Un giudice può fermare l’Ilva?

Può un giudice, studiando carte nel chiuso di una stanzetta, fermare con un’ordinanza una enorme fabbrica che dà da vivere a migliaia di operai, e con loro ad una città intera? L’estate è stata movimentata, fra l’altro, dalle polemiche per il caso delle acciaierie di Taranto. Le prime reazioni, un po’ di tutti, sono state nel senso della sorpresa (a volte dell’indignazione) per questa esibizione di strapotere della magistratura. È stata invocata, una volta di più, l’introduzione di nuove leggi per limitare il potere dei giudici e renderli personalmente responsabili dei danni provocati dalle loro decisioni. Fra tanta indignazione, però, nessuno ha avuto la faccia di dire che non c’è inquinamento né pericolo per la salute. Sia pure a denti stretti, tutti hanno dovuto ammettere che l’inquinamento c’è e semina morte: però, hanno aggiunto, non tocca ai giudici occuparsene. E qui hanno un po’ di ragione, nel senso che prima dei giudici avrebbero dovuto occuparsene moltissimi altri: le autorità politiche nazionali e locali, ma anche l’opinione pubblica, i sindacati e – perché no? – la Chiesa. Le leggi in materia esistono e sono rigorosissime, quanto meno a partire dal 1982, quando la Comunità europea ha emanato la direttiva n. 501 per la prevenzione dei rischi derivanti da determinate attività industriali (ma leggi contro l’inquinamento industriale c’erano già). Da allora è stato un diluvio di nuove regole sempre più stringenti. Oggi, lo sappiamo, non possiamo tenere neppure un fornello a gas in cucina se non è più che sicuro e a norma: figurarsi un’acciaieria. È vero, nei due secoli passati l’inquinamento ambientale è stato il prezzo pagato per la rivoluzione industriale che ha portato, dopo lutti e sofferenze, benessere e riscatto sociale per le classi operaie. Ma ora quel prezzo non si dovrebbe pagare più. Farne a meno si può, perché la tecnica lo consente, e si deve, perché la legge lo impone. Ma se tutti voltano la testa dall’altra parte, alla fine arriva il giudice. Di chi è la colpa?

AUTORE: Pier Giorgio Lignani