Gesù ascende nei nostri cuori

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Ascensione del Signore - anno C

A prima vista si rimane un po’ sorpresi dalla apparente diversità del racconto dell’Ascensione negli Atti degli apostoli (At 1,3) e nella lettura evangelica (Lc 24,50), pur essendo entrambi scritti dello stesso autore, Luca. Nella prima lettura si dice che Gesù apparve ai discepoli durante quaranta giorni; che conversò intorno alle cose riguardanti il regno di Dio; poi si accomiatò da loro. Nel racconto evangelico invece sembra che risurrezione, apparizione ai discepoli sulla strada di Emmaus, apparizione nel Cenacolo e ascensione al cielo siano tutte avvenute nello stesso giorno. Sul piano teologico, si tratta indubbiamente di un’unica realtà. Alla prima comunità cristiana non interessava la cronaca degli avvenimenti, ma il contenuto kerygmatico della vicenda di Gesù.

Ciò che noi esprimiamo nella professione di fede: “Patì sotto Ponzio Pilato, morì, fu sepolto, discese agli inferi, è salito al cielo e siede alla destra di Dio Padre”, gli antichi scrittori cristiani lo espressero in diverse immagini e narrazioni. Già prima degli scritti di Luca, la liturgia delle comunità cristiane lo proclamava in forme poetiche. Una di esse fu ripresa da san Paolo nella lettera ai cristiani di Filippi (Fil 2,11) “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.

Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulle terra e sotto terra”. Altro tentativo di esprimere, in qualche modo, il mistero dell’Ascensione è presente nella seconda lettura. L’autore della Lettera agli Ebrei paragona Gesù al Sommo Sacerdote del tempio di Gerusalemme. Questi entrava una volta all’anno nella parte più sacra del Tempio, detto Santo dei Santi, con il sangue di molti sacrifici, una volta all’anno, allo scopo di espiare i peccati propri e quelli del popolo. Gesù invece è penetrato nel santuario del cielo, una sola volta per sempre, con il proprio sangue, ottenendoci una redenzione eterna.

Questo abilita anche noi ad entrare innanzi al trono di Dio in piena fiducia. Il brano termina con l’esortazione ad accostarci “con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura [il battesimo]. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso” (Eb 10,22-23). Non bisogna pertanto isolare l’Ascensione di Gesù dalla sua vita terrestre: l’Ascensione si situa nello stesso movimento della morte, risurrezione e glorificazione.

Il brano del Vangelo, come si è visto, colloca l’ascensione di Gesù nel giorno di Pasqua. I discepoli che hanno cenato a Emmaus con Gesù risuscitato, tornano di notte a Gerusalemme, dove trovano i loro compagni e tutti quelli che erano saliti dalla Galilea. Im- provvisamente Gesù appare e parla loro. Ora che lo hanno visto risuscitato, hanno il compito di testimoniarlo; ma devono restare a Gerusalemme, in attesa di ricevere lo Spirito promesso. Poi escono tutti insieme e si dirigono verso Betania, dove egli li benedisse e si separò da loro. La conclusione del racconto stupisce non poco: si dice che tornarono a Gerusalemme pieni di gioia (Lc 24,53).

Eppure, quando ci si separa da qualcuno con cui si è vissuti in intimità, sopraggiunge la malinconia. La loro gioia è il segno della certezza che Colui che non è più presente agli occhi, lo è in una maniera più intima nei cuori. Gesù non aveva forse detto: “Se uno mi ama, mio Padre lo amerà, noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”? Ora quella promessa è divenuta un’esperienza. Quando pertanto diciamo che Gesù è asceso al cielo, non dobbiamo intendere che è scomparso fra le nuvole o ancora più su; ma che è scomparso agli occhi dei suoi amici, perché è divenuto interiore a ciascuno di loro e di noi e di chiunque lo confessa Re dei re e primogenito di tutti quelli che, trascinati da Lui, risorgeranno. La narrazione che ne fa il libro degli Atti degli apostoli amplifica ancora un po’ la scena del distacco.

Scrive che mentre guardavano Gesù allontanarsi verso il cielo “una nube lo sottrasse ai loro occhi… e due uomini biancovestiti si presentarono loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’”. Queste parole segnano la fine del tempo in cui i discepoli hanno vissuto insieme al Gesù terreno e l’inizio della di una nuova vita, in attesa del Gesù glorioso. Per questo le comunità cristiane cantano: Maranhata, ossia: “Vieni, Signore!”.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi