Un Cristo ignaro e irriconoscibile

Libri. Approfondimento di un biblista a proposito dell''Inchiesta su Gesù' di Corrado Augias

La copertina del libro di Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta di Gesù, è davvero suggestiva: riporta un dettaglio del ‘Cristo di San Giovanni della Croce’ dipinto da Salvator Dalì nel 1951. Originale nella scelta dello scorcio, quello dall’alto verso il basso, ci offre una prospettiva del crocifisso a cui non avremmo mai pensato. Purtroppo, quel Cristo non mostra il suo volto, riverso com’è con lo sguardo alla terra. Questo stesso effetto si ha nel leggere il testo custodito dalla copertina. Non ho qui lo spazio per inoltrarmi nella confutazione di tesi non condivisibili, non soltanto sul piano della fede, ma anche della scienza (biblica e storica), a cui potremmo facilmente ricorrere per controbattere. Nemmeno possiamo soffermarci su quegli argomenti, molti, in verità, che sono ormai patrimonio accettato dall’esegesi biblica e che da anni sono noti anche in Italia e pubblicati e insegnati (ma allora perché tanto scalpore? Forse perché si può far leva sull’ignoranza dei fedeli?). Possiamo però ribadire un principio utile per affrontare la lettura di un tale libro. Il volto di Cristo che la Chiesa ha mostrato e consegnato ai credenti non è falso, come invece si può concludere da alcune affermazioni presenti nel saggio. Quel volto è certo un’interpretazione, ma cosa non lo è? Anzi: già la Scrittura, di per sé, è interpretazione, perché contiene sì il racconto degli atti compiuti da Dio in favore degli uomini, ma anche la loro lettura e la spiegazione di essi. Così, si può ritenere che è possibile un’interpretazione susseguente e che magari non si trova, esplicitamente, in nessun testo canonico neotestamentario. Se questo può essere ammesso, si può anche dire che l’insegnamento della Chiesa non è in disaccordo con la storia. Facciamo un esempio partendo dal libro Inchiesta su Gesù. Alla p. 29 Mauro Pesce afferma: ‘Gesù insegna ai suoi discepoli a dire ‘rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. Poiché è indubbio che sia stato Gesù a formulare questa preghiera, la frase mostra chiaramente quale concezione egli avesse della remissione dei peccati. I peccati vengono rimessi non in virtù della sua morte, bensì attraverso un rapporto triangolare tra l’uomo, Dio e il suo prossimo’. Con questa apparentemente innocua affermazione viene annullato qualsiasi valore salvifico alla morte di Cristo, che invece verrà conferito ad essa dai ‘primi cristiani’: essa rimane solo un ‘esempio’ per noi, perché Gesù ‘quando ha insegnato il Padre nostro non pensava di dover morire per i peccati degli uomini’ (ivi). Ci domandiamo dove si appoggi tale argomento, dato che nel Vangelo che tutti ritengono come il più affidabile storicamente, Marco, Gesù afferma che il Figlio dell’Uomo è venuto ‘per dare la propria vita in riscatto per molti’ (Mc 10,45). Ma possiamo anche controbattere con le parole di un altro storico, tra i più stimati in Italia e all’estero, Paolo Sacchi. Questi scrive, commentando il miracolo della guarigione del paralitico in Mc 2: ”Affinché voi sappiate che il Figlio dell’Uomo ha il potere di perdonare i peccati, io ti dico – dice Gesù al paralitico ‘ alzati e prendi il tuo letto’. Questo passo, che Marco pone non a caso all’inizio della predicazione di Gesù, contiene il nucleo di ogni speculazione cristiana successiva sulla giustificazione. L’idea di Gesù non è espressa in termini razionali, ma soggiace al suo gesto’ (Storia del Secondo Tempio, p. 470). Insomma, quanta ricchezza in un gesto ‘storico’ che Gesù ha compiuto, ma che solo dopo, magari da Paolo o dalla Chiesa, verrà compreso fino in fondo, quando si scoprirà l’idea che ‘soggiace’ a quel miracolo. Invece, il volto di un Gesù che non sa di morire per noi, è davvero irriconoscibile. La lettura di Pesce a volte dimentica che i Vangeli hanno uno scopo diverso da quello per cui egli li usa. Come detto bene in un volume che consigliamo a tutti per la sua chiarezza (B. Maggioni, Impara a conoscere il volto di Dio nelle parole di Dio, Padova 2001), per interrogare i Vangeli si deve sempre tener presente quanto segue: essi ‘costituiscono un genere letterario a sé. Si collegano al genere storico, in quanto riportano ricordi e tradizioni che raccontano cose realmente accadute. Il prologo del Vangelo di Luca (1,1-4) sottolinea con forza questa attenzione alla realtà dei fatti. L’esigenza di fedeltà alla storia delle prime comunità cristiane non va in alcun modo sottovalutata. I cristiani erano interessati a sapere se i fatti raccontati – di grande importanza per la loro vita – fossero o no accaduti. Tuttavia i Vangeli non sono paragonabili a resoconti cronachistici. Il loro scopo fondamentale è di nutrire la fede. Per questo sono un intreccio inscindibile di storia e di interpretazione. E si permettono alcune libertà che difficilmente uno storico moderno si permetterebbe’. I Vangeli possono essere interrogati sul piano storico-critico; anzi, il Concilio Vaticano II con la Dei Verbum ha dato impulso nuovo a tale ricerca. A questo livello, commenta ancora Maggioni, cerchiamo di scoprire ‘come sono andati’ i fatti. Ma alla Bibbia (ai Vangeli) interessano direttamente i livelli di lettura esistenziale e teologico. A questi livelli la ‘verità’ è molto più ampia di quella che si può dire ‘verità storica’; non la nega mai, ma la supera. Tale convinzione non ci pone in difesa o in atteggiamenti di timore di fronte a libri che magari hanno la pretesa, come si legge nella copertina di quello di Augias e Pesce, di svelarci ‘chi era l’uomo che ha cambiato il mondo’, ma anzi ci dona molta serenità, e la certezza che i Vangeli superano il vaglio di una lettura anche storica.

AUTORE: Giulio Michelini ofm