Verona: andiamo alla sostanza

Sono stati certamente legittimi i commenti, e le critiche ai commenti, apparsi anche su questo giornale, su alcuni aspetti del Convegno di Verona, come ad esempio la faccenda dei fischi allo stadio. Un episodio che richiama alla memoria ciò che accadde quando i vescovi italiani, nel 1995, pubblicarono un interessante documento sui rapporti tra sport e vita cristiana; e cioè che, per aver essi ipotizzato ‘ cito testualmente ‘ ‘di liberare la domenica da uno sport dominante che, alla fine, non giova alla piena armonia del vivere umano e civile’, molti scrissero che i vescovi italiani avevano addirittura tuonato (metafora è ricorrente tra certi pennaioli) contro le partite della domenica. Delle splendide e spesso inedite riflessioni sullo sport nemmeno una parola.Qualcosa di analogo mi pare che sia accaduto in parecchi casi durante questo mese, con il quarto Convegno nazionale dei cattolici italiani: dalla ricca miniera di incontri, di prospettive pastorali, di aperti confronti, riflessioni culturali ecc. è stato tratto solo qualche episodio, e per giunta marginale. È invece necessario che le nostre comunità ecclesiali, e i ministri ordinati in specie, traggano da quell’evento motivi di riflessione e orientamenti concreti, conoscendo anzitutto cosa è veramente accaduto a Verona, durante i quattro giorni del Convegno nazionale. Non dico che tutti debbano leggere tutti i documenti del convegno, come l’introduzione del card. Tettamanzi, la relazione del teologo Brambilla, le sintesi dei cinque ambiti di riflessione, le parole conclusive del card. Ruini o il messaggio finale alle Chiese locali. Ma come potrà mancare, mi chiedo, un’apposita riflessione sul discorso di Benedetto XVI? Né presumo che debbano essere conosciute tutte le proposte emerse dai trenta gruppi, durati quasi dieci ore, nei quali ognuno ha potuto liberamente parlare: circostanza questa da non sottovalutare, dato che qualcuno aveva scritto che a Verona si andava solo per ascoltare programmi preconfezionati. Ma, mi chiedo ancora, come potranno mancare adeguati approfondimenti del tema centrale del Convegno ‘ Cristo risorto, speranza del mondo ‘ richiamato con forza da Benedetto XVI con quel parlare semplice e lineare, tipico dei suoi discorsi? ‘La risurrezione di Cristo ‘ ha detto subito, quasi per togliersi un pensiero urgente – è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. È la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il ‘salto’ decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo’. Parole che bisognerebbe non aver mai ascoltato, per poterne essere appieno sorpresi e affascinati, oltre che colmi di meraviglia. Dovremmo, in breve, non archiviare i punti nodali del Convegno come se nulla fosse accaduto, e impegnarci a diventare capaci di contemplazione, di azione e all’occorrenza anche di reazione: adulti cioè nella fede, spiritualmente e culturalmente. Sì, anche culturalmente, secondo il forte richiamo di Giovanni Paolo II, ignorato da troppi cristiani, per il quale ‘una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta’. Una delle cose più urgenti da fare, soprattutto in un tempo come il nostro, è infatti quella di imparare a pensare, se si vuole che la vita di fede non scada a stanca ripetitività di pratiche religiose insignificanti sul piano della spiritualità cristiana e della nuova evangelizzazione.

AUTORE: Vittorio Peri