salvezza cristiana. Dopo aver sottolineato la differenza tra lui e il Messia nell’amministrazione del battesimo, Giovanni paragona la sua persona a quella di Gesù: questi è più grande e più ‘forte’ di lui, tanto che lui si sente indegno perfino di sfilargli i sandali dai piedi, un servizio riservato agli schiavi. L’umile servo è instancabile annunciatore del suo Signore. Così Giovanni, così ogni cristiano!

AUTORE: Oscar Battaglia