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Pasqua. La morte… poi ecco che fa irruzione la Luce

La Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Un fascio di luce dall'alto illumina il sepolcro (foto David Rodrigo - Unsplash)

Tutto tace! Nulla è andato come speravamo, almeno per quello che siamo riusciti a comprendere! L’ingresso del Messia a Gerusalemme è stato quasi trionfale, seppur su un’umile cavalcatura: chi stendeva vesti per farne dei tappeti, chi osannava con fronde d’alberi, chi invece acclamava al figlio di Davide. Quanto successo tra la gente, anche se spesso accompagnato dal rifiuto dell’autorità civile e religiosa! Un Maestro che proferiva parole importanti – vero, talvolta molto audaci e non di facile comprensione -, compiva gesti straordinari e di affetto verso chi ne aveva bisogno. E ora qui nella Città santa tutto sembra essere finito: l’arresto, il processo, la croce, un corpo esanime tra la fredda pietra. Oggi tutto tace, eppure noi avevamo sperato….

Sarà stata forse questa percezione di smarrimento e nonsenso a pervadere l’animo di quel drappello di uomini e donne chiamati discepoli, che fin dagli inizi avevano seguito l’Uomo-Dio di Nazareth, il cui nome riecheggiava in Medio Oriente, ma la cui fine, nonostante più volte lui l’avesse profetizzata, ai loro occhi non è parsa degna. Smarrimento e nonsenso che anche noi ora sperimentiamo.

Un anno fa l’inizio della nostra “passione”: il nemico in breve tempo ha travolto il mondo, quella che pensavamo un’epidemia localizzata è stata dichiarata pandemia.

Da quel momento contagi in crescita, bollettini giornalieri malauguranti, sofferenza, sovraccarico delle strutture sanitarie, morti quasi in solitudine, crisi economica, povertà in aumento: il nostro sepolcro, il nostro Sabato santo, dove tutto tace! Poi quelle donne, al far del giorno quando ancora era buio, si incamminano verso il luogo della sepoltura per ungere il corpo del Maestro. Incredulità, stupore, timore: la pietra è rotolata via, il corpo non c’è.

Una voce rompe il silenzio: “Non è qui, è risorto”.

La morte è tornata sui suoi passi e ha lasciato spazio alla vita. Gioia nel vedere che non ha avuto l’ultima parola!

Nel tempo drammatico che stiamo vivendo, in questo silenzio angosciante, una voce si alza, chiara e distinta, per ridonare speranza: “Non temete, Io Sono!”.

Il Risorto anche ora risolleverà l’opera del Creatore. La divina potenza, oggi come allora, accanto all’umana intelligenza e alla buona volontà dei fratelli e delle sorelle mai tiratisi indietro, rotolerà la pietra che ostruisce l’ingresso del sepolcro, farà irrompere la luce della Pasqua nelle tenebre del tempo presente.

Io voglio sperare, perché credo in Lui, perché ho fiducia nell’umanità.

Bassetti: “sono ore di incertezza per il nostro Paese”

Questa mattina, 15 gennaio, il Presidente della Conferenza episcopale italiana, Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, è tornato a Roma nel suo ufficio, dopo essersi rimesso dalla malattia per il Covid-19.

Tra i primi appuntamenti, un colloquio con i direttori dei media CEI per esprimere, simbolicamente a tutti gli organi d’informazione, gratitudine per la vicinanza e l’attenzione dimostrate durante il ricovero. Conversando con loro il Cardinale Presidente si è soffermato sull’attualità italiana:

«Sono ore d’incertezza per il nostro Paese. In questo momento guardiamo con fiducia al Presidente della Repubblica che con saggezza saprà indicare la strada meno impervia. Trovo un forte stimolo nelle parole pronunciate proprio dal Presidente Mattarella nel messaggio di fine anno: “Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori”.

«dobbiamo ricostruire
le nostre comunità»
e non lasciare indietro nessuno

Aggiungo: questo è anche tempo di speranza! Ci attendono mesi difficili in cui ricostruire le nostre comunità. Per questo, lo sguardo deve puntare a uscire dall’emergenza sanitaria e alle fondamenta di una nuova stagione che non lasci indietro nessuno».

(Fonte: Cei)

Norcia, Festa di san Benedetto. Mons. Boccardo: “Non stanchiamoci di scavare”

Mons. Boccardo celebra per la Festa 2020 di San Benedetto

Il 21 marzo generalmente a Norcia è festa grande per san Benedetto, nel giorno in cui si ricorda la sua morte. Ma quest’anno per via del confinamento a causa del coronavirus la festa non si è tenuta. E allora l’11 luglio, data in cui si celebra Benedetto quale patrono d’Europa, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha celebrato la messa nel centro di comunità della Madonna delle Grazie della città natale del Santo. Col presule hanno concelebrato don Marco Rufini e don Davide Tononi (rispettivamente parroco moderatore e parroco il solido di Norcia), don Dario Dell’Orso e don Antonio Diotallevi (rispettivamente rettore emerito della Basilica di San Benedetto e parroco emerito di Norcia).

Era presente il sindaco della città, Nicola Alemanno. All’inizio della celebrazione mons. Boccardo ha detto: «Siamo qui come in una festa di famiglia, separati ma non distanti a causa del Covid-19. Ricordare san Benedetto quale modello da imitare è importante anche in questo tempo difficile della pandemia. Chiediamo al nostro Santo di aiutarci a vivere meglio insieme, affinché anche il tempo della prova possa essere ricco di sapienza e di vita».

Nell’omelia poi l’arcivescovo ha detto come «San Benedetto si sia trovato in una situazione di grande confusione con l’Italia invasa dai barbari, l’Impero Romano decaduto e decadente e tutti i valori in crisi. Lui ebbe il coraggio di scegliere con determinazione uno stile di vita che non era alla moda, per il quale non si è preoccupato di avere l’approvazione dell’opinione pubblica. Ha scelto con radicalità una vita diversa: ‘saggiamente ignorante e sapientemente incolto’, come ci ricorda san Gregorio Magno. E non si tratta dell’elogio dell’ignoranza – ha detto il presule – ma di un modo per dire che i criteri ai quali si ispirava Benedetto non erano quelli del suo tempo (ignorante dei costumi delle persone), tanto che la sua incultura è diventata sapienza e la sua vita feconda di frutti e noi dopo secoli siamo ancora qui a parlare di lui. San Benedetto dalla società dove viveva si è voluto allontanare per non essere distratto da ciò che era essenziale, alla ricerca delle cose belle che danno senso alla vita.  E per far questo ha dovuto “scavare” nella propria coscienza».

L'affresco medievale riemerso dalle macerie della Basilica di San Benedetto a Norcia
L’affresco medievale riemerso dalle macerie della Basilica di San Benedetto a Norcia

Da qui il parallelismo di mons. Boccardo con le campane riemerse dalle macerie della Basilica di San Benedetto qualche giorno fa: «Per ritrovare le campane si è dovuto scavare, in quanto dalla superficie non si vedevano. Poi proprio ieri (10 luglio 2020) è emerso con maggiore chiarezza rispetto al 2017 un affresco medievale raffigurante la Madonna con Bambino, san Benedetto e un altro Santo. Questo ci dice che le cose belle sono nascoste e che per trovarle bisogna faticare. L’insegnamento è: l’apparenza non basta, non ci dobbiamo stancare di scavare, di andare dentro agli avvenimenti della vita perché è lì che le cose belle sono nascoste. E ciò vale anche per noi. San Benedetto dunque ci dice: non perdete la speranza. E un piccolo segno di speranza è che dal prossimo 4 ottobre quattro suore, di quattro diversi istituti francescani, vivranno a Norcia per stare con la gente, per condividere la vita delle persone di questa vallata, offrendo gesti e parole di consolazione e conforto. Una bella notizia che mi piace condividere con voi nel giorno della festa di san Benedetto».

F.C.

L’ingresso solenne di mons. Gualtiero Sigismondi nella diocesi di Orvieto-Todi

L'ingresso di mons. Sigismondi nella diocesi di Orvieto-Todi

Mons. Gualtiero Sigismondi comincia il suo ministero episcopale nella nuova diocesi da un luogo simbolo, quel ponte di “Rio Chiaro” dove nel 1263 si incontrarono il vescovo Giacomo, che recava con sé il Corporale del miracolo di Bolsena, e il pontefice Urbano IV. Qui, il vescovo Gualtiero ha ricevuto il primo saluto e l’accoglienza calorosa di una delegazione della comunità orvietano-tuderte.

Poco dopo, il corteo è arrivato in piazza del Duomo dove mons. Sigismondi era atteso da autorità religiose, militari e civili, con i gonfaloni dei Comuni. Ad accoglierlo davanti alla celebre cattedrale orvietana c’era il suo predecessore – ormai vescovo emerito – mons. Benedetto Tuzia e c’erano anche i cardinali Ennio Antonelli e Gualtiero Bassetti, i vescovi delle diocesi dell’Umbria e anche di fuori regione. 

Il saluto di mons. Sigismondi alle autorità civili

Sono lieto di incontrare le Autorità civili, politiche, socio-economiche e militari di questa  “città sul monte”, “antica dimora dei Papi, che intreccia – secondo Paolo VI – le sue secolari vicende con quelle non solo del loro dominio temporale, ma altresì del loro ministero apostolico”. 

Saluto le istituzioni regionali nella persona della Consigliera Dott. Eleonora Paci, S. E. il Prefetto di Terni, Dott. Emilio Dario Sensi, il Presidente dell’Opera del Duomo, Dott. Gianfelice Bellesini, e ringrazio la Dott. Roberta Tardani, Sindaca di Orvieto, che mi ha dato il benvenuto a nome di tutti i Sindaci, fra i quali vedo con piacere l’Avv. Stefano Zuccarini, Sindaco di Foligno. 

La Chiesa, consapevole che alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra quello che è di Cesare e ciò che è di Dio (cf. Mt 22,15-22), rispetta ogni istituzione umana, nutre un sincero apprezzamento per la funzione pubblica e prega per i suoi rappresentanti, affinché cerchino il bene comune. La collaborazione tra comunità politica ed ecclesiale si realizza nel leale rispetto della loro reciproca indipendenza. 

“Alla società – osserva p. Francesco Occhetta – il cattolico non fornisce collateralismo al potere, ma lievito e servizio al popolo”. La Chiesa non è un agente politico, e tuttavia ha un interesse profondo per il bene della comunità civile. Opera in modo da non intromettersi in sfere che non le competono, ma non consente restrizioni alla propria libertà di annunciare il Vangelo apertamente. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concede di avanzare una richiesta. Il giovane sovrano non osa domandare successo, ricchezza o lunga vita, ma un cuore docile, in grado di rendere giustizia al popolo e di distinguere il bene dal male (cf. 1Re 3,9). 

Per chi è chiamato a guidare una comunità civile o ecclesiale niente è più desiderabile della pace. Nella comunità ecclesiale la pace è il germoglio che spunta dalla radice dell’unità; nella società civile la pace è il frutto maturo della giustizia. Se nella Chiesa gli “operatori di pace” sono “tessitori di comunione”, nella Città i “testimoni di pace” sono, per così dire, “promotori di giustizia”, la quale, in linea di principio, non può essere delegata o appaltata alla carità. 

Come Vescovo sono cosciente che “l’attenzione alla città non è separabile dall’impegno ecclesiale”: “carità politica” e “carità pastorale” sono destinate a frequentarsi soprattutto sul terreno solidaristico, educativo e culturale. È proprio nel comune impegno per la promozione integrale dell’uomo che è possibile individuare il punto di contatto o di tangenza tra le istituzioni civili ed ecclesiastiche. 

Questa piazza, illuminata dallo splendore della facciata del Duomo, è simbolo reale dell’incontro e del dialogo tra gli “uomini di buona volontà”. Nella “nobile semplicità” e nella “pacata grandiosità” di questo luogo presento le mie credenziali di “seminatore di speranza” e di “collaboratore della gioia del Vangelo”.

Dopo il saluto del sindaco di Orvieto, Roberta Tardani, mons. Sigismondi ha fatto il suo ingresso in Duomo per la cerimonia dell’insediamento in Cattedra seguita dalla solenne liturgia eucaristica.

L’omelia del vescovo Gualtiero in Duomo

“Con la tua continua misericordia, Padre, purifica e rafforza la tua Chiesa e poiché non può sostenersi senza di te non privarla mai della tua guida”. Questa orazione ha accompagnato la mia attesa del nostro primo incontro nel Duomo di Orvieto, che per la finezza della sua armonia è “fuori scala”. 

“Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica” (Gv 4,38). Quanto Gesù ha detto ai discepoli al pozzo di Giacobbe oggi è diretto a me. Con semplicità e letizia mi inserisco nella storia di questa Diocesi, guidata finora da S. E. mons. Benedetto Tuzia, il quale il giorno dell’annuncio del mio trasferimento mi ha inviato questo messaggio: “Benedetto Gualtiero, colui che viene nel nome e nella grazia del Signore”. 

Carissimo Vescovo Benedetto: “Chi semina gioisca insieme a chi miete” (Gv 4,36). Questo invito sinodale alla gioia unisce, nella stessa lode, il seminatore al mietitore; entrambi sono “collaboratori di Dio”: “né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (1Cor 3,7). Lo stesso pensiero lo rivolgo a S. E. mons. Giovanni Scanavino, la cui graditissima presenza mi ricorda che l’ingresso di un vescovo in diocesi è paragonabile a quello del Signore in Gerusalemme. 

Con il mandato del Papa, a cui rinnovo fedele obbedienza, inizio il mio ministero pastorale, ben sapendo che l’autorità episcopale non è a beneficio di chi la esercita ma a vantaggio di coloro ai quali si rivolge. Sciolto il vincolo con la Chiesa particolare di Foligno – per ora solo allentato, in quanto Amministratore Apostolico –, il Signore mi invita a creare nuove paternità e fraternità, che mi autorizzano a farvi qualche confidenza. 

Alla vigilia dell’anno duemila venni invitato a Bolsena alla Marcia della fede, che precede l’alba del Corpus Domini. Pensando al travaglio della “incredulità credente” sperimentato all’altare da un sacerdote boemo, ripetevo in silenzio il versetto del salmo che avrebbe illuminato quella notte: “Voglio svegliare l’aurora” (Sal 57,9). Giunto il momento di dare il via al cammino, consegnai ai pellegrini questo messaggio: “I vostri passi precederanno l’aurora e, all’alba, vedrete la sagoma del Duomo; a quella vista, stanchi ma raggianti, ricordate che l’Eucaristia, da cui nasce e si edifica sempre la Chiesa, sveglia l’aurora dell’eternità nella notte del tempo”. 

Da vescovo sono venuto in questa Cattedrale con il presbiterio folignate in occasione del Giubileo Eucaristico straordinario. Durante la Messa ho divagato con la mente nella navata centrale e ho tenuto fisso lo sguardo sul rosone, chiedendomi: come mai questa casa della Chiesa, edificata per custodire viva memoria del Miracolo di Bolsena, è intitolata a Santa Maria Assunta? Ho cercato la risposta per tutto il tempo della celebrazione, ma sono riuscito a trovarla solo al momento della Comunione eucaristica, “vero Corpo e Sangue del Risorto nato da Maria Vergine”. La Madre di Dio, “mistica aurora della redenzione”, è realmente il Ss. Corporale di Gesù, inamidato dal suo candore verginale e inondato dallo splendore della luce pasquale. 

Inizio il mio ministero pastorale in mezzo a voi custodendo e meditando le letture proposte dalla Messa vespertina nella vigilia della solennità dei Principi degli Apostoli. Pietro, presso la porta del tempio di Gerusalemme detta Bella, dichiara a uno storpio: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do” (At 3,6). Con queste stesse parole mi accredito anch’io, chiedendo al Signore di non abbandonarci alla tentazione di cui parla Paolo nella sua autobiografia: “Perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo” (Gal 1,13). Sebbene le potenze degli inferi non possano prevalere sulla Chiesa (cf. Mt 16,18), “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3,15), tuttavia essa rimane esposta all’insidia della devastazione sino alla fine dei tempi. Non facciamoci illusioni: è la carestia del “cemento della concordia” a devastare la Chiesa! 

La comunione, frutto e condizione della Pentecoste, è il presupposto della missione apostolica affidata dal Risorto a Simon Pietro sulla riva del mare di Tiberiade (cf. Gv 21,15-19), là dove l’aveva tratto all’amo come “pescatore di uomini” (cf. Lc 5,10). Che il Signore sia vivo, non solo “corporalmente” ma anche “sentimentalmente”, lo rivela il dialogo che Egli stabilisce con Simone. Per due volte gli chiede quanto lo ami – “agapào” (cf. vv. 15-16) –, mentre la terza, domandandogli se gli voglia bene – “filèo” (cf. v. 17) –, il Risorto non abbassa il livello della sua richiesta ma lo innalza. La risposta di Simone fa appello al Maestro, che “scruta i sentimenti e i pensieri del cuore”: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (v. 17). 

Nessuno può osare dire per intero questa frase: riusciremo a farlo se ci sosterremo a vicenda nella carità. Lo chiedo anzitutto a voi, ministri ordinati, a cui rivolgo il mio sguardo benedicente. “La testimonianza di un sacerdozio vissuto bene – assicurava Benedetto XVI – nobilita la Chiesa. Suscita ammirazione nei fedeli, è fonte di benedizione per la comunità, è la migliore promozione vocazionale”. Il dono ricevuto con l’imposizione delle mani, collegato strutturalmente all’Eucaristia, lo si ravviva curando la vita interiore: prima attività pastorale, la più importante. Il nostro ministero di “servi premurosi del popolo di Dio” si ridurrebbe a una rincorsa affannosa se, cammin facendo, trascurassimo la preghiera e il servizio della Parola, la cui eco risuona nel grido dei poveri, con i quali Gesù ha voluto identificarsi, e nel libro della storia che non è allergica ai “semi del Verbo”. 

“Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge”. La concretezza di questa immagine, suggerita dalla liturgia, me l’ha mostrata un anziano pastore, sorpreso a trascinare un grande ramo pieno di foglie all’interno del recinto del suo gregge: “È la cena per i miei agnelli; ieri ho avvistato un lupo, oggi non ho osato condurli al pascolo”. Ammaestrato da questa lezione d’amore, accolgo con cuore libero e ardente quanto mi raccomanda Papa Francesco nella Bolla di nomina: “Ama la tua nuova Chiesa con viscere di misericordia, benignità e umiltà”. 

La Vergine Maria, San Giuseppe suo Sposo, San Fortunato e la beata Madre Speranza di Gesù mi ottengano dal “Pastore dei pastori” di perseverare in questo santo proposito, “fino alla fine”.

Testi e immagini della giornata di ingresso del vescovo Gualtiero sono disponibili sul sito web della diocesi di Orvieto-Todi. Qui lo streaming video trasmesso da TeleOrvietoWeb e dalla Tv Diocesana

Test

Pubblicato da Teleorvietoweb Network – Web & Streaming transmissions su Domenica 28 giugno 2020

Mons. Sigismondi nominato amministratore apostolico di Foligno nel giorno dell’ingresso a Orvieto-Todi

Mons. Gualtiero Sigismondi con Papa Francesco

Nel giorno dell’ingresso solenne nella nuova diocesi di Orvieto-Todi, mons. Gualtiero Sigismondi viene nominato amministratore apostolico della diocesi di Foligno. Mantiene quindi i diritti, le facoltà e gli obblighi che spettano al vescovo, anche nella comunità che ha guidato negli ultimi dodici anni. Lo ha annunciato alle ore 12 di oggi nella Curia folignate il delegato “ad omnia”, mons. Giovanni Nizzi, come da disposizioni della Nunziatura apostolica in Italia.

“Nel giorno in cui ha inizio il mio ministero pastorale nella Chiesa particolare di Orvieto-Todi – ha esordito mons. Sigismondi nella nota letta in contemporanea con l’annuncio – faccio partecipe il popolo di Dio che è in Foligno di quanto Papa Francesco ha deciso circa la cura pastorale e il governo della nostra Diocesi, affidata alla protezione di san Feliciano”.

Mons. Sigismondi commenta il decreto della Congregazione per i Vescovi arrivato insieme alla nota della Nunziatura apostolica in Italia, sottolineando come il compito dell’amministratore apostolico sia quello di governare la diocesi in forma vicaria, ossia a nome del Papa.

“Questa chiamata – ha aggiunto il vescovo Gualtiero – mi è giunta mentre mi preparavo a sciogliere gli ormeggi, per salpare verso Orvieto-Todi. Non ho esitato ad accoglierla con cuore libero e ardente, non solo perché l’obbedienza me lo chiede, ma anche perché la gratitudine verso il popolo folignate me lo domanda. Mi dispongo a continuare, seppur in veste di amministratore apostolico, il mio servizio episcopale a Foligno, per il tempo che il Santo Padre riterrà necessario e nelle modalità che la guida della diocesi di Orvieto-Todi e il compito di assistente generale di Azione Cattolica Italiana renderanno possibili.

Le spalle reggono – continua Sigismondi – se il cuore non cede! È con questa consapevolezza che rinnovo il mio abbandono alla fedeltà di Dio ed esprimo, a nome di tutti, profonda gratitudine a Papa Francesco il quale, con questa decisione, mi ha fatto ricordare che tra Foligno e Orvieto, sebbene non vi sia contiguità territoriale, vi è un ponte spirituale: quello costruito dalla beata Angelina da Montegiove, i cui familiari, come documentano alcuni codicilli del Registro dell’Opera del Duomo di Orvieto, hanno contribuito a edificare la Cattedrale di Santa Maria Assunta. La traslazione delle sacre spoglie della beata Angelina, dalla Chiesa di San Francesco al Monastero di Sant’Anna in Foligno, è avvenuta il 27 giugno 2010; dieci anni dopo, lo stesso giorno, ho ricevuto il decreto di nomina che porta la data di oggi. Davvero, il Signore tutto dispone con forza e dolcezza – conclude mons. Sigismondi – attraverso la mediazione del discernimento ecclesiale”. 

L’Assemblea diocesana di Assisi apre il trienno della carità

Assemblea diocesana 2020 ad Assisi

“Ripartiamo con l’entusiasmo dei cristiani della prima ora. Siamo una comunità vecchia e stanca, ma che lo Spirito di Dio può rigenerare con l’entusiasmo della prima ora, anzi con maggiore entusiasmo”. Lo ha detto il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino, a conclusione dell’assemblea diocesana che si è tenuta venerdì 26 e sabato 27 giugno alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli e in collegamento streaming con i vari vicariati della diocesi.

Le conclusioni del vescovo hanno fatto seguito ai suggerimenti pervenuti dai laboratori dei gruppi di lavoro della due giorni che ha dato via al triennio della carità.

Mons. Domenico Sorrentino in Assemblea diocesana ad Assisi

Il vescovo, parlando del periodo inedito della pandemia, ha affermato che ciò che è accaduto con il coronavirus “sembra una cosa che ci è calata addosso, addirittura come una costrizione. I banchi vuoti – ha sottolineato – io già li vedevo, durante la visita pastorale, prima del coronavirus. Il covid-19 è stato una fotografia, una profezia di quello che ci sta capitando come Chiesa senza che noi ne prendiamo coscienza sufficiente per poterci interrogare. Il coronavirus ci ha costretto a guardare almeno in parte la verità delle cose. Prendiamo al balzo questa grande opportunità”.

Con la due giorni di assemblea, convocata sul tema “Al di sopra di tutto l’amore”, prende l’avvio un triennio dedicato alla carità, come ha spiegato la direttrice della Caritas diocesana, Rossana Galiandro. “Chi è il mio prossimo?”, “Come essere famiglia”, “Economia per tutti”, saranno i punti principali che verranno affrontati rispettivamente il primo, secondo e terzo anno.

“Il titolo dell’assemblea – ha spiegato la direttrice – ci introduce a un triennio in cui vogliamo condurre il cammino diocesano verso il centro e il cuore della vita di ogni cristiano e di ogni uomo: la carità. La carità è l’amore, è quello lo slancio di vita che si gioca nelle relazioni personali e comunitarie e che trova il suo fondamento nella nostra relazione con Dio padre. Dio stesso è carità”.

“Siamo tutti chiamati a remare insieme”: presentato il Rapporto Caritas sulle povertà

PERUGIA – Scaricabile dal sito: www.caritasperugia.it, il V Rapporto sulle povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, curato dall’omonimo Osservatorio della Caritas diocesana, ha per titolo: “Siamo tutti chiamati a remare insieme”, presentato alla stampa il 26 giugno dal diacono Giancarlo Pecetti, direttore della Caritas diocesana, dall’economista Pierluigi Grasselli, coordinatore dell’Osservatorio, e dallo statistico Nicola Falocci. Quest’ultimo, insieme all’imprenditrice e già direttrice della Caritas Daniela Monni, alla dottoressa Fiammetta Marchionni, responsabile del Consultorio sanitario della Caritas, all’assistente sociale Silvia Bagnarelli, responsabile del Centro di Ascolto (CdA) diocesano, e ad Alfonso Dragone, responsabile dell’Area progetti della Caritas, fa parte dell’equipe dell’Osservatorio diocesano sulle povertà e l’inclusione sociale.

Il Rapporto, ricco di dati contenuti in 25 tabelle e in diversi grafici che sintetizzano il fenomeno, non si limita ad analizzare la povertà nel 2019, ma ha una propaggine nell’anno in corso, per l’esattezza il trimestre marzo-aprile-maggio 2020 caratterizzato dalla pandemia da Covid-19. Inoltre questo V Rapporto, le cui fonti principali di ricerca sono in primis il Centro di Ascolto diocesano e quelli parrocchiali e gli Empori della Solidarietà, si sofferma per la prima volta sull’attività del Consultorio sanitario istituito dalla Caritas nel 2015, la novità di questo studio. Circa un quarto delle 147 persone ascoltate sono italiane e complessivamente il Consultorio risponde a richieste di informazioni sulle terapie più idonee a curare le patologie sofferte da coloro che chiedono assistenza. L’attività principale, svolta da tre volontari, consiste nella consegna di farmaci da banco non prescrivibili da parte del SSN (1.110 di questi sono stati distribuiti nel 2019), oltre a 408 buoni erogati per acquisti di farmaci, per il pagamento di ticket e di esami diagnostici. Ciò che evidenzia il Rapporto non sono tanto i numeri forniti dal Consultorio, ma lo stato d’animo in cui arriva la persona in difficoltà. Il paziente è convinto di non potersi curare per mancanza di mezzi.

Innanzitutto, come sottolinea nella presentazione il direttore Pecetti, il Rapporto 2019 «non presenta differenze di rilievo con i dati del 2017 e 2018… Se da un lato questo ci può far stare tranquilli, dall’altro ci preoccupa molto perché evidentemente non riusciamo ad incidere profondamente nel tessuto dei bisogni espressi dalle famiglie del nostro territorio. Una delle preoccupazioni alle quali attribuire questa situazione è la mancanza di politiche che possano rimettere in moto il mercato del lavoro». Proprio la difficoltà occupazionale, insieme a quella economica, abitativa, familiare, di migrazione/immigrazione e di salute, sono le principali cause di povertà degli utenti che nell’ultimo anno si sono recati al CdA diocesano. Complessivamente 1.039 sono state le persone (famiglie) censite nel 2019 dal suddetto CdA di cui 250 con cittadinanza italiana, mentre nel 2018 erano 1.015 (251 gli italiani). Dati che non presentano differenze di rilievo, ma a questi non possono non essere sommati quelli relativi ai primi tre mesi dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Esattamente le circa 120 persone o famiglie che in passato non si erano mai rivolte al CdA diocesano, come anche i 400 accessi in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente all’Emporio “Tabgha” di Perugia città e l’aumento del numero dei pasti distribuiti quotidianamente dal “Punto di ristoro sociale San Lorenzo”, tra marzo e maggio 2020, passati da 75 ad 87. Dietro a queste cifre ci sono delle vite il cui bisogno più urgente, si legge nel Rapporto, è la necessità di un sostegno alimentare…, ma nel clima di incertezza che si respira, sono stati richiesti ascolto, prossimità, conforto e speranza. È stato necessario orientare e consigliare le persone tra le tante misure di sostegno al reddito individuate dai D.L. e fornire informazioni e chiarimenti in merito ai DPCM. Rimane costante il bisogno di un sostegno economico per il pagamento di utenze domestiche e affitto. Per aumentare la disponibilità degli operatori all’Ascolto, si è attivata una linea telefonica mobile (389.8944509) reperibile anche negli orari di chiusura degli uffici.

Questo tempo surreale ha creato occasioni di bene. Tanti volontari, anche giovanissimi, hanno scelto di donare il proprio tempo e le proprie capacità per servire gli ultimi. Sono raddoppiate anche le donazioni economiche in questo trimestre. Le donazioni di generi alimentari, destinate all’Emporio “Tabgha”, si sono moltiplicate con un andamento in costante espansione. Una prima prudente e sommaria stima, che verrà precisata e validata dal prossimo report annuale, indica come l’aumento delle donazioni in questo trimestre sia per lo meno triplicato. A marzo hanno poi iniziato ad intensificarsi anche donazioni da parte di aziende commerciali in particolare del settore ristorazione, che mai prima avevamo avuto come nostri donatori. Nel mese di aprile, e soprattutto a maggio, il flusso è ulteriormente aumentato fino a raggiungere ritmi bigiornalieri… Ma in questi ultimi tre mesi si è moltiplicato anche il volume delle donazioni effettuate da singoli cittadini, studenti, piccole associazioni, quartieri, gruppi di amici, ecc. In questo caso la quantità delle donazioni rispetto al normale flusso, da una prima stima, è sicuramente più che triplicata. La motivazione in questo caso è stata la voglia di dare una mano a chi, causa Covid-19, era rimasto senza lavoro e sostentamento.

Come osserva l’assistente sociale Silvia Bagnarelli, “ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti” (Papa Francesco, tratto dall’omelia della preghiera in tempo di epidemia).

Il fenomeno povertà, che ha avuto un’accelerata a causa di questa pandemia, potrebbe ulteriormente crescere nell’anno in corso terminati gli effetti dei decreti governativi in risposa all’emergenza economica, soprattutto quella legata alla preoccupante disoccupazione. Secondo una recente rilevazione delle Caritas italiana, compiuta presso tutte le 220 Caritas diocesane, il numero dei nuovi poveri risulta più che raddoppiato rispetto alla situazione di pre-emergenza.

Prima di offrire una sintesi dei contenuti di questo V Rapporto, l’economista Pierluigi Grasselli, accenna alla situazione italiana ed umbra richiamandosi ai recenti dati Istat dai quali emerge «una riduzione dell’incidenza delle famiglie in povertà assoluta», passando dal 7% del 2028 al 6,4% del 2019. «Si ritiene che ciò sia dovuto agli aumenti di spesa delle famiglie meno abbienti – commenta l’economista –, consentiti dall’introduzione del Reddito di cittadinanza, andando a beneficio, nella seconda metà del 2019, di oltre un milione di famiglie in difficoltà». Mentre per la povertà relativa, spiega Grasselli, «l’Umbria subisce una riduzione notevole, passando dal 14,3% del 2018 all’8,9%, inferiore al valore stimato per l’Italia (11,4%), ma superiore a quello calcolato per il Centro Italia (7,3%). Occorre ancora un grande impegno, sviluppato congiuntamente da tutti i livelli di governo, per combattere la povertà e l’esclusione sociale. Questo anche perché, per il 2020, si ritiene che l’epidemia da Covid-19 determini una forte espansione della povertà».

Presentando il V Rapporto, Grasselli si sofferma sulla cittadinanza degli utenti del CdA diocesano: «Sono in prevalenza stranieri (il 72%), soprattutto femmine (il 57%), con un’età media nettamente più elevata tra gli italiani (le classi più consistenti sono quelle 35-44 anni e 45-54 anni, n.d.r.), in particolare tra i maschi, un basso livello medio di scolarizzazione, che può giustificare il timore di una diffusa povertà educativa, una condizione abitativa segnata da molte criticità, una decisa prevalenza della condizione di disoccupato (70%), soprattutto tra gli stranieri, il forte prevalere, assai più marcato tra gli stranieri, di quelli che vivono con familiari/parenti, con un’elevata aliquota di maschi italiani che vivono da soli, una molteplicità di bisogni dichiarati: sostegno economico, lavoro dignitoso, abitazione decorosa, e poi servizi efficaci, per la salute, per la vita di famiglia, per una società solidale e coesa. Questi bisogni, che esercitano su ciascun povero una pressione crescente negli anni recenti, possono richiedere interventi molteplici, non limitati a sussidi economici, interventi inseriti in progetti personalizzati, attivati da attori coordinati tra di loro, operanti in reti ben funzionanti».

«Anche la nuova situazione causata dal Covid-19 – conclude Pierluigi Grasselli – spinge in direzione di un ventaglio di interventi, e di una molteplicità di attori alle condizioni indicate nel Rapporto. Si osservi al riguardo il ruolo determinante della sussidiarietà: rifuggendo da statalismo e assistenzialismo, si punta a stimolare e a rafforzare le energie che nascono dal basso, e cioè le capacità della società di trovare soluzioni e dare risposta ai bisogni, in linea con il recente “Appello della società civile per la ricostruzione di un welfare a misura di tutte le persone e dei territori”. Al riguardo può auspicarsi, come di recente è stato chiesto per l’economia, un confronto con la Regione Umbria, per assicurare la sostenibilità del sociale (ivi incluso il contrasto alla povertà), in forte connessione con quella dell’economico, che veda coinvolte Istituzioni, forze sociali, organizzazioni del TS, e associazioni di cittadini, con il loro sapere sociale, con le loro professionalità e pratiche di prossimità. All’origine, può muoverci la Responsabilità: la pandemia ci ha fatto capire che ciascuno è sicuro quando tutti sono sicuri. La Responsabilità può intrecciarsi con la Solidarietà (intesa come determinazione a impegnarci per il Bene Comune) ed entrambe possono promuovere la Sussidiarietà. Lungo questo percorso procediamo verso la Sostenibilità».

Inaugurazione degli affreschi della chiesa dei Santi Biagio e Savino

Un particolare degli affreschi

Domenica 21 aprile, alle ore 18, verrà presentato l’affresco realizzato per l’abside della chiesa parrocchiale dei Santi Biagio e Savino di Perugia. L’opera è stata voluta dal parroco, don Luca Delunghi, e dall’intera comunità ed è stata realizzata con il sostegno della Fondazione Perugia.

La decorazione completata in questi giorni ricopre l’intera abside, in precedenza completamente bianca e sulla quale si trovava il crocifisso, oggi trasferito in una cappella laterale. L’impatto dall’ingresso della chiesa è veramente notevole.

La Gerusalemme celeste

“Il soggetto – spiega don Luca – rappresenta la Gerusalemme Celeste, un modo per orientare chi entra in chiesa verso quella che è la meta di ogni cristiano. Una Gerusalemme Celeste con alcuni particolari che richiamano una città che sembra Perugia, ma non lo è, per far intendere che il Regno dei cieli lo si vive qui. Al centro c’è il Cristo con la Vergine e Giovanni Battista, ai lati 72 santi, molti conosciuti, altri quelli della porta accanto ispirati alla esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et exsultate. Ai due lati dell’abside, ci sono sei scene bibliche prese dall’Antico e Nuovo testamento che richiamano il tema della porta”.

L’atelier “Art For God”

L’affresco è stato realizzato dall’Atelier “Art For God”: in particolare da suor Maria Anastasia Carré, artista francese, da Julie Daccache, architetta e art design libanese (entrambe appartenenti alla Comunità delle Beatitudini di Tolosa – Francia), da Megan Chalfant, artista collaboratrice esterna dell’atelier proveniente dall’Indiana e con l’aiuto di Francesca Minciaroni, artista perugina. La progettazione ha avuto inzio un anno fa, mentre i lavori sono durati circa quattro mesi grazie anche al lavoro preparatorio di alcuni parrocchiani.

L’inaugurazione alla presenza dell’arcivescovo Ivan Maffeis

L’inaugurazione avverrà con una benedizione che – a partire dal sagrato – coinvolgerà tutta la comunità. Presiederà l’arcivescovo mons. Ivan Maffeis, con la partecipazione del biblista don Giovanni Zampa.

M. A.

 

A Bastia Umbra celebrati due anniversari dello scautismo italiano

Il 2024 è un anno di grandi anniversari per lo scautismo italiano. Quest’anno ricorrono infatti i 50 anni della fondazione dell’Agesci (Associazione guide e scouts cattolici italiani) e i 70 del Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani).

Un po’ di storia dello scautismo

I primi esperimenti di scautismo italiano risalgono al 1910, ma bisogna attendere due anni per vedere nascere la prima associazione scout ufficialmente riconosciuta in Italia. Lo scautismo cattolico prende forma nel 1916 con la fondazione dell’Asci, Associazione scautistica cattolica italiana Esploratori d’Italia, che ottiene ben presto l’approvazione pontificia. Tra il 1927 e il 1928, però, il regime fascista scioglie le associazioni scout italiane a favore della nascente Opera nazionale Balilla. Nonostante lo scioglimento ufficiale dell’associazione, alcuni gruppi scout continuano a praticare clandestinamente lo scautismo in varie parti del Paese, dando vita alla cosiddetta “Giungla silente”. Alcuni di questi scout clandestini prenderanno poi parte alla Resistenza: il più famoso di questi gruppi fu quello delle “Aquile randagie” di Milano. Finita la guerra, si apre il periodo della ricostruzione dello scautismo giovanile; e nel 1944 nasce l’Agi, Associazione guide italiane, la prima associazione cattolica di scautismo femminile.

La nascita del Masci

Lo scautismo, fino a questo momento improntato all’educazione dei giovani, si apre anche agli adulti. Nel 1954 viene fondato il Masci, Movimento adulti scout cattolici italiani, per dare la possibilità di continuare a vivere l’avventura scout anche a coloro che non avessero potuto portare avanti il proprio servizio di educatori nel movimento. Con il movimento del ’68, all’interno dell’Asci come pure dell’Agi si apre un dibattito teso al rinnovamento.

…e dell’Agesci

Il 4 maggio 1974 le due associazioni danno vita all’Agesci che, tenendo conto delle evoluzioni educative e pedagogiche del tempo, introduce la coeducazione, ovvero la possibilità di educare insieme i ragazzi e le ragazze, prevedendo anche attività in comune.

I festeggiamenti a Bastia Umbra

Il 2024 è quindi un anno di grandi festeggiamenti per lo scautismo italiano; che in Umbria sono iniziati con un primo momento organizzato domenica 14 aprile a Bastia Umbra. Qui le sette comunità regionali del Masci e il gruppo Agesci di Bastia Umbra hanno vissuto una giornata all’insegna del gioco e del divertimento. Tra le vie del centro storico bastiolo gli scout, giovani e adulti, hanno giocato ai tipici giochi scout, invitando tutta la cittadinanza alla mostra nazionale itinerante che racchiude gli anni di attività e impegno del Masci, allestita nella chiesa di San Rocco. Dopo il pranzo nei locali del centro sociale, condiviso con i genitori dei ragazzi scout, la giornata è proseguita con la presentazione del Progetto educativo del gruppo Agesci alle famiglie e a tutta la cittadinanza. A suggellare la fratellanza scout, il momento si è concluso con il consueto “cerchio” e la sempre commossa cerimonia del rinnovo della Promessa.

I numeri dello scautismo in Umbria

Lo scautismo cattolico conta oggi, in Italia, 182 mila censiti nell’Agesci e circa 6.000 nel Masci.  Nella nostra Regione sono oltre 2.400 gli iscritti ai 23 gruppi dell’Agesci, articolata in tre zone: Etruria (comprensorio perugino), Terre di Francesco (dall’Assisano ai confini con le Marche), e Monti Martani (area del Ternano). Perugia e Terni sono le città con il maggior numero di gruppi scout, rispettivamente cinque e quattro; segue Foligno con due. Altri gruppi Agesci si trovano a Corciano, San Nicolò di Celle (Deruta), Bastia Umbra, Bevagna, Gualdo Tadino, Gubbio, Todi e Sigillo. Nella provincia di Terni si trovano gruppi scout anche a Montecastrilli, Orvieto e Spoleto. Ammontano invece a sette le comunità Masci dell’Umbria: due a Perugia, due a Foligno, e poi a Spoleto, Gubbio e Gualdo Tadino, per un totale di circa 120 soci.

 

Basta! Si fermino le armi!

Papa Francesco l’aveva ripetuto il giorno prima in un messaggio inviato al network Alarabiya a conclusione del Ramadan: “Di fronte al dilagare della violenza, mentre le lacrime scendono dagli occhi, una parola esce dalla bocca: “basta”. Basta! — ripeto anch’io — a chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni: basta, fermatevi! Per favore, fate cessare il rumore delle armi e pensate ai bambini, a tutti i bambini, come ai vostri stessi figli”.

E, al Regina Coeli del mattino dopo la notte della paura, l’ha ripetuto con ancora più forza: “Si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio oriente in un conflitto bellico ancora più grande”. Un rischio concreto che vede i pezzetti di quella guerra mondiale che abbiamo imparato a conoscere dalla sua predicazione, pronti a saldarsi.

Non dimentichiamo che dietro ciascuna delle parti in guerra c’è sempre l’ombra delle potenze nucleari che si allunga minacciosa sulla vita del mondo. Per questo occorre potenziare la via diplomatica e percorrerla senza sosta, riformare le Nazioni Unite perché siano messe in grado di intervenire efficacemente negli scenari di crisi, ridimensionare il simulacro dell’inviolabilità assoluta della sovranità nazionale in un mondo globalizzato quando i diritti umani vengono calpestati.

Si potrà riprendere il filo dei dialoghi di pace?

In primo pian macerie causate dalle bombe a gaza, sullo sfondo palazzi distrutti
Gaza (Foto N. Saleh)

Tutti auguriamo – o comunque io auguro – una vita lunga e serena allo Stato di Israele. Ma purtroppo il suo attuale governo sembra che stia facendo di tutto per tirarsi addosso quelli che vogliono distruggerlo. Questo è il commento che ci sentiamo di fare alla sciagurata iniziativa di portare un attacco aereo mortale alla rappresentanza diplomatica dell’Iran in una paese terzo. Sapendo che è sin dal 1979 – quando l’ala estremista e fanatica dell’islamismo sciita ha preso il potere in Iran rovesciando il governo monarchico – che quel grande paese ha messo al primo posto del suo programma politico la distruzione di Israele.

Certo, venire a patti con il regime degli ayatollah era impossibile. Ma almeno non offritegli pretesti per scatenarsi. È impressionante ricordare che appena dieci anni fa – era l’8 giugno del 2014Papa Francesco chiese ed ottenne che l’allora presidente di Israele, Shimon Peres, e il capo dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, si incontrassero in Vaticano per pregare, con lui, per la pace; c’era anche Bartolomeo di Costantinopoli. La formula era di nuovo quella di Assisi: se non ci sentiamo ancora pronti per “pregare insieme” possiamo però trovarci “insieme per pregare”. Assistemmo a quell’incontro in diretta televisiva, e fu emozionante. Dunque era possibile che la ricerca della pace facesse un passo in avanti, sia pure solo simbolico. Che cosa non si pagherebbe oggi per tornare a quel momento?

Shimon Peres era agli ultimi giorni del suo mandato come capo dello Stato; capo del governo israeliano era Netanyahu; da allora quest’uomo e la sua politica hanno reso sempre più evanescente lo schema “due popoli, due stati” che pure era stato consacrato dagli accordi di Oslo nel 1993 e nell’anno successivo aveva meritato il premio Nobel per la pace allo stesso Peres, all’allora primo ministro Rabin e al capo palestinese Arafat.

Purtroppo quelle promesse non hanno portato (ancora) i loro frutti, come abbiamo visto tragicamente negli ultimi mesi. Ma lo straordinario episodio del 2014 ci ricorda che vi è stato un tempo in cui il cammino per la pace in Palestina era in corso, e ai due popoli venivano offerte occasioni che alcuni avevano saputo raccogliere e altri, dopo, hanno lasciato cadere. Sarà ancora possibile recuperare il filo di quel cammino?

8xmille. L’Astrolabio, un faro per la parrocchia

Veduta dall'alto dell'oratorio L'Astrolabio di Perugia, che grazie ai fondi 8xmille riesce a garantire il servizio di dopo scuola alle famiglie del quartiere perugino

Se ci si affaccia intorno alle due del pomeriggio all’oratorio L’Astrolabio , nella comunità perugina di San Giovanni Apostolo, si scorge una scena abbastanza inedita per una parrocchia. In uno dei saloni del centro pastorale ci sono tavoli apparecchiati per il pranzo di bambini, ragazzi, educatori e a volte – pure qualche famiglia. “L’Astrolabio nasce circa 15 anni fa – ci spiega Giovanni Pagnotta, presidente del circolo Anspi – ed è stato la realizzazione di un sogno che abbiamo avuto noi parrocchiani insieme ai parroci. Volevamo portare qui e far vivere ai bambini, agli adolescenti, alle famiglie e a tutte le fasce d’età una relazione vera e sana, la relazione tra di noi e far sperimetare loro la bellezza della fratellanza cristiana. Siamo qui dopo 15 anni e stiamo continuando a sognare con L’Astrolabio che è diventato un faro dentro alla comunità”.

Oratorio e parrocchia punto di riferimento della comunità locale

Una parrocchia dell’immediata periferia di Perugia – quella di Ponte d’Oddi – che è affidata ai frati minori del vicino convento di San Francesco al Monte. “Attualmente nel convento siamo in nove racconta fra Damiano Romagnolo , che a San Giovanni Apostolo si occupa soprattutto dei giovani – e serviamo questa parrocchia con un parroco e i frati che si occupano delle varie attività pastorali. Fra queste uno spazio importante e quotidiano è l’attività dell’oratorio: abbiamo qui un circolo Anspi animato da volontari, ragazzi, ragazze e giovani che man mano sono cresciuti in parrocchia e fanno il loro servizio per i più piccoli”.

Lo speciale servizio di dopo scuola

Quando suona la campanella nelle scuole dei dintorni, dalla parrocchia parte il pulmino de L’Astrolabio che porta i bambini in oratorio. “Di solito, dopo aver ripreso i bambini a scuola – ci dice Alessio Carlini , educatore e coordinatore dell’attività in oratorio – , iniziamo a pranzare verso le due meno dieci, finiamo verso le 14.30 e fino alle 15, in attesa di iniziare i compiti, c’è un momento di gioco degli animatori con i bambini. Durante la settimana, possono variare un po’ gli orari, con proposte particolari. Solitamente il venerdì, verso il fine settimana, al posto dell’aiuto compiti proponiamo attività e giochi come escape room, caccia al tesoro o altro, e alcune volte con un prolungamento dell’orario. Tutto questo è possibile anche grazie alla cooperativa che è dietro al polo oratorio ed è Pepita, una cooperativa di educatori”.

L’importanza dei fondi 8xmille

Sabato 20 aprile 2024, dalle ore 9.45 presso la Sala conferenze della sede Caritas di Perugia (via Montemalbe, 1), sarà presentato il rendiconto 8xmille della diocesi di Perugia-Città della Pieve relativo all’anno 2022. Per iscriversi basta collegarsi al sito www.sovvenire-umbria.it

“Il lavoro quotidiano de L’Astrolabio – aggiunge Giovanni Pagnotta – si regge proprio grazie al servizio di tante persone che ruotano attorno alla parrocchia, senza le quali sicuramente non potremmo dar vita alle tante attività che abbiamo per bambini, adolescenti e anche per i più grandi. Tutto ciò è possibile anche grazie al sostegno dell’ 8xmille che arriva in parrocchia perl’oratorio e grazie al quale appunto riusciamo a continuare a sognare. Il mio personale sogno è quello che L’Astrolabio possa diventare la base di una comunità educante, un riferimento per il territorio perché qui ci sia una vita di fraternità per le persone”.

Su questa linea continua anche fra Damiano, che riflette sull’importanza delle relazioni che nascono e si sviluppano grazie a questa attività.

“Penso che la parola ‘relazione’ – ci dice – riassuma bene quello che è l’oratorio. La relazione innanzitutto con Gesù, con Dio che cerchiamo di testimoniare ai ragazzi, sia noi frati sia gli animatori e gli educatori. E poi la relazione orizzontale tra di noi, con loro, tra di loro, nelle varie età, insieme ragazzi e ragazze, in modo che possano vedere la bellezza di vivere la fede nell’amicizia, nella diversità dei caratteri, nella complementarietà e nell’educazione alla vita fraterna, al bene comune, allo stare insieme e a tutti quei valori che fanno parte sia del vangelo ma anche proprio della vita umana che si esprime con chi mi è accanto”.

Daniele Morini

Investire nella Sanità. Ma bene

Trecentocinquanta milioni di euro al giorno: è quanto spende lo Stato per pagare la sanità pubblica e privata. In un anno, fanno 130 miliardi di euro. Pochi? Tanti? Dipende.  Nei giorni scorsi è apparso un appello firmato da centinaia di importanti esponenti della medicina (e non solo) per sollecitare appunto lo Stato a non abbassare la guardia, a non tagliare risorse alla sanità, anzi di investirci di più. Si fanno paragoni con quanto spendono Stati affini al nostro (423 miliardi in Germania, 271 in Francia, 230 in Gran Bretagna) e chiaramente la nostra spesa appare sottodimensionata.

C’è un particolare che fa lievitare la differenza: qui da noi, medici e infermieri sono pagati la metà che in certi Paesi europei; un simile riadeguamento delle retribuzioni ci farebbe tornare abbastanza in linea, ad esempio, con la Francia. Paghiamo relativamente poco il personale sanitario perché permettiamo poi di esercitare la libera professione (intra o extra moenia) quale strumento “risarcitorio” a livello reddituale.

La vera questione è: quei soldi sono investiti bene? E qui emerge il “problema italiano”. I soldi arrivano dalla fiscalità generale, ma sono poi spesi dalle Regioni: 20 Sanità differenti. Lo sanno tutti che esistono sanità regionali d’eccellenza (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna…) e altre inqualificabili. Che nella stessa Regione, nella stessa città, spesso si trovano punte di diamante a fianco di strutture sgarrupate. Che i carichi di lavoro sono frequentemente auto-decisi. Che certe liste di attesa sono ignobili per lunghezza. Che i “pronto soccorso” nella maggior parte dei casi sono da frequentare solo se veramente si ritiene di essere in punto di morte.

Quindi una prima considerazione: i soldi spesi per la Sanità italiana sono impiegati mediamente abbastanza male. Negli ultimi decenni si è un po’ razionalizzata la rete degli ospedali, chiudendo piccole strutture sorte nella seconda metà del Novecento più per questioni campanilistiche che per razionalità di cure. I nuovi nosocomi sono realizzati come grandi “fabbriche” degli interventi operatori, mentre le lungodegenze vengono spostate fuori dagli ospedali. Il tasso di occupazione di un letto si è continuamente ridotto, il continuo estendersi della prevenzione aiuta ad affrontare il male prima che la situazione diventi più complessa.

Ma: mancano oculisti, dermatologi, radiologi, medici del pronto soccorso, soprattutto infermieri, che sono la spina dorsale della sanità e che mediamente vengono pagati poco più di un bidello. I professionisti di certe specialità preferiscono la libera professione, assai più lucrosa. Le sirene estere stanno attirando giovani laureati verso la Gran Bretagna o la Germania. I medici “di base” tempestano le strutture di accertamento con una marea di esami non sempre motivati; gli strumenti di diagnostica spesso sono vecchi, usurati, soprattutto scarsi.

Così capita che la spesa insoddisfacente, invece di essere migliorata, venga tagliata (almeno qui in Italia). Ma la questione numero uno è un’altra: si pensava che le Regioni sarebbero state molto più attente ai territori e alle loro esigenze. Esperimento quasi fallito.

Varrebbe la pena ripensare il tutto dalla radice, anche perché stanno arrivando ingenti fondi dal Pnrr per una Sanità territoriale da rivoluzionare. Sul come cambiare, si apre un altro enorme capitolo, che dovrebbe interpellare le distrattissime forze politiche nel concreto e non solo nei vuoti proclami.

Nicola Salvagnin

“Riscopriamo talenti”, formazione per volontari dei Centri di ascolto Caritas

volontari della Caritas di Perugia di spalle all'interno di una sala

Si terranno a Perugia, il 16 e il 24 aprile (ore 9-13), presso il “Villaggio della Carità” (via Montemalbe 1, nelle vicinanza della chiesa di San Barnaba – zona via Cortonese), due giornate di formazione per operatori e volontari dei Centri di Ascolto (CdA) delle Caritas parrocchiali inerenti al progetto nazionale “Riscopriamo i talenti” avviato lo scorso 30 giugno, frutto di un protocollo d’intesa tra Caritas italiana, Inps, Ordine e Fondazione dei Consulenti del lavoro.

Le due finalità del progetto

Il progetto ha una duplice finalità: 1) formare quanti sono preposti all’ascolto di persone in grave emarginazione sociale alla ricerca di un lavoro dignitoso e conoscere le diverse norme legislative che favoriscano la loro inclusione sociale; 2) dar vita ad un canale di comunicazione diretto tra gli Istituti coinvolti per una presa in carico condivisa della persona ascoltata presso i CdA Caritas in modo anche da accompagnarla meglio a cogliere le nuove opportunità occupazionali presso azienda interessate ad assumere personale.

Perugia tra le venti Caritas nazionali coinvolte

Quella di Perugia-Città della Pieve è una delle venti Caritas diocesane in Italia inserite in questo progetto-protocollo, le altre sono Ancona-Osimo, Bari-Bitonto, Benevento, Brescia, Cagliari, Concordia-Pordenone, Genova, Lamezia Terme, Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, Modena-Nonantola, Napoli, Pescara, Piacenza-Bobbio, Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, Roma, Siena, Trento e Vercelli.

Gli ambiti di intervento

Alle due giornate formative hanno già aderito circa 40 tra operatori e volontari Caritas parrocchiali. Riceveranno nozioni sui seguenti ambiti di intervento: Assegno di inclusione e SFL, Isee, Principali prestazioni erogabili a persone in stato di difficoltà economica, Assegno sociale, Naspi, Invalidità civile, Reddito di Libertà, Contrattualistica e nuova normativa in tema di lavoro e Politiche del lavoro. Interverranno a questa due-giorni operatori Inpse consulenti del lavoro impegnati sul territorio.

La persona portatrice di talenti

“Questo protocollo parte dall’idea della persona al centro – spiega Silvia Bagnarelli, assistente sociale e referente Caritas Perugia –, una persona capace di essere portatrice di talenti anche se in condizione di svantaggio e prevede un canale di comunicazione diretto tra gli istituti coinvolti per una presa in carico condivisa, ognuno attraverso le proprie competenze specifiche per accompagnare in maniera integrata quanti si trovano nella difficoltà».

Il ruolo della Caritas

In questo protocollo, precisa la referente Caritas, “il nostro ruolo è quello di primo contatto, grazie alle caratteristiche di capillarità e prossimità proprie della nostra identità, abbiamo la possibilità di incontrare tante persone in difficoltà e possiamo essere fondamentali nella fase di orientamento anche alla riscoperta del loro talento, accompagnando e monitorando il loro percorso attraverso le competenze specifiche di INPS, rispetto all’accesso ai diritti e alle forme di tutela e di sostegno e attraverso le competenze dei Consulenti del Lavoro e di Fondazione Lavoro rispetto alle tutele nel mondo del lavoro e le politiche attive”.

Importante la formazione di volontari e operatori Caritas

“Per tali motivi – sottolinea la dott.ssa Bagnarelli – risulta essere di primaria importanza una buona formazione dei volontari e degli operatori Caritas su queste misure, fondamentale per poter orientare efficacemente quante più persone possibili in modo da garantire l’accesso a diritti e a opportunità anche a chi vive ai margini, ha meno risorse, con l’obiettivo di mettere al centro dell’interesse della comunità la singola persona, aiutandola a riscoprire le potenzialità di cui è portatrice”.

Chiesa e messa: analisi e numeri. Intervista al sociologo Luca Diotallevi sull’ultimo libro

Un sacerdote con la mascherina porge l'ostia ad una fedele di profilo, anche lei con la mascherina. Si trova all'interno di uan chiesa sullo sfondo si vede la statua della Madonna e altra gente in fila
Foto Gennari Siciliani, Sir

“Nella Chiesa, molti hanno cercato nel Covid e nei lockdown una giustificazione al calo della partecipazione dei fedeli ai riti religiosi. Ma quel calo comincia in modo significativo dalla fine degli anni Ottanta. Probabilmente il lockdown lascerà il segno ma su un altro piano”. Come sempre, Luca Diotallevi parla senza peli sulla lingua, andando dritto al tema. E così fa anche raccontandoci le pagine del suo ultimo libro: La messa è sbiadita(Rubettino, 2024). Docente di Sociologia all’Università di Roma Tre, si è occupato spesso di Chiesa e secolarizzazione, di cattolici e del loro impegno sociale e politico, di laicità, valori, modernizzazione e molto altro.

Professore, a cosa si riferisce quando dice che il lockdown lascerà il segno?

“Intendo dire che porteremo a lungo i segni di un abuso dei mezzi di comunicazione e della spettacolarizzazione della liturgia. Operazione cominciata da decenni, che porta a una riduzione del fedele da partecipante a spettatore. Avremo bisogno di studi ma i segni sono già evidenti dal punto di vista quantitativo. Con la pandemia abbiamo solo visto l’accelerazione di un processo in atto. Noi sappiamo che i grandi stress sociali accelerano i processi di ogni segno, positivo o negativo”.

Cosa è successo nelle nostre chiese tra i primi anni Novanta e l’ultimo quinquennio?

“Noi sapevamo già, da studi usciti a metà dello scorso decennio, che sulla eccezione italiana al declino della partecipazione ai riti erano stati costruiti molti luoghi comuni. Questo studio si avvale ora della più importante analisi sui comportamenti degli italiani, prodotta dalla fonte più autorevole che è l‘Istat, analisi della vita quotidiana degli italiani realizzata su 40mila individui. Questi dati confermano il declino e ci danno la possibilità di studiare nel dettaglio cosa avviene dentro quella parte di universo della popolazione italiana che frequenta i riti religiosi”.

Quali risultati vengono fuori dalla sua analisi?

“Il dato più importante è che in questi anni è continuato il declino della partecipazione degli uomini di ogni età ai riti religiosi, ma si è di molto accelerato il declino delle donne. Uno dei grandi fenomeni che noi viviamo in questo momento è la ‘rottura’ tra religione e donne. In particolare, tra la Chiesa cattolica e le donne, appunto. Questo è il fenomeno nettamente più importante: al di sotto dei 30 anni, non c’è più differenza tra uomini e donne. Ragazzi e ragazze, giovani uomini e donne hanno un profilo di partecipazione religiosa nell’ultimo decennio indistinguibile, mentre per anni la differenza era stata rilevante”.

Oltre al dato di genere, ci sono anche importanti rilievi anagrafici…

“Sì, il secondo fenomeno è quello dell’invecchiamento medio di coloro che partecipano ai riti e questo significa che noi ci stiamo avvicinando non solo a un’accelerazione della curva, ma a un gradino, perché fatalmente le popolazioni più anziane scompariranno e questo gruppo di italiani e italiane è quello in cui è più elevata la partecipazione. Quindi noi andiamo verso una platea di partecipanti ai riti religiosi significativamente più piccola e questo passo verso il basso verrà compiuto di botto”.

C’è anche un’analisi qualitativa, oltre a quelle quantitative. Di che si tratta?

“Sì, è il terzo fenomeno che racconto nel libro. Sempre meno la messa fa la differenza. Cioè, mentre 50 anni fa chi andava la messa era distinguibile in ambito politico, economico, familiare perché chi frequentava le celebrazioni teneva alcuni comportamenti, oggi andare a messa difficilmente fa la differenza. E questo la dice lunga sulla superficializzazione della vita cristiana che ha corrisposto alla spettacolarizzazione delle liturgie”.

Scorrendo le pagine del libro, per fortuna, ci sono anche segnali positivi interessanti in questo quadro senz’altro problematico. Quali in particolare?

“Il primo è che la Chiesa verso la quale stiamo andando avrà una base molto meno caratterizzata e con proporzioni più equilibrate. Oggi sono più gli anziani dei giovani, più le donne degli uomini, ecc. Andiamo verso un ‘terreno’ meno ingessato e più propenso all’innovazione. Il secondo elemento è che, in questo quadro, regge un tratto distintivo in chi partecipa alle celebrazioni religiose: la maggiore propensione e partecipazione ad attività caritative, di accoglienza e di volontariato. Il nesso fra la messa e queste attività di cura dell’altro è ancora evidente”.

Michele, non vedente, campione di judo con la passione per l’alpinismo

Michele Milli a destra con un accompagnatore, a mezzop busto, in tenuta da montagna mentre scalano una vetta, sullo sfondo il cielo
Michele Milli a destra durante una scalata

“È stato un giorno che ricordo benissimo perché ha rappresentato lo spartiacque tra la mia vita di prima e quella di adesso” racconta Michele Milli, non vedente.

La storia di Michele Milli, non vedente per un incidente

Umbertidese di 38 anni, la sua storia è una di quelle che insegnano a guardare oltre; una storia di “risurrezione”, che aiuta a rendere attuale il messaggio di questo tempo di Pasqua che stiamo attraversando. Michele ha perso la vista il 27 gennaio 2008 a causa di un incidente. Da allora la sua esistenza è stata stravolta, ma lui non si è arreso, e oggi è un portabandiera della vita, dono meraviglioso che Dio ci ha fatto e che molti spesso danno per scontato. Alle nostre pagine consegna un racconto a tutto tondo, dall’incidente su un terreno di caccia che lo ha reso non vedente, alla voglia di lottare ogni giorno, fino a ottenere la laurea in Fisioterapia, ma anche grandi risultati nel judo paralimpico, e le esperienze nel trekking in montagna.

Da brivido, quando ricorda l’attimo in cui tutto intorno a lui è diventato buio… “Ero in auto, stavo percorrendo una strada sterrata vicino a un uliveto. A un ragazzo che era lì vicino è partito inavvertitamente un colpo di fucile che ha colpito il parabrezza anteriore della mia macchina: il vetro si è frantumato, le schegge mi sono finite negli occhi rendendomi cieco. Purtroppo mi ha tolto la vista… ma probabilmente, se non ci fosse stato quel parabrezza che ha attutito il colpo, oggi non sarei neppure qui a raccontare la mia storia”.

Dopo l’incidente, cosa hai fatto?

“Con il sostegno di amici e parenti, mi sono immerso negli studi universitari di Fisioterapia. Essendo anche il primo studente non vedente in facoltà, da parte dei docenti vi era l’assoluta volontà di aiutarmi a intraprendere questo percorso. Però, essendo alla loro prima esperienza di questo tipo, mi hanno chiesto di aiutarli ad aiutarmi! Una volta laureato, ho poi aperto uno studio. E lì, grazie ad alcuni miei pazienti, ho scoperto il mondo del judo a cui mi sono appassionato, entrando infine a far parte della squadra paralimpica italiana e vincendo diversi titoli. Perdere la vista a 23 anni ti fa crollare tutto addosso e diventa tutto tremendamente difficile, ma io ci sono”.

Come è diventato il mondo intorno a te?

“Percepisco l’ambiente intorno a me basandomi sui rumori, su quello che sento, e ricordando tutto quello che vedevo e provavo prima”.

Ti sei mai sentito emarginato o deriso a causa della tua condizione?

“È successo una volta, a una gara di judo tra vedenti e non vedenti. Il mio avversario inizialmente non sapeva delle mie condizioni. Quando mi si è presentato davanti, accorgendosi della situazione, si è rivolto al suo allenatore dicendo: ‘E io che ci devo fare, con questo? Non ci vede!’”.

Un caso isolato, per fortuna, e speriamo non si ripeta. Oltre al judo, parlaci delle tue altre passioni.

“Anzitutto, scalare montagne. Da piccolo vedevo le montagne come vette irraggiungibili, dove non sarei mai salito. Poi, con l’aiuto del mio amico Daniele Caratelli, è nata l’occasione di provare queste esperienze. Non ho paura. Bisogna essere coscienti delle proprie capacità: a volte il timore è umano, e va tenuto sotto controllo, ma comunque serve a evitare ulteriori pericoli. Insieme a Daniele, l’amico di una vita, siamo arrivati in cima a molte vette, anche la Marmolada, e molti sogni si sono realizzati. Il prossimo obiettivo è quello di arrivare in cima al Monte Bianco! Quando sono in vetta, provo la sensazione dell’altezza. La libertà e il silenzio che offre la natura sono indescrivibili, soprattutto per un non vedente”.

Che messaggio vorresti lasciare a chi ti legge?

“Di apprezzare sempre ciò che si ha, guardando avanti e pensando al bene prezioso della vita, del tempo, degli amici”.

Fabrizio Ciocchetti

L’ultima trovata: se ti arruoli hai la cittadinanza. Se lavori no

Si apprende che un’apposita commissione del ministero della Difesa sta studiando la possibilità di arruolare persone straniere residenti in Italia. Fin qui sembrerebbe un dato meritorio anche perché si aprirebbero nuove possibilità di lavoro e integrazione soprattutto se tale apertura fosse regolata e puntualmente verificata con molta attenzione. A quanto pare, ciò che la commissione sta approfondendo è di concedere la cittadinanza italiana come riconoscimento a coloro che si arruoleranno in questa sorta di Legione straniera.

Insomma, sei cittadino se accetti di combattere in armi a favore del Paese che ti ospita. Non lo sei se lavori nel settore dell’edilizia nel cantiere per la costruzione di un supermercato o nella consegna di pasti su prenotazione a tutte le ore del giorno e della notte. Pertanto: No allo ius soli e altrettanto No allo ius culturae ma ci si prepara a un corale Sì allo ius belli.

La notizia – potete giurarci – trapela per verificare quali reazioni suscita nel Paese, ovvero tra gli elettori e soprattutto tra quelli che sostengono l’attuale maggioranza. L’ipotesi allo studio è stata messa in campo perché da qualche tempo il reclutamento di nuovo personale militare è in crisi. I venti di guerra che spirano vicino, scoraggiano molti giovani a considerare quella militare una professione come un’altra. Per gli stranieri è diverso: sarebbero pronti a sacrificarsi pur di ottenere l’agognata cittadinanza.

Dignitas infinita parla alle coscienze e agli Stati

La dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, sulla dignità della persona umana, è un documento denso e complesso, per il numero e per la varietà dei temi trattati; ma anche perché, a seconda dell’argomento, sono diversi (almeno in senso relativo) i destinatari. In linea di principio, tutto il discorso si rivolge alle coscienze individuali, come è naturale quando si toccano problemi morali.

Ma è chiaro che quando si denunciano, come altrettante violazioni della dignità della persona, fenomeni come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le condizioni di lavoro ignominiose, e ancora la guerra, la pena di morte, il travaglio dei migranti, il discorso si rivolge a chi fa le scelte politiche, a chi governa, a chi scrive le leggi, in una parola a chi esercita il potere.

Altri temi, invece, come la violenza sulle donne e gli abusi sessuali, chiamano più direttamente in causa i comportamenti individuali e le coscienze dei singoli, anche se pure questi vanno affrontati a livello di legislazione e di governo, se non altro per proteggere i soggetti più deboli. In un caso e nell’altro il giudizio morale ispirato alla dottrina cristiana e quello dello Stato laico tendono a coincidere. Ma c’è un terzo gruppo di temi, rispetto ai quali – secondo me – la legge dello Stato non sempre può coincidere con il giudizio della morale cristiana.

Certi divieti, come quello di fare ricorso al suicidio assistito, possono essere inderogabili dal punto di vista cristiano, ma non possono essere imposti per legge, salvi i criteri severamente restrittivi dettati dalla Corte costituzionale; lo stesso si può dire a proposito del cambiamento di sesso e della maternità surrogata.

Anche perché in tutti questi casi, leggi permissive (spesso anche troppo) sono già in vigore in gran parte del mondo e quindi i divieti imposti in un singolo Paese possono essere facilmente aggirati creando alla fine ulteriori problemi. Su questa divaricazione (limitata, si capisce, a situazioni particolari) fra la morale della Chiesa e la logica dello Stato laico ho scritto più volte e tornerò a farlo, convinto tuttavia che fra le due visioni non vi sia contrasto, ma solo una necessaria complementarità.

È tempo per noi di “passare a”

Il desereto visto dall'alto con uan persona lontana che cammina
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Pasqua: Pésach, passaggio. La Pasqua è una soglia da attraversare, un passaggio da compiere, un cammino da intraprendere. È il passaggio del Signore tra le case di Egitto per liberare Israele, è il passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso, è il passaggio di Cristo dalla morte alla vita. Pasqua è l’essere associati a quel mistero che ha sconfitto la morte e ridato a noi la vita, quella che non conosce tramonto.

Ma far Pasqua oggi è camminare in novità di vita nel presente, per il singolo e per l’insieme, per il cristiano e per la comunità. E il passaggio ha a che fare con un prima e un dopo, non solo di ordine cronologico, ma segnato dalla diversità tra quello che era e ciò che è e che sarà. Il tempo pasquale, che abbiamo da poco inaugurato e che ci farà giungere alla solennità di Pentecoste, diventa così momento prezioso nel quale sperimentare il cambio di passo lasciandosi interrogare dal confronto con ciò che abbiamo celebrato e ciò che celebreremo nelle settimane a venire.

Nella madre di tutte le Veglie, da poco tempo vissuta, anche quando non sono stati celebrati dei battesimi non è mancata la liturgia battesimale, ricordo della nostra rinascita e ‘battesimo della comunità’. La comunità, insieme, depone l’uomo vecchio e si riveste del nuovo, assume – o almeno tenta di assumere – gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù per vivere nella novità dell’amore. Ripetutamente nelle celebrazioni della cinquantina pasquale proclameremo e ascolteremo i Vangeli delle apparizioni del Risorto. Dove si nota come il gruppo dei suoi, uomini e donne, si mettano in movimento per annunciare la buona novella; non vivono nell’immobilismo, non stanno con le braccia conserte e le gambe accavallate, ma si muovono verso i fratelli e le sorelle affinché tutti siano raggiunti dal lieto accadimento.

Alla Chiesa è ricordato che la prima missione è l’annuncio, e che il passaggio da compiere è dalla vacuità delle parole alla consistenza della Parola, del Verbo fatto carne che ha sconfitto il peccato e la morte. Ma ancora: le comunità si confronteranno con la vita della Chiesa nascente, che negli Atti degli apostoli è descritta con alcune abitudini: assidua nell’ascolto degli apostoli, nella frequentazione del Tempio, nella preghiera, nello spezzare il pane nelle case, nella condivisione dei beni.

La vita pasquale delle comunità di oggi è messa a confronto con la vita della comunità di ‘ieri’, perché da essa possa trarre esempio e vivere in questo tempo ciò che essa ha vissuto un tempo. Lo spezzare il pane, l’ascolto della Parola, la preghiera, la condivisione dei beni possono dunque essere ancor oggi i pilastri delle comunità cristiane. Anche perché è soprattutto con la vita che si dà testimonianza e si assolve alla missione consegnata alla Chiesa dal Risorto prima di ascendere al cielo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). Infatti, proprio al termine della prima descrizione che Atti degli apostoli fa della Chiesa nascente afferma: “Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2,47), come a dire che grazie a come vivevano, non solo godevano del favore del popolo, ma si aggregavano a loro nuovi membri.

La Pasqua ecclesiale, pertanto, potremmo indicarla come passaggio dalla sterilità alla generatività, frutto di una rinnovata vita evangelica tutta da sperimentare nel tempo che viene, unico orizzonte di possibilità per nuove rinascite e anche nuove vocazioni.

Francesco Verzini

Prosegue il progetto ‘Rete di Argento’

locandina programma iniziativa 'rete di argento'

Presentato ed avviato lo scorso autunno, il progetto Rete di Argento (2023-2024) prosegue il suo percorso attuativo offrendo a tutta la cittadinanza, in particolare alle persone anziane, un ciclo di sette incontri informativi, dall’11 aprile al 28 maggio, a cura del Distretto del Perugino USL Umbria 1, che avranno per oggetto argomenti di grande importanza rispetto al tema dell’invecchiamento attivo: adottare stili di vita sani attraverso l’alimentazione, l’attività fisica, la prevenzione del fumo e dell’alcol, il gioco responsabile e la sicurezza alimentare. Gli incontri si svolgeranno presso il Centro Socio Culturale Europa 93, in Via Isarco 4, a Ponte Valleceppi di Perugia. Il primo incontro è programmato per giovedì 11 aprile alle ore 16.

Si ricorda che il progetto è nato nell’ambito del bando Welfare 2023 Per gli anziani: cura promozione e risorsa pubblicato da Fondazione Perugia, ideato e realizzato da Fondazione di Carità San Lorenzo – ente operativo della Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve – in collaborazione con USL Umbria 1 – Distretto del Perugino, Comune di Perugia, Polizia di Stato, Associazione Coordinamento Centri Socio Culturali di Perugia e Fondazione Santa Caterina Parlesca Onlus.

Finalità principale di Rete di Argento è quella di riconoscere il diritto della persona anziana ad avere un ruolo attivo all’interno della società.

Il progetto intende sperimentare, nell’arco di dodici mesi, un modello di gestione innovativo in grado di promuovere, attraverso un sistema coordinato e integrato lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse già attive e potenzialmente attivabili nel territorio di Perugia, nonché strategie e azioni innovative finalizzate ad incoraggiare il coinvolgimento della comunità e le esperienze aggregative della popolazione anziana autosufficiente ≥65 anni allo scopo di favorirne la partecipazione ad un corretto processo di invecchiamento attivo e la prevenzione alla condizione della solitudine.

Le attività già realizzate da Rete di Argento

Nei primi cinque mesi di svolgimento, quelle relative all’attivazione di uno sportello welfare itinerante presso undici Centri Soci Culturali e presso la Fondazione Santa Caterina, oltre all’avvio della mappatura delle risorse e dei servizi presenti sul territorio rispetto al tema dell’invecchiamento attivo.

Inoltre, la realizzazione di quattro percorsi di cittadinanza attiva (nello specifico tre percorsi informativi sulle conoscenze e le competenze digitali rivolte agli anziani, un incontro informativo sulla prevenzione delle truffe in collaborazione con la Polizia di Stato).

E’ tornato alla Casa del Padre don Renzo Piccioni Pignani

Don Renzo Piccioni Pignani
Don Renzo Piccioni Pignani

Venerdì Santo 29 marzo, monsignor Renzo Piccioni Pignani, parroco di Montecorona dal 1970, è tornato alla Casa del Padre dopo una grave malattia. Avrebbe compiuto 83 anni domani, 30 marzo, nato a Perugia nel 1941 ed ordinato sacerdote il 27 giugno 1965. Si è spento la notte scorsa presso l’Hospice di Perugia e a darne la notizia è stato l’arcivescovo Ivan Maffeis, accanto a don Renzo nei quasi tre mesi di degenza ospedaliera, esprimendo il profondo cordoglio a nome di tutto il Clero diocesano alla famiglia Piccioni Pignani e alle comunità dei fedeli di Montecorona, Monte Acuto, Pian d’Assino, Colle e Romeggio. Per loro don Renzo era più di una guida spirituale: un “padre”, un “fratello”, un “amico-consigliere”, è il commento, a caldo, di amici e parrocchiani appresa la triste notizia.

Don Renzo era legatissimo a queste comunità situate tra i comuni di Perugia e di Umbertide, messe a dura prova poco più di un anno fa dal terremoto che ha interessato l’alta valle del Tevere. Le definiva «piccole e semplici realtà, ma c’è sempre stato un vincolo spirituale e materiale forte, che ci ha fatto vivere con amicizia ed affetto».

Don Renzo Piccioni Pignani, insignito del titolo di “monsignore” nel ricevere la nomina di “cappellano di Sua Santità” da parte di Papa Giovanni Paolo II, lascia un grande vuoto in quanti l’hanno conosciuto, stimato ed amato come pastore di anime nell’ascoltare e nell’accogliere tutti, senza distinzioni. Era un curato di campagna dal senso “diplomatico arguto” nel tessere rapporti anche con le Istituzioni e nell’avvicinare-dialogare con i “lontani”.

Aveva la passione per il calcio, aiutando a far crescere umanamente e sportivamente tante generazioni di giovani che erano anche il suo orgoglio, oltre ad essere uno dei motivi centrali del suo impegno pastorale e sociale. In occasione dei suoi cinquant’anni di sacerdozio (2015), un suo amico giornalista così lo descrive: «Don Renzo ha scelto di insegnare “sul campo” i valori di un cristianesimo quotidiano, costruito sull’amicizia, sul rispetto, sulla solidarietà, sulla condivisione. In parrocchia come a scuola, dove don Renzo ha insegnato dal 1976… Allora come ora».

Lo ricorda con queste parole Giuseppe Mordivoglia, suo ex alunno, oggi seminarista: «Don Renzo è stato il mio professore di Religione in primo e secondo superiore (anni 2000-2001). Oltre al piacevole ricordo che non entrava mai in classe “a mani vuote” (aveva sempre con sé una scatola di cioccolatini da condividere), non ha mai fatto una lezione frontale: alunni/studenti, lui ci riuniva intorno alla cattedra e parlava di argomenti importanti, a volte “scomodi” per la nostra età, per aiutarci a imparare a vivere e soprattutto iniziare a ragionare con la propria testa».

Diverse opere e progetti sono stati da lui realizzati come la ristrutturazione-restauro dell’abbazia e basilica minore di San Salvatore, sede della sua parrocchia, le solenni celebrazioni del millenario della costruzione di questa abbazia (1008-2008) ed altre ancora per la crescita sociale e culturale delle comunità affidate alla sua guida pastorale. Anche a livello diocesano si è particolarmente distinto nei suoi diversi e delicati incarichi ricoperti per diversi anni in ambito pastorale ed amministrativo, non da ultimo quello di presidente del Consiglio di amministrazione dell’emittente Umbria Radio InBlu vivendo un’altra bella esperienza con giovani appassionati di media.

Le esequie si terranno sabato 30 marzo, alle ore 11.30, nell’abbazia e basilica minore di San Salvatore in Montecorona, presiedute dall’arcivescovo Maffeis.

La salma di don Renzo, che riposerà nel cimitero di Umbertide, sarà esposta, a quanti vorranno raccogliersi in preghiera, nella chiesa superiore dell’abbazia di Montecorona, dalle ore 14 di oggi, venerdì 29 marzo.

 

I cristiani, segno di umanità riconciliata

Mons. Giuseppe Baturi a mezzo busto parla con in mano un microfono
Roma 23–11-2023 XX Assemblea Nazionale Elettiva della Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici. Giuseppe Baturi Segretario Cei Ph: Cristian Gennari/Siciliani

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa”.

Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla in questa Settimana santa che si celebra quest’anno in un mondo insanguinato: l’attentato a Mosca, le decine di migliaia di morti a Gaza e nel Medio Oriente, gli oltre due anni di guerra in Ucraina.

“È un tempo carico di dolore, che richiama la Passione del Signore e il racconto della violenza, del tradimento, dell’abbandono per paura. È il paradigma del male che conosciamo, che vediamo ogni giorno. È impressionante, sembra essere sempre presenti a quei momenti in cui Cristo viene consegnato per la salvezza del mondo. Quel dolore lo conosciamo, così come conosciamo la cattiveria e la volontà di deridere. Appartiene all’inventario peggiore della nostra umanità, che in questi giorni occupa gli spazi della cronaca”.

Scorge spiragli di luce?

“Non possiamo ignorare le figure di compassione e di pietà nel racconto della Passione. Penso a Maria Maddalena, al discepolo che Gesù tanto amava, a Maria: c’è grande dolore e preoccupazione, ma ci sono anche punti di luce e di amore che possono illuminare la notte e farci attendere l’aurora. In fondo la Pasqua è anche questo: saper guardare e credere ai segni di bene che esistono nel mondo. Credere nella possibilità di un mondo nuovo, che si realizzi ancora l’impossibile, ovvero una vita più grande della morte”.

La Chiesa in Italia è da sempre partecipe delle situazioni di dolore del mondo.

“Il popolo cristiano celebra la Risurrezione e prega, facendosi vicino agli uomini che sono sgomenti e che hanno paura. La Chiesa in Italia ha raccolto questa grande consegna dalla storia e dal magistero dei Papi: essere un segno di rinnovamento e di umanità riconciliata. Tutto ciò lo esprimiamo continuamente, anzitutto nella preghiera incessante per la fine della guerra, per la pace, per la libertà, per la riconciliazione nel perdono. E poi spendendoci per l’amicizia tra i popoli con le visite o con i fondi dell’8xmille che destiniamo alle zone più povere. A noi interessa creare reti di amicizia laddove la guerra è il più grande motore d’inimicizia e inoltre attraverso la solidarietà concreta, per alleviare le conseguenze più aspre dei conflitti che si ripercuotono sempre sui popoli indifesi. In Ucraina, a Gaza, nel Congo, in Siria. Vogliamo essere come il viandante misterioso che si affianca ai discepoli, mettendoci accanto agli uomini che cercano e che soffrono per consolarli e per indicare una via di speranza”.

È così difficile, Eccellenza, riuscire a far dialogare popoli che spesso sono fratelli?

“Tutte le volte in cui, sull’evidenza di un’umanità che ti rende fratelli, prevalgono le ideologie si manifesta l’inimicizia. Allora non ci si fa più scrupolo di violare gli altri, di cercare complici, di generare vittime. È una logica spietata, contraria al Vangelo. Una preghiera bizantina molto bella invita a dare il nome di fratello anche al nemico, ma questo può farlo soltanto il Risorto. Per questa ragione, in certi contesti la presenza cristiana è fondamentale, perché invita all’incontro attraverso il perdono. Se dovessero sparire i cristiani dalla Terra Santa sarebbe un male per tutti, perché i cristiani predicano una possibilità di perdono e riconciliazione”.

Guardando in casa nostra, che urgenze identifica per l’Italia?

“Dobbiamo evangelizzare, parlare di Cristo al cuore inquieto dell’uomo, raccontare e dare testimonianza perché Cristo si può annunciare solo dando testimonianza nella nostra vita e nell’unità della Chiesa. C’è poi la questione della solidarietà di fronte alla povertà economica ed educativa, che richiede lo sforzo delle autorità civili e la creatività delle comunità cristiane. Penso anche ai giovani, alla loro sofferenza talvolta gridata e talvolta muta, che diventa troppo spesso violenza verso se stessi e il proprio corpo. Dobbiamo essere compagni di questi ragazzi, dando loro una speranza”.

Pochi giorni fa il card. Matteo Zuppi ha detto che “suscita preoccupazione la tenuta del sistema Paese”.

“È certamente in ballo la tenuta del sistema Italia, non dobbiamo far venire meno i legami di solidarietà e di coesione, fondamentali per l’unità nazionale. Perché un Paese può crescere solo insieme e unito“.

A Pioltello una scuola ha deciso di sospendere le lezioni nel giorno di chiusura del mese sacro del Ramadan. È un campanello di allarme per la presenza dei cattolici in Italia?

“Sarei più preoccupato di un laicismo che non riconosca lo spazio del fenomeno religioso in termini comunitari. Vorrei che i cristiani vivessero il dialogo con tutte le religioni, sapendo riportare l’uomo alla dimensione religiosa del suo rapporto con Dio dentro un’identità chiara e un’amicizia aperta. Le cose non sono incompatibili: quando il cristianesimo non è ridotto a mero elemento sociologico o identitario, ma è aperto all’incontro con gli altri, una nazione come l’Italia può aprirsi ad altre dimensioni culturali, etiche e religiose. È un vantaggio per tutti, naturalmente nel rispetto degli ordinamenti“.

A giugno si voterà per il Parlamento europeo. Cosa si attende?

“Una nuova immagine dell’Europa. Ciò che sta accadendo ai suoi confini, in Ucraina ma anche a Gaza, ci parla della necessità di un’iniziativa di pace, di salvaguardia della persona umana e dei diritti delle comunità da parte dell’Europa”.

Riccardo Benotti

Il vescovo Soddu ha celebrato la messa in Coena Domini nella casa circondariale di Terni

Il vescovo Soddu inginocchiato asciuga i piedi di uno dei detenuti, di cui si vedono solo le gambe

La celebrazione della messa in Coena Domini, del giovedì santo, è stata presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu all’interno della Casa Circondariale di Terni, il secondo anno che questo importante momento del triduo pasquale viene celebrato dal vescovo nel carcere cittadino.

La messa è stata concelebrata dal cappellano del carcere padre Massimo Lelli, dal diacono Ideale Piantoni e alla presenza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, del direttore della Casa Circondariale Luca Sardella, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, dei volontari, formatori e operatori all’interno del carcere.

Messa in Coena Domini del vescovo Soddu: la lavanda dei piedi a dieci detenuti della Casa circondariale di Terni

Nel corso della celebrazione, molto partecipata e vissuta con particolare intensità e raccoglimento dai detenuti, il Vescovo ha ripetuto il gesto della lavanda dei piedi a dieci detenuti. “In questa celebrazione ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena – ha detto il Vescovo ai detenuti –. Ultima ma che è prima, perché è l’inizio di qualcosa che coinvolge tutti e che si ripete sempre: il servizio vicendevole, la donazione della vita gli uni per gli altri. Da questo dono nasce quello che sogniamo sempre: la liberazione e la pace. Nella misura in cui facciamo entrare Gesù nel nostro cuore, la nostra vita si trasforma, rinasce. Chiediamo al Signore la capacità di essere disponibili ad accoglierlo nel nostro cuore e farlo entrare nella nostra esistenza, lui che ha dato la sua vita per noi, perché diventiamo capaci di donarla agli altri.

Gesto di donazione e amore

Il gesto della lavanda dei piedi non è un gesto di cortesia, ma è un gesto profondo di donazione, un gesto di amore. E di gesti amore tutti abbiamo necessità. Se manca l’amore non c’è più niente nella vita, ma solo odio, prevaricazione, conflitto. Seguendo gli insegnamenti del Vangelo apparirà il senso profondo della pace e della riconciliazione di cui tutti abbiamo necessità, abbandonando gli egoismi, l’egocentrismo e ciò che appesantisce la vita, per essere capaci di farsi prossimo con i doni che Gesù ci dà ed aprirsi alla speranza, perchè quello che è morto dentro di noi, con l’aiuto di Gesù, può rinascere a vita nuova”.

Il dono di una croce pettorale al vescovo Soddu

Al Vescovo è stata donata una croce pettorale realizzata dai detenuti di Casal del Marmo e Rebibbia nell’ambito del progetto Croce della Speranza promosso dall’Ispettorato generale dei Cappellani, per tutti i vescovi impegnati nella pastorale carceraria.

Con chef Daniele Guerra giovani con autismo imparano a cucinare e a servire in sala

Foto di gruppo dei ragazzi con autismo con i grembiuli bianchi, al centro lo chef Daniele Guerra
Foto di gruppo con lo chef Daniele Guerra

Cookism è un progetto di inclusione sociale. Un’iniziativa dello chef Daniele Guerra, professionista del settore e da anni impegnato come educatore in attività sociali Questa intuizione è all’origine di quello che è un vero e proprio laboratorio di inclusione sociale.

Ragazzi con autismo si formano nella ristorazione affiancati da professionisti

I ragazzi e le ragazze con disturbi dello spettro autistico, affiancati da professionisti della ristorazione e della riabilitazione, vengono avviati ad una prima fase di formazione durante la quale è individuata la mansione più adeguata per ciascuno al fine di un futuro eventuale inserimento nel mercato del lavoro. C’è Leonardo, detto “il conte” per la sua eleganza, che non era mai uscito di casa da solo e che, adesso, prende tutti i giorni l’autobus per andare a lezione. C’è Matteo, il gigante buono, che non ama interagire con le persone ma che maneggia i piatti da servire a tavola come un giocoliere provetto. E poi ci sono Lorenzo, il fenomeno dei numeri, Francesco, che ha sempre un sorriso per tutti, e ancora Laura, Lorenzo, Giulia. Nomi con dietro una storia comune fatta di emarginazione e solitudine a causa di una condizione che li accompagna fin dalla nascita: l’autismo. La loro riscossa sta arrivando anche grazie a questa iniziativa finalizzata a dare loro una possibilità di vita “normale”.

Chef Daniele Guerra: “Basta individuare le caratteristiche di ognuno e valorizzarle”

“Mi piace dire, dichiara lo chef Daniele Guerra, che non esiste l’autismo, bensì esistono gli autismi. C’è chi fa fatica a convivere con tante persone, chi non ama maneggiare un certo tipo di cose, chi preferisce lavorare in solitaria. Quindi basta individuare le caratteristiche di ognuno e valorizzarle. Chi trova sgradevole l’esperienza tattile di mettere le mani nell’impasto lo abbiamo destinato alla sala, mentre chi non ama stare a contatto con le persone sta in cucina. Solo la ristorazione offre una differenziazione di mansioni tale che può rispettare le necessità di ogni tipo autismo”

Ogni settimana allestiscono e organizzano una cena ospiti di un ristorante

Durante la settimana chef Guerra svolge in laboratorio le sue lezioni ai ragazzi inseriti nel progetto: lo studio della pasta, la panificazione, il taglio delle verdure, delle salse e delle uova. Una volta alla settimana gli allievi si organizzano in brigata ed insieme al loro docente allestiscono e organizzano una cena aperta al pubblico, ospiti di ristoranti del territorio. “La loro autostima sta crescendo – prosegue Guerra. Finalmente con queste opportunità i ragazzi vengono messi alla prova. Stanno affrontando questo percorso formativo con serietà e dedizione. Un’esperienza unica dal punto di vista relazionale. Perché l’aspetto della socialità, dell’interagire, del sapere rispondere a richieste e a rapportarsi agli altri per loro è essenziale, per la loro autonomia. Così come per tutti, normodotati e non, il lavoro è lo strumento per intraprendere il proprio percorso di vita”.

Luca Verdolini

La fedeltà delle donne sotto la Croce e le croci del nostro tempo

La croce che contempliamo nei giorni della Passione e Morte di Gesù è affollata per lo più di curiosi e di spettatori, di cinici e macabri spioni del dolore degli altri. I discepoli si sono dati alla macchia. Restano le donne. È un dato che rischiamo di dimenticare.

Sono donne fedeli alla sequela perché lo hanno seguito dalla Galilea fino a Gerusalemme, ovvero per tutto il tempo della sua missione, e ora stanno lì a contemplare la croce col cuore e con le lacrime. La fedeltà delle donne fino alla croce, nello srotolarsi del tempo, non si è mai interrotta.

Le troviamo ancora oggi, ferme (stabat!) ai piedi delle croci dei conflitti armati che si allargano a macchia d’olio nel mondo, delle drammatiche violazioni dei diritti, della fame e degli stenti. Ne sono insieme soggetto e complemento oggetto, protagoniste e compartecipi fino a identificarsi in maniera totale e assoluta con il dolore.

Sono le Madres de Plaza de Mayo, le madri velate dei migranti africani e quelle colorate dei disperati del centroamerica, sono le madri di Gaza, di Ucraina e del Crocus City Hall di Mosca. Sono le madri dei morti sul lavoro e le vittime dei femminicidi. Le ritroveremo – mirofore – al sepolcro e nel giardino della nuova creazione al mattino di Pasqua. “quando era ancora buio” (Gv 20,1).

Il Triduo pasquale in cattedrale preceduto dalla “Messa crismale” del Mercoledì Santo

triduo pasquale
La lavanda dei piedi del giovedì santo 2023 nella Cattedrale di San Lorenzo a Perugia

La comunità cristiana si appresta a vivere il Triduo pasquale: Passione, Morte e Resurrezione del Signore, il “cuore” della fede, preceduto dalla “Messa crismale” del Mercoledì Santo, celebrata a Perugia nella Cattedrale di San Lorenzo, il 27 marzo, alle 17.

In questo giorno, come ogni anno, numerosi fedeli, tra cui i cresimandi provenienti un po’ da tutte le parrocchie, si ritrovano attorno al loro vescovo e ai loro sacerdoti e diaconi per partecipare al rinnovo delle promesse sacerdotali e alla benedizione degli olii santi (l’olio crismale, destinato ai battezzati, ai cresimandi, alla consacrazione dei sacerdoti; l’olio dei catecumeni, per quanti lottano per vincere lo spirito del male in vista degli impegni del Battesimo; l’olio degli infermi, per l’unzione sacramentale degli ammalati).

Vera festa del sacerdozio ministeriale

 “La benedizione del crisma -ricorda l’arcivescovo Ivan Maffeis- dà il nome di Messa crismale a questa liturgia e orienta l’attenzione verso il Cristo, il cui nome significa consacrato per mezzo dell’unzione.

Per questo, l’invito a partecipare -sottolinea monsignor Maffeis- è esteso in particolare ai cresimandi. La Messa crismale è una vera festa del sacerdozio ministeriale, all’interno di tutto il popolo sacerdotale: è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui”.

Il particolare dell’olio di quest’anno

È frutto di tre donazioni: da parte delle parrocchie della città, dell’Associazione Olio di San Luca, che coltiva gli ulivi a Montemorcino, e da parte della Polizia di Stato. La Questura di Perugia ha infatti consegnato al vescovo dell’olio ricavato dalla molitura delle olive prodotte a Capaci, vicino al luogo dove furono uccisi per mano mafiosa i magistrati Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo con gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. All’olio crismale è aggiunta anche una resina profumata, che è stata acquistata dagli artigiani di Terra Santa, per contribuire (almeno con il segno) a sostenerne l’economia, provata in maniera pesante dalla guerra. Tale balsamo viene ad aggiungersi all’essenza del bergamotto che la Diocesi di Locri-Gerace anche quest’anno ha donato in segno di comunione a tutte le Diocesi italiane.

Programma del Triduo pasquale in Cattedrale

In tutte le comunità è particolarmente sentita la Settimana Santa. A Perugia centro è consuetudine per numerosi fedeli e turisti partecipare ai riti del Triduo Pasquale in cattedrale.

Giovedì Santo, 28 marzo, alle 18, la Messa nella Cena del Signore, presieduta dall’arcivescovo Maffeis.

Il rito della lavanda dei piedi sarà compiuto ad una rappresentanza di cittadini prevenienti da Paesi dilaniati dalla guerra.

La celebrazione proseguirà con l’adorazione eucaristica, animata dai seminaristi e, alle 22, con la preghiera della Compieta dinanzi all’altare della reposizione.

Venerdì Santo, 29 marzo, alle 18, celebrazione della Passione del Signore.

Alle 21, in piazza IV Novembre, Via Crucis, animata dai cavalieri del Santo Sepolcro e dal gruppo di Comunione e Liberazione.

Le offerte che vengono raccolte in questo giorno santo sono destinate alla Terra Santa:

“Nella drammatica situazione odierna -ricorda monsignor Maffeis- tale vicinanza è indispensabile per permettere alla Custodia di Terra Santa sostenere la presenza dei cristiani a Gaza, a Betlemme e a Gerusalemme, il mantenimento dei Luoghi Santi come delle attività pastorali e delle opere sociali – scuole, case per anziani, ospedale – che vanno a beneficio di tutti, in particolare dei più bisognosi”.

Il Venerdì Santo è giorno di digiuno e di astinenza.

Sabato Santo, 30 marzo, alle 22, l’arcivescovo presiederà la Veglia pasquale nella Notte Santa, durante la quale riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana alcuni giovani catecumeni; altri saranno i giovani che riceveranno il battesimo in alcune parrocchie della Diocesi.

La Veglia inizierà con i suggestivi riti della benedizione del fuoco, dell’acqua e l’accensione del cero pasquale.

Domenica di Pasqua, 31 marzo, alle 11, Messa della Risurrezione del Signore, presieduta dal vicario generale, don Simone Sorbaioli.

L’arcivescovo presiederà la Santa Messa nella concattedrale dei Santi Gervasio e Protasio di Città della Pieve alle 10.30.

Tutte le celebrazioni della Settimana Santa in cattedrale sono animate dalla Corale Laurenziana.

Sempre in cattedrale, Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, alle 9, la preghiera dell’Ufficio delle letture e delle Lodi mattutine, presieduta dall’arcivescovo e animata dal gruppo corale Armonioso Incanto.

La battaglia pseudolegale contro i luoghi di culto

La settimana scorsa abbiamo parlato della scuola lombarda che ha deciso una giornata di chiusura in occasione della principale festività islamica, avendo preso atto che la metà degli studenti avrebbe comunque fatto vacanza. Oggi parliamo di Monfalcone, cittadina in provincia di Gorizia, dove risiedono migliaia di immigrati, in gran parte bengalesi di religione islamica occupati come operai nei cantieri navali.

Da tempo tutti questi immigrati sono alla ricerca di un luogo adatto per tenervi i propri riti di culto, ma sono ostacolati dall’amministrazione comunale, in persona della sindaca che su questo sta costruendo la sua candidatura al Parlamento europeo. Sa benissimo che non può vietare (come vorrebbero i suoi elettori) agli islamici di avere un luogo di culto, ma fa come Bertoldo che, condannato all’impiccagione, aveva chiesto al re il privilegio di scegliere l’albero: appena quelli trovano una sede, gli uffici comunali hanno un pretesto pseudolegale per dire che lì non si può.

A dire che si tratta di pretesti pseudolegali non sono io, ma il Tar di Trieste e il Consiglio di Stato, con decisioni pubblicate in questi giorni, con lodevole celerità. Il Tar di Trieste, con una sentenza del 23 marzo, ha dovuto spiegare che se qualcuno vuole utilizzare un ampio cortile come luogo di preghiera, non ha senso dire che quel piazzale è “inagibile”, perché il concetto di agibilità riguarda solo i fabbricati. Se i musulmani di Monfalcone vogliono invece pregare nella sala riunioni del loro centro culturale, il Comune dice che se una sala è adibita a conferenze non è legittimo utilizzarla per la preghiera comune; ma la causa farà la stessa fine (ciascuno di noi ha assistito a messe celebrate negli ambienti più diversi, senza che a nessuno venisse in mente di dire che fosse illegale).

Si capisce che questi interventi del Comune di Monfalcone non sono dettati da scrupoli legalitari, ma dalla volontà di emarginare e umiliare un gruppo sociale sentito come estraneo. Si può capire che molti cattolici – compreso chi scrive – provino dolore vedendo le antiche chiese delle nostre città finire in abbandono perché mancano i fedeli e i celebranti, mentre una religione in crescita, praticata da stranieri immigrati, cerca i suoi spazi. Ma non basta impedire l’apertura delle moschee perché le chiese abbandonate dopo secoli di vita tornino a riempirsi.

Gaza, Calvario dei cristiani

Un bambino viene recuperato tra le macerie di un edificio residenziale raso al suolo da un attacco aereo israeliano. Sta in braccio ad un uomo di spalle, tutto introno ci sono altri soccorritori. Striscia di Gaza
(Foto Ansa/Sir)

Il Calvario di Gaza è pieno di croci. Il “luogo del cranio” è tornato a essere luogo di morte. Il sangue di migliaia di persone che sono cadute in questa guerra continua a insanguinare, ancora una volta, questa terra benedetta. Benedetta perché un giorno ha bevuto il sangue innocente e redentore dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo. Benedetta perché quella stessa terra, dalle sue viscere, è stata costretta a restituire quel sangue al corpo glorioso del Signore Gesù risorto.

E così, da quel benedetto Venerdì santo la terra, questa terra, sa che il sangue innocente, come quello dei bambini innocenti degli ebrei uccisi dal crudele Erode, diventa misteriosamente segno e pegno di benedizione e risurrezione.

Ma intanto, sul Calvario di Gaza, le croci continuano a sanguinare, e i martellanti bombardamenti e gli spari continuano a mettere in croce migliaia e migliaia di persone. C’è chi schernisce, c’è chi si volta dall’altra parte per non vedere la sofferenza altrui… Com’è difficile prendersi cura di un malato o di un ferito senza avere il necessario per curarlo! Sì, è difficile essere testimoni della croce degli altri. È difficile, è noioso, è desolante. È difficile pensare alle sofferenze di prigionieri e ostaggi, ai morti, ai feriti, alle violenze di ogni genere. Eppure è proprio ciò che sta accadendo.

Sul Calvario di Gaza arriva anche la carestia. Non c’è mai stata una situazione del genere, i bambini muoiono di fame. Sembra impossibile che il cibo arrivi alle bocche affamate, ma non è impossibile che le bombe e i proiettili raggiungano le case di migliaia e migliaia di civili, la maggior parte delle vittime.

Anche la comunità cristiana è sul Calvario di Gaza. Questa comunità, che contava 1.017 membri all’inizio della guerra (135 cattolici e 882 grecoortodossi), ha perso 31 membri: 18 sono morti in un bombardamento israeliano di fronte alla chiesa ortodossa che ha causato la distruzione di un edificio parrocchiale che ospitava dei rifugiati cristiani che stavano dormendo; due donne, rifugiate cattoliche, sono state assassinate all’interno della parrocchia latina da un cecchino delle Forze di difesa israeliane (come riporta una nota del Patriarcato latino di Gerusalemme del dicembre 2023). E altri 11 cristiani sono morti per mancanza di assistenza ospedaliera. Nella parrocchia cattolica ci sono circa 600 parrocchiani rifugiati, in quella ortodossa 250.

La gente vaga in questa ‘Via crucis’ da una parte all’altra in cerca di tutto: riparo, una coperta, acqua, qualcosa da mangiare, vaga da una parte all’altra cercando di schivare i bombardamenti. Migliaia e migliaia di persone così bisognose! Soprattutto hanno bisogno di essere trattate con un po’ di umanità.

I cristiani che hanno deciso di rimanere “accanto a Gesù in ciò che Gesù ha vissuto” soffrono come il resto della popolazione e chiedono a Dio e a sua Madre la cessazione immediata e permanente delle ostilità, la liberazione dei prigionieri, gli urgentissimi aiuti umanitari in tutta la Striscia (Nord e Sud) e assistenza per migliaia e migliaia di feriti. Gaza vive un Calvario. E sul suo Calvario c’è morte e ci sono ombre di morte. Ma, al tempo stesso, sappiamo che vicino al Calvario c’è la Tomba vuota. La morte non ha l’ultima parola. Preghiamo e lavoriamo per essere testimoni di speranza in mezzo a tanto dolore. Continuiamo a pregare per la pace in Palestina e Israele.

Padre Gabriel Romanelli
parroco latino di Gaza

 

A Cascia messa delle Palme presieduta dal card. Ernest Simoni

Il card. Ernest Simoni

Sarà la prima volta a Cascia, ai piedi di Santa Rita, per il cardinale Ernest Simoni, che Papa Francesco ha definito “martire vivente”, per i quasi 28 in cui durante il regime comunista in Albania, sua terra natale, è stato prigioniero, subendo persecuzioni, lavori forzati, violenze e minacce. Nel suo instancabile apostolato, a ben 95 anni di età, il porporato, che oggi risiede nell’arcidiocesi di Firenze, ha accolto con gioia l’invito della Comunità agostiniana di Cascia e presiederà la messa solenne della Domenica delle Palme, nella basilica di Santa Rita. La celebrazione si terrà alle 10.30, preceduta dalla processione con le palme che partirà dall’inizio del viale del Santuario. Sarà trasmessa anche in diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita

Nel suo pellegrinaggio, il Cardinale, incontrerà le monache di clausura e i padri agostiniani, portando la sua preziosa testimonianza umana e di fede a tutti, soprattutto all’alba della Pasqua. Lui che ha sempre proclamato il perdono e la misericordia per i suoi aguzzini, pregherà davanti al corpo di Rita da Cascia, santa del perdono.

Il programma della Settimana santa a Cascia 

Simbolicamente, il cardinale Simoni aprirà, quindi, la Settimana santa della basilica di Santa Rita, dove sono molti gli appuntamenti in preparazione alla Pasqua di Risurrezione.

26 Marzo – Martedì santo

Celebrazione anticipata dell’8° Giovedì di santa Rita

(I 15 Giovedì di Santa Rita sono il cammino di preghiera e riflessione, in preparazione alla festa del 22 maggio e a ricordo dei 15 anni in cui la Santa portò la spina, ricevuta dalla corona di Gesù, sulla fronte). Ore 17 – Messa e Passaggio all’Urna di Santa Rita

In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita

 28 Marzo – Giovedì santo

  • ore 8 – Canto delle Lodi
  • ore 17 – Cena del Signore, presiede il rettore padre Mario De Santis

Segue la possibilità di rimanere in Adorazione fino alle ore 23

In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita

29 Marzo – Venerdì santo

  • ore 8.00 – Canto delle Lodi
  • ore 15.00 – Adorazione della Croce, presiede Padre Pietro Bellini

In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita

  • ore 21.00 – Processione penitenziale del Cristo Morto per le vie cittadine

 30 Marzo – Sabato santo

  • ore 8 – Canto delle Lodi
  • ore 21 – Solenne veglia pasquale, presiede parroco di Cascia, don Davide Travagli

In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita

31 Marzo – Domenica di resurrezione

  • ore 17 – rosario
  • ore 17.30 – Canto del vespro con le monache
  • ore 18 – messa animata dalla Corale Santa Rita di Cascia

In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita

Cooperazione, tra bilanci e sfide

Un gruppo numeroso di persone, uomini e donne, in piedi in posa e con la mascherina. Alle spalle, in alto un grande schermo con la locandina dell'assembla di Confcooperative
L’assemblea regionale 2020, nel primo anno di pandemia

“Ci avviamo a celebrare i cinquant’anni della nostra organizzazione con uno sguardo abbastanza ottimistico sulla realtà della cooperazione, orgogliosi e contenti dei risultati dell’ultimo quadriennio, anche se questo mandato direttivo è iniziato nel 2020, in piena pandemia da Covid”. Il presidente di Confcooperative dell’Umbria, Carlo Di Somma, commenta i dati dell’organizzazione alla vigilia dell’assemblea regionale convocata per il fine settimana a Perugia, sul tema “Lavoro, comunità e futuro – La funzione sociale della cooperazione”.

Coonfcooperative: un po’ di numeri

Una realtà che in Umbria rappresenta 294 cooperative 45 quelle aperte nell’ultimo quadriennio – e 42mila soci, in tutti i settori. Un terzo degli amministratori è in “rosa” e sono 61 le presidenti donne, 101 gli amministratori sotto i 40 anni di età. Circa 9.400 sono i soci lavoratori e i dipendenti impiegati nelle realtà legate a Confcooperative, per un totale di 2 miliardi e 400 milioni di fatturato, inclusa la quota degli istituti bancari di Credito cooperativo.

Presidente Di Somma, come declinate in assemblea i temi di lavoro, comunità e futuro?

“Sono incardinati nel cuore dell’articolo 45 della nostra Costituzione, sulla funzione sociale della cooperazione. La cooperazione è fatta di persone che lavorano insieme, che operano all’interno delle comunità nelle quali vivono e che oggi più che mai è chiamata a guardare al futuro”.

Non sono poche le sfide che la cooperazione deve affrontare guardando al futuro. Quali in particolare?

“La prima sfida è il passaggio intergenerazionale: anche all’interno dei nostri organi, noi avremo un’attenzione particolare a coinvolgere giovani e donne. Non perché siano delle ‘riserve indiane’ da tutelare, ma perché il loro apporto è importante”.

Che impatto ha avuto la pandemia sulle cooperative umbre?

“I primi di marzo del 2020, dovevamo celebrare la nostra assemblea regionale a Todi ma iniziò il lockdown insieme alle prime difficoltà. A cominciare dalla carenza dei dispositivi di protezione e di sicurezza che potevano permettere alle lavoratrici e ai lavoratori di andare avanti nelle attività ritenute necessarie e fondamentali. Nonostante tutto, io e la meravigliosa squadra che mi ha accompagnato in questi quattro anni siamo riusciti a portare avanti i rapporti con la politica, il raggiungimento di alcuni obiettivi che ci eravamo dati, il vedere approvata la legge regionale sull’amministrazione condivisa, quella sul valore del lavoro sociale, sul contrasto al massimo ribasso. Sono solo alcuni dei traguardi di questi anni. Poi, l’applicazione del Piano di sviluppo rurale per le nostre cooperative agricole, lo sviluppo delle filiere, la partecipazione ai distretti del cibo”.

Quanto alla cooperazione sociale, proprio in questi giorni con le altre organizzazioni a livello regionale state lanciando un allarme: a due mesi dal rinnovo del contratto di lavoro, Usl, Comuni e altri enti locali non hanno ancora adeguato i rapporti che li legano alle cooperative sociali. Vi stanno mettendo in difficoltà, immagino…

Chiediamo che il lavoro sociale sia valorizzato e riceva tutta la sua dignità. Non può esistere che il riconoscimento sacrosanto dei diritti che avviene all’interno di un rinnovo contrattuale possa mettere in crisi l’esistenza delle nostre imprese. Noi chiediamo che le stazioni appaltanti, tutto il sistema del convenzionamento e dell’accreditamento dei servizi, possano dare il giusto riconoscimento alle nostre cooperative sociali. E non solo in termini di adeguamenti economici e normativi”.

Bilanci personali del presidente Di Somma, oltre a quelli generali dell’organizzazione?

“Il bilancio di questi quattro anni sono i volti dei tanti cooperatori che ho potuto incontrare visitando le cooperative. Per me è stato un bel motivo di ‘rinascita’ come cooperatore. Quello che verrà, per quanto mi riguarda, dovrà essere il quadriennio nel quale io possa costruire le condizioni per riconsegnare le chiavi di casa e dire a qualcun altro ‘adesso te ne prendi cura tu, continuerò a starti accanto solo per dare qualche consiglio’. Ma le chiavi di casa si riconsegnano perché nessuno di noi in cooperativa è padrone. Siamo tutti quanti lavoratori che si mettono l’uno al fianco dell’altro”.

Popoli in “catene” per il dio denaro

Uomini e donne congolosi di spalle con magliette bianche all'interno di una chiesa che guardano Papa Francesco seduto accanto ad un sacerdote congolese, vicino c'è una croce
Papa Francesco in Congo nel 2023 (Foto Vatican Media- Sir)

“Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega”.

Neocolonialismo, nuova forma di oppressione
e privazione della libertà

Così Papa Francesco scrive nel Messaggio annuale per la Quaresima in cui, nel mettere a tema l’esperienza di libertà dell’uomo, richiama all’attenzione anche sulle moderne forme di oppressione e di privazione della libertà che molti uomini e donne ancora vivono. Tra queste si può annoverare un recente fenomeno che comunemente prende il nome di “neocolonialismo”, ma di cui non si parla poi così diffusamente.

Perciò abbiamo chiesto a padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, attualmente direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Roma, di parlarci di questo fenomeno e delle sue conseguenze, in virtù anche della sua attività missionaria, in Uganda e in Kenya, e di quella da ‘cronista di missione’, nella maggior parte dei Paesi dell’Africa.

Padre Albanese cosa si intende per colonialismo e neocolonialismo?

“Con colonialismo indichiamo quella serie di conquiste, dapprima delle Americhe, poi dell’Africa e di altri paesi, da parte di nazioni del Nord del mondo, che ha raggiunto il suo massimo nell’Ottocento guardando in particolare il continente africano e che si è protratto fino alla metà del Novecento. Dopodiché, negli anni ’60 del secolo scorso è iniziato il processo di indipendenza di quelle che erano le colonie, perché queste hanno affermato il principio di autodeterminazione diventando così indipendenti dalle potenze coloniali. Questo fenomeno della colonizzazione è stato estremamente invasivo e ha causato sofferenze indicibili alle popolazioni autoctone. Emblematico è il caso di quello che oggi noi chiamiamo Repubblica Democratica del Congo, ma che un tempo di chiamava Zaire e ancor prima Congo belga: paese africano la cui popolazione, a seguito della conquista, ha subito una grande sudditanza e una forte esclusione sociale perché il potere era tutto concentrato nelle mani delle forze di occupazione, attraverso lo sfruttamento delle cosiddette commodity (materie prime) di cui ancora oggi è ricchissimo.

E qui vengo al punto: nel nostro tempo siamo passati ad una versione riveduta e ancor più scorretta di colonialismo, il neocolonialismo appunto, per cui apparentemente i Paesi un tempo occupati sono ora indipendenti ma vengono fortemente condizionati dagli interessi economici di diversi attori internazionali. E se nei secoli scorsi erano le potenze occidentali ad occupare i territori, nel neocolonialismo ci sono altri player, oltre l’Occidente, come l’Impero del drago (Cina), la Russia, la Turchia, o economie emergenti come il Brasile o il Sudafrica, che portano avanti una politica, per usare il gergo anglosassone, di exploitation (sfruttamento) delle commodity energetiche ma anche alimentari. Tutto ciò determina ancora una volta una condizione di sudditanza di molti Paesi del Global South (Sud del mondo)”.

Quali sono i Paesi più interessati da questo fenomeno?

“Certamente non solo l’Africa, anche se questo continente è paradigmatico perché risente degli interessi occidentali, come di quelli russi, cinesi e indiani, ma anche Paesi dell’America latina o dell’Oriente, come ad esempio Cambogia e Vietnam. Purtroppo, da parte di diverse nazioni non c’è, evidentemente, attenzione nei confronti della res publica dei popoli. E mai come oggi, soprattutto il mondo cattolico deve coltivare l’‘azzardo dell’utopia’ cioè di una globalizzazione intelligente, segnata dalla solidarietà e dalla fratellanza universale, perché come afferma papa Francesco ‘siamo tutti sulla stessa barca’ e ‘nessuno si salva da solo’”.

Quali sono gli effetti del neocolonialismo?

“Anzitutto quello più evidente è la povertà: a seguito della finanziarizzazione dell’economia abbiamo meno dell’1% della popolazione mondiale che ha una ricchezza superiore al restante 99%. All’interno di questi paesi del Sud del mondo c’è più o meno la stessa percentuale. La differenza qual è? È che non è paragonabile la povertà nel Nord del mondo, per esempio in Europa, nonostante vi sia stato un notevole impoverimento soprattutto del ceto medio, con la povertà del Global South dove c’è un senso di precarietà molto più evidente e le persone sono costrette a fuggire da povertà, guerre, epidemie. Anche il debito estero di questi Paesi è ‘finanziarizzato’, che in linguaggio corrente significa che il pagamento degli interessi è legato alle speculazioni di borsa, aumentando così la dipendenza e la marginalità di questi popoli con il resto del mondo. Un altro male, paradossale, è quello della disoccupazione”.

Perché paradossale?

“Dico paradossale perché in fondo in Paesi come l’Africa tutti dovrebbero vivere come nababbi perché ricco di materie prime; eppure ci sono Stati come quello della Repubblica Centrafricana che, con una popolazione di 5-6 milioni di abitanti, un territorio due volte l’Italia ricco di petrolio, uranio e diamanti per non parlare delle foreste ricchissime di legname pregiato, ha un prodotto interno lordo di 5/6 miliardi di dollari. Una cifra davvero irrisoria se confrontata con il Pil di altre nazioni benestanti. Tutto ciò è aggravato dalle cosiddette guerre dimenticate, quelle guerre che non fanno notizia.  In merito a questo mi tornano alla mente le parole dell’economista e politologo francese Frederic Bastiat, il quale in un trattato sul libero scambio delle merci affermava: ‘dove non passano le merci, passeranno gli eserciti’, che in positivo significa che le politiche regionali a livello economico rappresentano un deterrente contro la conflittualità, ma di converso significa anche che le guerre si fanno proprio per motivi economici, per il dio denaro con la d minuscola”.

Francesco Verzini

Accogliere! Vale per ogni vita, anche delle donne migranti

Questa volta la vicenda segnalata si svolge “entro i confini” ma i protagonisti arrivano senz’altro da “oltre”. Anche in Umbria si registra l’opposizione di una parte della politica e delle istituzioni, nonché di una parte della popolazione, verso l’accoglienza di persone migranti.

Il riferimento è all’ex Hotel La Villa di Bastiola, frazione di Bastia Umbra, che è stato individuato dalla Prefettura come struttura idonea all’accoglienza temporanea di stranieri in fuga da fame, guerre o violazioni di diritti umani. Nel dibattito che si è aperto con il corollario di sit-in contro l’apertura del centro, di consigli comunali allargati e raccolte di firme tra la popolazione per impedirne l’entrata in funzione, è importante sostenere la voce dei cristiani che sono chiamati per vocazione a mettere in pratica il comandamento evangelico di accogliere.

Anche di fronte ad eventuali difficoltà e problematiche che dovessero sorgere dalle forme di accoglienza messe in atto, bisognerebbe piuttosto lavorare per rimuovere gli ostacoli. I cristiani – a imitazione di Cristo – non temono la mancanza di consenso e da sempre camminano controcorrente, non conoscono altra grammatica che quella della fraternità e del rispetto d’ogni vita dal concepimento fino alla sua fine naturale. Hanno braccia aperte all’accoglienza – i cristiani – e mai al rifiuto.

Un giorno di festa per la fine del Ramadan

Il consiglio di istituto di una scuola statale in Lombardia ha deciso che sarà giorno di vacanza il prossimo 10 aprile, per la ricorrenza della fine del Ramadan, il mese di digiuno e preghiera dei musulmani.

Circa la metà degli studenti sono di famiglia musulmana e starebbero a casa comunque; allora, ha pensato il preside, tanto vale mettere in vacanza tutti per un giorno, visto che l’autonomia scolastica lo consente. Il Ministro dell’Istruzione – che non ha il potere di impedirlo – lo ha severamente criticato.

Ma quella decisione è legittima? La risposta è sì; per le stesse ragioni per le quali una ventina di anni fa il Tar dell’Umbria rigettò il ricorso presentato contro una scuola di Corciano che su richiesta di molti studenti e delle loro famiglie aveva autorizzato la sospensione delle lezioni (per pochi minuti) per consentire lo svolgimento della benedizione pasquale.

Quella benedizione, dissero i giudici, si poteva fare perché non era offensiva per nessuno, non provocava sconquassi nella vita della scuola; e perché era stato precisato che tutti sarebbero stati liberi di scegliere se partecipare o no. I giudici aggiunsero che se in altre occasioni avessero fatto richieste simili i fedeli di altre confessioni, ovviamente la risposta sarebbe stata la stessa. Perché la Costituzione italiana riconosce non solo la libertà di religione, ma anche l’uguale diritto di praticare pubblicamente i culti, nel rispetto dei diritti altrui.

Ora si stima che in Italia ci siano circa due milioni e mezzo di musulmani, sia pure divisi fra diverse tendenze; l’Islam è la confessione più diffusa, dopo quella cattolica, e lo Stato non può negare ai suoi seguaci le libertà previste dalla costituzione, compresa quella di avere i propri luoghi pubblici di culto (molte autorità locali, per esempio in Lombardia cercano di opporsi, ma è illegale).

Ai seguaci di altre religioni (ebrei, avventisti) è concesso per legge di considerare festivi, a tutti gli effetti, i giorni previsti come tali dal loro calendario; ai musulmani questo non è ancora concesso, ma solo perché, per ragioni tecniche, non si è ancora conclusa la “intesa” prevista dall’art. 8 della Costituzione. Ma al di sopra dei sofismi legali, c’è il fatto che, piaccia o no, viviamo ora in una società multiculturale e multietnica, e dobbiamo accettarlo nel rispetto di tutti verso tutti.

L’acqua che beviamo è sicura?

acqua che esce da una bottiglia per riempire un bicchiere

Recenti studi hanno rivelato un fatto inquietante: la presenza di microplastiche all’interno della placenta umana. Questa scoperta ha sollevato nuove preoccupazioni sulla sicurezza dell’acqua in bottiglie di plastica e ha portato molte persone a rivalutare le loro scelte riguardo all’acqua che bevono. Le microplastiche, frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri, sono infatti originate da una varietà di fonti, tra cui al primo posto troviamo proprio gli imballaggi di acqua e cibi, seguiti dai rifiuti plastici, i tessuti sintetici e i cosmetici.

Particelle di microplastiche nella placenta umana

Queste particelle sono ora state trovate persino nella placenta umana, segno di un’evidente sovraesposizione del nostro corpo a tali sostanze. Gli esperti stanno sollevando una serie di domande sulla potenziale influenza delle microplastiche sullo sviluppo fetale e sulla salute in generale. In tutto questo si inserisce un altro dato inquietante: l’Italia è il primo Paese in Europa e il secondo nel mondo (dietro solo al Messico) per consumo di acqua imbottigliata, stando a dati forniti dal Censis.

L’acqua del rubinetto opzione affidabile

Fortunatamente, l’acqua del rubinetto, regolamentata da rigorosi standard di sicurezza e qualità, rappresenta un’opzione affidabile e sostenibile per soddisfare le nostre esigenze quotidiane di idratazione. Le autorità competenti monitorano costantemente la qualità dell’acqua del rubinetto, garantendo che sia sicura da bere e conforme agli standard sanitari. Gli impianti di trattamento delle acque pubbliche rimuovono una vasta gamma di contaminanti, inclusi batteri, virus, sostanze chimiche e anche le microplastiche.

In Umbria il portale Arpa per verificare la qualità dell’acqua nella propria area di residenza

In Umbria inoltre i cittadini dispongono di una risorsa in più per verificare in tempo reale la qualità dell’acqua nella propria zona di residenza. Si tratta del portale www.lacquachebevo.it, un sito promosso dalla Regione Umbria e realizzato dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) in collaborazione con le Aziende sanitarie umbre e i Gestori dei servizi idrici, che mette a disposizione dei cittadini i risultati dei controlli e ogni informazione sulle acque potabili erogate in Umbria. Il portale umbro è stato uno dei primi in Italia di questo genere, nato nel 2013.

Tra i principali parametri che possono essere direttamente monitorati dai cittadini si includono i nitriti, i nitrati, il sodio, il magnesio, la conducibilità e altre sostanze che definiscono la composizione delle acque nel territorio provinciale. Questo servizio riveste una grande importanza in quanto fornisce un elemento fondamentale di trasparenza nel rapporto tra istituzioni, gestori e cittadini. Permette infatti di accedere, anche tramite un sistema di ricerca cartografica, a dati e informazioni sulla qualità dell’acqua che arriva nelle abitazioni, sulla sua provenienza, sull’organizzazione e sui risultati dei controlli analitici, nonché sulle caratteristiche dei principali parametri e sul loro andamento nel tempo.

A breve anche un’App

Nelle prossime settimane, i cittadini umbri potranno trovare le informazioni contenute nel portale ‘L’acqua che bevo’ in un’App dedicata. La realizzazione di quest’App rientra nel progetto di Auri (Autorità umbra rifiuti e idrico), ‘La via dell’acqua’, che Arpa Umbria sta sviluppando con diverse azioni e iniziative. Un progetto che vedrà anche la realizzazione di una striscia animata dedicata alle fake news sull’acqua e un documentario sull’acqua in Umbria e molto altro ancora.

Il 22 marzo è la Giornata dell’acqua

La Giornata mondiale dell’acqua è una giornata internazionale riconosciuta dalle Nazioni unite che si tiene il 22 marzo di ogni anno per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’acqua dolce e per promuovere la gestione sostenibile delle risorse idriche. Ogni anno, la Giornata mondiale dell’acqua può avere un tema specifico che riflette le sfide attuali e le priorità globali legate all’acqua. Quest’anno il tema scelto è “Water for peace”, ovvero “L’acqua per la pace”. L’acqua, essenziale per la vita, può generare armonia o conflitto. Scarsità o contaminazione delle risorse idriche, insieme all’accesso disuguale alle stesse, possono creare tensioni tra piccole comunità, così come tra nazioni.

 

La qualità e l’origine delle acque in Umbria

Le caratteristiche chimico-fisiche delle acque sotterranee dalle quali, tramite pozzi o sorgenti, vengono prelevati circa 3.600 litri al secondo per garantire acque potabili ai cittadini umbri, dipendono da vari fattori naturali tra i quali i più significativi sono la composizione della roccia-serbatoio e le reazioni chimiche tra acqua e roccia. In Umbria le risorse idriche principalmente utilizzate per uso potabile derivano da quattro tipologie di acquifero, ciascuna delle quali con determinate caratteristiche chimiche.

Acquiferi carbonatici: hanno sede nelle dorsali carbonatiche che costituiscono l’Appennino umbro marchigiano.

Acquiferi alluvionali: costituiscono le principali aree vallive della regione come l’Alta Valle del Tevere, la Media Valle del Tevere, la Valle Umbra, la Conca Eugubina e la Conca Ternana.

Acquiferi vulcanici: sono limitati all’area dei depositi dell’apparato vulcanico Vulsino, nei pressi di Orvieto.

Acquiferi minori: presenti un po’ ovunque, ospitati prevalentemente nei depositi detritici.

Non rassegnarsi alle armi

L'esterno del Parlamento europeo a Bruxelles
Il Parlamento europeo (Foto wikimedia)

C’è un rischio: impossibile non vederlo. Il summit dei Capi di Stato e di governo Ue, convocato per il 21 e 22 marzo a Bruxelles, rischia di trasformarsi in un “Consiglio di guerra”. L’aggressione russa all’Ucraina sta segnando da oltre due anni la storia continentale, che si era abituata alla pace.

Il risultato delle “elezioni” (le virgolette sono d’obbligo) in Russia rafforza il minaccioso autocrate Putin, il quale ormai si occupa solo di guerra. Sul campo avverso c’è l’aggredita Ucraina, con un leader – Zelensky – cui non resta che invocare aiuti militari nella disperata impresa di salvare il proprio Paese dalla distruzione totale. Il terzo co-protagonista è l’Unione europea, schierata al fianco di Kiev con soldi e armamenti; ma anche qui il peso del conflitto comincia a segnare “diserzioni” (Ungheria), passi indietro e divisioni (diventare cobelligeranti? Inviare truppe di terra? Entrare in campo assieme alla Nato?).

Una cosa è certa: diversi leader europei (Macron, Tusk…) e qualche responsabile di istituzioni Ue hanno imboccato la strada del conflitto aperto, con una parola d’ordine: sostenere militarmente l’Ucraina, sconfiggere la Russia. Atteggiamento comprensibile secondo il diritto internazionale. Purché non si rinunci, al contempo, a tenere testardamente aperta la strada della mediazione, della soluzione politica e diplomatica. In questo senso, un peccato di omissione non sarebbe giustificabile, perché nel frattempo le armi uccidono e distruggono.

Tornando al Consiglio europeo di primavera, l’ordine del giorno parla chiaro: “I leader dell’Ue discuteranno del proseguimento del sostegno all’Ucraina e alla sua popolazione in risposta all’aggressione militare della Russia. L’Ue continuerà a fornire un sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico per tutto il tempo necessario”.

Finora l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno fornito all’Ucraina oltre 138 miliardi di euro, e tante, tante armi e munizioni. Ora si parla di missili. Sempre nell’agenda dei leader figura al secondo punto il tema della difesa: se Putin attacca, occorre difendersi, è il ragionamento. Così i Ventisette discuteranno della “necessità per l’Europa di aumentare la sua prontezza in materia di difesa”, di come “rendere l’industria della difesa più resiliente e competitiva” e di un “programma europeo di investimenti nel settore della difesa”. La quale dovrà essere appunto “competitiva” nel produrre armi per i propri eserciti (e continuare a commerciare aerei, carri armati, bombe, fucili con numerosi Paesi del mondo). Gli arsenali vanno riempiti per essere poi svuotati.

I venti di guerra – in Ucraina, così pure in Medio Oriente e in altre aree del pianeta – segnano profondamente il cammino dell’Unione, e dell’umanità. Con un timore sottaciuto: un’escalation regionale dei conflitti. Con esiti imprevedibili.

Risuonano, come un monito, le parole espresse il 18 marzo dal cardinale Matteo Zuppi al Consiglio permanente della Cei: “Non possiamo rassegnarci a un aumento incontrollato delle armi, né tanto meno alla guerra come via per la pace”.

Gianni Borsa

“Visita ad limina” dei vescovi umbri da papa Francesco: “È stato un incontro familiare”

I vescovi umbri disposti in orizzontale con al centro papa Francesco nella sala del Vaticano
I vescovi umbri con papa Francesco

Lunedì 18 marzo, alle ore 7.15, con la messa sulla tomba dell’Apostolo Pietro presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra mons. Renato Boccardo, è iniziata la “Visita ad limina apostolorum” dei Vescovi umbri (18-22 marzo).

Visita ad limina in Vaticano: celebrazione sulla tomba dell’apostolo Pietro per i vescovi umbri presieduta dall’arcivescovo Renato Boccardo

“Siamo qui – ha detto mons. Boccardo all’avvio della celebrazione – alla sede dell’apostolo Pietro: a lui presentiamo le nostre Chiese, con le loro glorie e le loro sofferenze, e tutti affidiamo alla misericordia di Dio”. Poi, il presidente della Ceu nell’omelia ha tenuto una breve riflessione sulla domanda che Gesù pose a Pietro: “Per te chi sono io?”. “Questa stessa domanda risuona insistente nella nostra vita personale e nel nostro ministero. Vorremmo anche noi come Pietro balbettare tu sei la vita, il Salvatore. Sappiamo come questa espressione modelli le nostre azioni e le nostre parole a servizio del Vangelo. Spesso, però, nelle nostre giornate siamo presi anche da altre incombenze che poco hanno a che vedere con ciò. Abbiamo quindi la necessità di ripetere sovente ‘tu sei Cristo, il figlio di Dio’: questa è la forma del nostro essere Pastori in mezzo alla gente. Ci aiuti San Pietro e ottenga per noi il dono dello Spirito santo, guida sicura di ogni nostro passo”. Al termine della messa, i Vescovi si sono raccolti in preghiera sulle tombe di Benedetto XVI, del beato Giovanni Paolo I e di San Paolo VI.

L’incontro con il Santo Padre
nel racconto di mons. Renato Boccardo

Poi, alle 8.30, sono giunti nel cortile di San Damaso della Santa Sede, quindi hanno fatto ingresso nel Palazzo Apostolico e alle 9 hanno incontrato Papa Francesco. Il colloquio col Pontefice è durato circa due ore.

Il Papa: “dite quello che vi sembra importante
condividere con me”

“Un incontro familiare”, commenta mons. Renato Boccardo. “Il Santo Padre ci ha messi subito a nostro agio dicendoci: ‘siamo qui in famiglia, senza formalità e dunque parlate liberamente, dite quello che vi sembra importante condividere con me‘. E ogni Vescovo – prosegue il Presidente della Ceu – ha raccontato un pochino la storia e la vita della sua diocesi, presentando anche alcuni temi fondamentali e chiedendo un consiglio e un orientamento al Papa per proseguire nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza della vita cristiana.

Il Papa ci ha raccomandato quattro vicinanze e ha chiesto
di ringraziare i sacerdoti per il lavoro che fanno

Il Papa – dice ancora il Presule – ci ha raccomandato quattro vicinanze. La prima: il Vescovo deve essere vicino a Dio con la preghiera. La seconda: deve essere vicino ai suoi confratelli, e qui ci ha detto di fare comunione, di lavorare insieme e di volerci bene. La terza: il Vescovo deve essere vicino ai preti con paternità e fraternità. La quarta ed ultima: la vicinanza al popolo di Dio, dal quale abbiamo ricevuto la fede.

E poi ci ha lasciato un messaggio particolare: ci ha chiesto di portare ai sacerdoti, specialmente in occasione della prossima Messa crismale che celebreremo nella Settimana santa, il suo ringraziamento per tutto quello che fanno. Il Papa apprezza la loro dedizione e il loro sacrificio e li incoraggia ad andare avanti nel servizio del Vangelo”. I Vescovi hanno donato al Papa una ceramica di Deruta raffigurante un crocifisso umbro.

La visita prosegue e ogni giorno ci saranno aggiornamenti su www.chiesainumbria.it

La visita proseguirà nei giorni 20-21 e 22 marzo con gli incontri nei vari Dicasteri della Santa Sede. Al termine di ogni giorno, sul sito ufficiale della Ceu – www.chiesainumbria.it – verrà condivisa una piccola cronaca, con foto e interviste video ai Vescovi umbri.

I vescovi umbri seduti ai lati di papa Francesco, anche lui seduto al centro
I vescovi a colloquio con il Papa

Ad Assisi, spazio alle persone con disabilità. Incontro con il garante regionale Rolla

Una donna di spalle su una carrozzina lungo un percorso tra il verde della natura
Foto Unsplash

Il 18 marzo ad Assisi: “La Parola al territorio: criticità ed urgenze per le persone con disabilità e le loro famiglie”.

“I fratelli disabili che oggi chiamiamo diversamente abili hanno talenti e possono esprimere tante cose; la diminuzione in un aspetto mette in evidenza altri aspetti che noi dobbiamo saper sempre apprezzare; a essi diamo ma anche da essi riceviamo, c’è un interscambio di doni e la Sala della spogliazione ci può dare questo senso di interscambio e interazione”. Sono le parole del vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, in vista dell’evento “La Parola al territorio: criticità ed urgenze per le persone con disabilità e le loro famiglie”.

Incontro alla sala della Spogliazione

L’incontro, su iniziativa del Garante regionale per le persone con disabilità, Massimo Rolla, si terrà ad Assisi il 18 marzo presso la “Sala della Spogliazione” (Palazzo Vescovile, piazza del Vescovado 3), dalle ore 9.30 alle ore 12.30. L’iniziativa si pone in continuità con l’attività già avviata dall’Osservatorio regionale per i diritti delle persone con disabilità e vuole porre l’attenzione sul territorio attraverso specifiche istanze per il tramite delle associazioni.

Il convegno in vista del G7 delle disabilità ad Assisi
che si terrà a ottobre

“Spero tanto – conclude il Vescovo – che il vostro convegno possa trarre da questo ambiente tanta ispirazione, ricordando anche il momento speciale del G7 delle disabilità con cui il mondo il prossimo ottobre verrà ad Assisi”.

Le parole di Massimo Rolla, garante regionale
per le persone con disabilità

“L’intento – spiega invece il Garante – è attenzionare delle criticità che necessitano interventi in tempi stretti con l’obiettivo di dare il via ad un monitoraggio costante da parte delle istituzioni competenti. I relatori saranno le associazioni presenti nel territorio, tramite i loro rappresentanti. Nella loro esposizione durante il convegno – aggiunge ancora Rolla – individueranno una macroarea di riferimento ed all’interno di quella, porranno l’attenzione su un punto specifico. Verranno individuate inoltre delle possibili soluzioni alle problematiche indicate, anche tramite semplici accomodamenti ragionevoli e sempre nello spirito della collaborazione instaurata tra le associazioni delle persone con disabilità presenti nel territorio e le varie istituzioni ed enti regionali e comunali, nello spirito della cooprogettazione, cooprogrammazione e sinergia di intenti”.

I vescovi umbri in Vaticano per la Visita ad limina

I sei vescovi umbri in abito nero posti in orizzontale,alle spalle un crocifisso
Gli attuali vescovi umbri

È iniziata lo scorso gennaio la “Visita ad limina Apostolorum” dei vescovi delle sedici regioni ecclesiastiche italiane “alle tombe degli apostoli”. L’ultima risale alla primavera del 2013, poche settimane dopo l’elezione di papa Francesco

I vescovi umbri a Roma per la visita “Ad limina apostolorum” dal 18 al 22 marzo

I vescovi dell’Umbria saranno in Vaticano dal 18 al 22 marzo, vivendo momenti particolari in cui i Pastori riferiranno al Papa circa l’andamento delle loro diocesi per averne indicazioni e risposte. Come evidenzia la Costituzione apostolica Praedicate evangelium di papa Francesco, la “Visita ad limina” rappresenta “il momento più alto delle relazioni dei pastori di ciascuna Chiesa particolare e di ogni Conferenza episcopale… con il Vescovo di Roma. Egli, infatti, ricevendo i suoi fratelli nell’episcopato, tratta con loro delle cose concernenti il bene delle Chiese e la funzione pastorale dei vescovi, li conferma e sostiene nella fede e nella carità. In tal modo si rafforzano i vincoli della comunione gerarchica e si evidenziano sia la cattolicità della Chiesa che l’unità del Collegio dei vescovi”.

Il programma

Lunedì 18 marzo: ore 7.15, messa sulla tomba del beato Apostolo Pietro nella basilica di S. Pietro presieduta da mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra; ore 9, udienza con il Santo Padre. Mercoledì 20 marzo: ore 7.30, messa; ore 9.15, incontro al Dicastero per i vescovi; ore 10.45, incontro al dicasteri per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti; ore 12.15, incontro al Dicastero per la Dottrina della Fede; ore 15, incontro al Dicastero per la Comunicazione. Giovedì 21 marzo: ore 7.30, messa; ore 9.45, incontro al Dicastero per la Cultura e l’Educazione; ore 11, incontro al Dicastero per l’Evangelizzazione; ore 12.30, incontro in Segreteria di Stato e Sezione rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali; ore 16, incontro al Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita; ore 17.15, incontro per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Venerdì 22 marzo: ore 7.30, messa; ore 9.15, incontro con la Segreteria generale per il Sinodo; ore 10.30, incontro al Dicastero per il clero; ore 12, incontro al Dicastero per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica.

Le parole dell’arcivescovo Boccardo, presidente della Ceu

“Recarsi alla ‘Visita ad limina’ vuol dire innanzitutto – afferma il presidente della Ceu mons. Renato Boccardo – andare a confrontare la nostra fede con la testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo. Raccogliere la loro adesione al Signore Gesù diventa una scuola di vita e uno stimolo alle attività pastorali delle nostre Chiese umbre. E poi andiamo in Vaticano per raccontare al Papa, vescovo di Roma e successore di Pietro, la vita quotidiana delle diocesi dell’Umbria, per ricevere da lui il conforto, l’orientamento e l’incoraggiamento a proseguire nell’annuncio della gioia del Vangelo. Si tratta di una tappa nel cammino normale delle nostre Diocesi che ci arricchisce, ci sostiene e ci sprona per rinnovare dal di dentro le nostre comunità, in una testimonianza efficace che passa attraverso la vita dei sacerdoti, dei consacrati e delle consacrate e dei fedeli laici”.

Il cammino dei primi francescani nel racconto dell’influencer Marika Ciacca

Si avvicina l’inizio della primavera e si riaccendono i riflettori sui cammini che si intrecciano sul territorio umbro, grazie anche ai moderni “narratori digitali”. Fondazione Terra Santa, che con il suo ramo editoriale TS Edizioni ha pubblicato nel 2021 la guida Il cammino dei primi francescani in tasca, insieme alla Compagnia dei Romei di San Michele Arcangelo e ai Comuni di Terni, Stroncone, Calvi dell’Umbria, Narni e San Gemini promuove un itinerario a piedi tra i più ricchi di storia e bellezze naturali dell’Umbria meridionale.

L’influencer e guida ambientale Marika Ciacca
alla scoperta del Cammino dei primi francescani

Proprio in questi giorni, dall’11 al 16 marzo, Marika Ciaccia è alla scoperta di questo cammino e dei tesori culturali e paesaggistici del territorio che attraversa. Si tratta di una guida ambientale escursionistica e popolare influencer nell’ambito dei cammini, conosciuta in tutta Italia per il suo blog My Life in Trek e con un seguito sui profili social di oltre 70mila follower.

L’itinerario – fra arte, natura e spiritualità collega i luoghi natali dei primi martiri, discepoli di san Francesco d’Assisi, nella valle ternana. Marika sta visitando chiese, eremi e borghi antichi, esplorando tratti di sentiero nei boschi e godendo dei magnifici paesaggi. Sta andando anche alla scoperta della gastronomia, nei luoghi migliori per cenare e trascorrere la notte, fra Stroncone, Calvi, Narni, San Gemini e infine Terni. In ogni centro approfondisce la conoscenza della storia locale e del territorio con rappresentanti e testimonial delle amministrazioni comunali.

…in compagnia di Daniele Gomiero

In compagnia del blogger e fotografo Daniele Gomiero (www.wildtherapy.life) sta facendo un racconto in diretta sul suo profilo Instagram @my_life_in_trek, documentando la ricchezza del Cammino dei protomartiri francescani.

Il percorso del Cammino dei protomartiri francescani

Luogo di partenza dell’itinerario è la chiesa di Santa Maria della Pace a Terni, come suggerito dai curatori del Cammino ad anello che è stato tracciato nel 2015 e tocca, lungo il percorso, anche lo Speco di Narni e la Romita di Cesi e termina al santuario antoniano a Terni. Qui nel 2020 si sono celebrati gli 800 anni del martirio dei primi cinque francescani, avvenuto in Marocco. Per il forte legame di fede con il territorio, il Cammino dei protomartiri francescani può arricchirsi di meditazione e preghiera, diventando un vero e proprio pellegrinaggio che ripercorre nei luoghi che attraversa la vita dei frati che nel XIII secolo donarono la vita.

Al termine del percorso Marika realizzerà un video documentario e consigli pratici sul suo sito

Al termine di questa esperienza, Marika Ciaccia realizzerà un video documentario per il canale YouTube @mylifeintrek, offrendo sul suo sito www.mylifeintrek.it i consigli pratici per organizzare questa esperienza.

La guida cartacea

La guida cartacea, ricca di immagini e informazioni, con preziose indicazioni sui sentieri e le altimetrie, i dislivelli e la segnaletica, i luoghi imperdibili e le indicazioni su dove mangiare e dormire, non si limita a questo. “Una guida che si rispetti – ha osservato l’arcivescovo di Lucca, Paolo Giulietti, lui stesso umbro e promotore di pellegrinaggi a piedi – si pone l’obiettivo di orientare quell’itinerario interiore che costituisce il principale portato di ogni vera esperienza di cammino”.

Giornata della memoria delle vittime di mafia e dell’impegno

Per la 29ma edizione della Giornata della memoria delle vittime di mafia e dell’impegno, quest’anno viene rievocato il titolo di un famoso film del neorealismo, Roma città aperta.Su Roma l’importante è fare i soldi, i morti non li vuole nessuno. Roma è una macina di soldi, una banca di soldi per tutti i gruppi criminali, quindi si sa benissimo che i morti meno se ne fanno o se non se ne fanno per niente è la miglior cosa”.

Sono le parole di un collaboratore di giustizia durante il processo Gramigna che ci fa comprendere come le mafie abbiano cambiato pelle e si sono rese più pervasive e camaleontiche per arricchirsi e affermare il proprio potere. Pertanto il fenomeno non riguarda solo la capitale ma ogni città e, oltre i confini, tutte le nazioni.

Tutti siamo chiamati a riprendere i fili di una nuova resistenza nello spirito di quella che animò le donne e gli uomini descritti dal film che dà il titolo all’edizione di quest’anno che si svolge il 21 marzo, primo giorno di primavera.

Vale la pena ricordare che la Giornata, pur iniziata da Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie insieme ad Avviso pubblico, il coordinamento dei comuni impegnati nella legalità contro le mafie, dal 2017 è riconosciuta ufficialmente dallo Stato. Anche per questo è importante che veda l’impegno di ogni cittadina/o nelle scelte personali, politiche, sociali, educative ed economiche.

Mostra sul Maestro di San Francesco. Prima di Cimabue fu lui il più grande

Croce monumentale in legnosostenuta da cavi, su fondo blu della sala espositiva, La croce è di colore blu profilata da conchiglie umbre, il tabellone centrale è decorato come un tappeto di persia. Al centro il Cristo con il corpo che pesa verso il basso, la testa e si incassa tra le spalle.Ha il perizoma rosso
Maestro di San Francesco, Croce dipinta, tempera su tavola, 1272, proveniente da San Francesco al Prato (Perugia), oggi conservata alla Galleria nazionale dell'Umbria

Gli occhi sono tutti puntati sulla monumentale Croce del Maestro di San Francesco, allestita all’interno di un’abside ricostruita su fondo blu al centro della sala. È lei la protagonista della mostra “L’enigma del Maestro di San Francesco. Lo stil novo del Duecento umbro”, appena inaugurata alla Galleria nazionale dell’Umbria. Si chiuderà il 9 giugno.

La Croce del Maestro di San Francesco

La Croce fu realizzata nel 1272 dal Maestro – la cui biografia ad oggi è sconosciuta – per la chiesa di San Francesco al Prato a Perugia; oggi è conservata in Galleria. Il nome del Maestro gli deriva da una tavola con l’immagine del Santo ritratto per intero, in posizione stante, da lui dipinta su un asse di pino su cui – secondo la tradizione – Francesco spirò, e che venne poi utilizzata per deporre il suo corpo sulla nuda terra. Attualmente la tavola è conservata al Museo della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, ed eccezionalmente in mostra in Galleria in questo periodo.

Artista “enigmatico” fu inventore dell’iconografia di san Francesco

L’esposizione è dunque un’occasione straordinaria per conoscere più a fondo questo artista “enigmatico”, che fu inventore dell’iconografia del Santo assisiate come alter Christus, uomo simile a Cristo, anche nel corpo, grazie al dono delle stigmate. Quei decenni a metà del Duecento furono infatti un momento cruciale per la definizione dell’immagine di Francesco.  “Son pochi i dubbi che dopo Giunta Pisano e prima di Cimabue sia esistito in Italia un pittore maggiore del Maestro di San Francesco” spiega Andrea De Marchi, curatore della mostra insieme a Veruska Picchiarelli e Emanuele Zappasodi. I quali hanno anche sottolineato come nel Duecento l’Umbria fosse davvero un crocevia culturale mondiale grazie al cantiere della basilica di Assisi, caratterizzato da grandiosi sommovimenti sociali, economici e culturali. Un periodo che nella nostra regione fu terreno fertile per la realizzate di alcune delle opere pittoriche più singolari dell’epoca.

Il Maestro decorò con le Storie di san Francesco la basilica Inferiore di san Francesco

Fu proprio al Maestro che si rivolsero i Frati minori per decorare l’intera basilica inferiore di Assisi, dopo che egli ebbe terminato di lavorare alle vetrate della chiesa superiore. Nella navata ad aula unica della basilica inferiore, tra mille fregi diversi, emuli dell’oreficeria e degli smalti, l’artista infatti realizzò il primo ciclo delle storie di Francesco secondo le indicazioni di Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dell’Ordine.

Le opere in mostra

In mostra sono una sessantina le opere raccolte, divise in varie sessioni, tra cui miniature e produzioni pittoriche umbre di quel periodo. Si parte con le opere di Giunta Pisano, tra cui la Croce firmata della Porziuncola. Davanti alla grande croce del Maestro di San Francesco c’è il “dossale opistografo” (dipinto su entrambi i lati) posizionato un tempo sull’altare maggiore di San Francesco al Prato, oggi ricombinato con le parti superstiti.

Al piano superiore è stata realizzata una sala immersiva nella quale, grazie alle nuove tecnologie, viene ricostruita la storia delle pitture murali realizzate dall’artista nella basilica di Assisi, in parte oggi non più esistenti, per l’apertura delle cappelle laterali. Un intervento avvenuto alla fine del XIII secolo, in particolare dopo l’arrivo di Giotto. Il percorso si conclude con il Maestro delle Croci francescane e il Maestro di Santa Chiara; di quest’ultimo sono esposte la pala agiografica proveniente dalla basilica della Santa ad Assisi e la croce dipinta del Museo civico Rocca Flea di Gualdo Tadino.

Alcune delle opere provengono dalle più prestigiose istituzioni museali al mondo, dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dal Metropolitan Museum di New York alla National Gallery di Washington.

La mostra è frutto della collaborazione fra la Galleria Nazionale dell’Umbria, il Ministero della Cultura, la Basilica papale e Sacro Convento di San Francesco in Assisi e la Provincia Serafica “San Francesco d’Assisi” dei Frati Minori dell’Umbria, con il supporto della Fondazione Perugia e in sinergia con la Regione Umbria.

A corollario della mostra sono previsti percorsi di visita sulle tracce del Duecento umbro in collaborazione con l’Isola di San Lorenzo di Perugia e un convegno a giugno, sempre sul Duecento umbro.

Galleria fotografica della mostra (Foto Manuela Acito)

 

Peccato originale… dov’è la liberta?

Una donna di spalle con i capelli scuri, seduta, alla sua destra un sacerdote seduto con la mano destra alzata che la benedice

Si è svolto mercoledì 6 marzo il secondo incontro di formazione, del percorso “Iniziazione cristiana: quali proposte per il futuro?”, rivolto ai catechisti dell’iniziazione cristiana dei fanciulli della diocesi di Perugia – Città della Pieve e promosso dall’Ufficio catechistico diocesano, con la partecipazione di Andrea Grillo, docente di Teologia sacramentaria presso la Facoltà teologica del Pontificio ateneo Sant’Anselmo di Roma e di Teologia liturgica presso l’Istituto di Liturgia pastorale di Padova.

Profittando dell’occasione abbiamo chiesto al prof. Grillo di parlarci della relazione tra battesimo e libertà, quest’ultima al centro del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2024. Professore, quale relazione tra battesimo e libertà?

“È una relazione molto fine in termini di liberazione dalle logiche del peccato, che non è soltanto liberarsi dal peccato originale – forma con la quale la tradizione ci dice questa grande verità – ma entrare in una relazione di figliolanza e fraternità che ci fa scoprire come quella libertà, che molto spesso pensiamo come un possesso diretto e immediato di ogni uomo e di ogni donna, resta astratta se non viene pensata come una dipendenza dall’autorità. Ogni uomo e ogni donna, infatti, scopre la propria libertà nel momento in cui si lascia toccare dall’autorità dell’amore. Noi, infatti, siamo liberi in quanto siamo stati amati e diventiamo consapevoli dell’amore che Dio, in forma misteriosa, e il prossimo, in forma visibile, ci hanno riservato. Ogni nostro atto di libertà parte da questa abilitazione che abbiamo ricevuto dall’altro e dall’Alto: l’altro e l’Alto ci abilitano ad essere liberi. Nella libertà possiamo fare memoria di questa origine, e dunque restare liberi, oppure troncare il rapporto con questa origine svuotando così la nostra libertà”.

Il “peccato originale”: come spiegarlo in un contesto contemporaneo dove si fa una certa fatica a comprendere un peccato di cui non si è autori?

“Il peccato originale è un modo di spiegare e rendere accessibile il fatto che l’uomo si trova in una situazione di bisogno di salvezza, non perché abbia compiuto qualcosa di disdicevole o di peccaminoso con la propria volontà, ma perché si trova in una condizione di finitudine che non riesce a risolvere semplicemente con le proprie forze. Quindi, potremmo dire che il peccato originale è un modo classico di definire ciò che oggi potremmo tradurre con ‘non venire a capo della propria esistenza da soli’. Essere liberati da questo, poi, vuol dire entrare in una relazione salda e sicura, che è quello che chiamiamo comunione col Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo. Questo rapporto con il Dio trinitario libera dal peccato originale e rende possibile una vita virtuosa, che può cadere anche in peccati gravi e che quindi può smentire sé stessa ma mai in modo definitivo; cioè siamo sempre sulla soglia di una possibile riabilitazione e rilancio della comunione. Questo modo di pensare aiuta anche a capire le illusioni, molto più di oggi che non di un tempo, di un mondo che pensa di emanciparsi dal male progettando tutte le cose bene: la progettazione della propria vita personale, della civiltà, della società, senza rughe e senza macchie è un progetto umano che non viene a capo di sé stesso e dunque entra inevitabilmente in crisi. Il bisogno di una autorità altra e più alta, per venire a capo di sé, è il principio di salvezza, che può essere pensato solo in un orizzonte più ampio che è quello della grazia, la quale è più originale del peccato originale. E di questo facciamo esperienza nel battesimo”.

Come coniugare libertà ed autorità, che nel pensiero comune potrebbero essere viste in antitesi?

“Il linguaggio moderno, che ha le sue giustificazioni sul piano politico a causa soprattutto degli ultimi 200 anni di storia, ci porta a dire che per avere libertà devi negare l’autorità, ma questo è un formalismo politico che fa dimenticare che l’atto libero, specificamente umano, è sempre abilitato da una autorità, la quale non è l’imposizione di un comportamento ma è un’altra libertà che ti rende libero. Per spiegarmi: solo quando una persona ti parla tu cominci a parlare, poi ti puoi pure immaginare che il parlare sia tuo originario, ma in realtà l’hai preso dall’altro, è da tuo padre e tua madre che hai imparato a parlare e loro sono le autorità e sono delle autorità se ti hanno dato parole di bene. Dobbiamo pensare la vera autorità come un’altra libertà che è condizione della tua, uscendo dallo stereotipo con cui a volte diciamo ‘la tua libertà finisce dove comincia quella dell’altro’, perché in realtà la tua libertà comincia dove comincia quella di un altro. Non si diventa liberi se non si incontrano delle autorità, come i genitori, gli insegnati, i preti, i datori di lavoro, ecc., che danno gli strumenti per liberarsi”.

Chiesa umbra in cammino

I vescovi umbri alla visita ad limina nel 2013 in Vaticano, al centro papa Francesco
I vescovi umbri in Visita ad Limina, in udienza da papa Francesco, il 22 aprile 2013

Sono trascorsi quasi undici anni dall’ultima Visita ad Limina dei Vescovi umbri in Vaticano. Nell’aprile 2013, quando i pastori delle nostre Chiese locali incontrarono Papa Francesco, il Santo Padre era arrivato sulla cattedra di Pietro da una quarantina di giorni. Subito dopo Benedetto XVI, era il secondo pontefice a prendere il nome di un santo umbro, il primo a scegliere quello di Francesco d’Assisi. Allora, i vescovi umbri non si erano lasciati sfuggire l’occasione di invitare Bergoglio proprio nella città serafica per la festa del 4 ottobre, visto che in quell’anno l’Umbria avrebbe offerto l’olio per la lampada votiva accesa sulla tomba del Santo.

Non era mancata la raccomandazione del Papa a “essere vicini alla gente, andare nelle periferie, che non sono solo geografiche, ma anche del cuore”. “So bene che ciò è un rischio per la Chiesa – aveva commentato il santo Padre – , ma preferisco una Chiesa ferita a una Chiesa malata”. Il volto della Chiesa di Francesco era già ben delineato, poco più di un mese dopo la sua elezione. La prossima settimana, dal 18 al 22 marzo, i pastori delle diocesi dell’Umbria torneranno a Roma per una nuova Visita ad Limina.

In questi undici anni, la Chiesa umbra è cambiata molto. Nella fotografia scattata allora insieme al pontefice, i vescovi umbri erano otto mentre stavolta saranno in sei e soltanto tre – Boccardo, Sigismondi e Sorrentino c’erano anche allora. Da quasi due anni, proprio Papa Francesco ha unito in persona Episcopi, cioè nella figura e nel ministero del vescovo, le diocesi di Assisi e Foligno e quelle di Gubbio e Città di Castello. Segno dei tempi e di una presenza che muta con essi.

Cambiamenti che non andrebbero subiti, come se le Chiese locali giocassero una partita solo chiudendosi in difesa. La sfida – come il Papa ripete spesso – è rilanciare l’evangelizzazione con nuovo spirito missionario, con meno strutture (e sovrastrutture), più impegno pastorale e soprattutto la testimonianza di ogni battezzato del popolo di Dio. Speranze che i vescovi umbri affidano alla liturgia che lunedì mattina presto celebreranno tutti insieme nella basilica di San Pietro, prima di incontrare in udienza il santo Padre e aprire una settimana densa di appuntamenti con i responsabili dei vari dicasteri vaticani. Non solo e non tanto una “pratica” amministrativa, quanto piuttosto un dialogo per tracciare i passi di una Chiesa locale che non smette mai di camminare.

Non autosufficienza. Scarse risorse e troppi rinvii

Una donna anziana con i capelli bianchi seduta su sedia a rotelle, vista di lato e davanti a lei di profilo una giovane badante seduta
(Foto di D.R. generata con AI)

La Conferenza delle Regioni ha bocciato il decreto attuativo della Legge delega sulla non autosufficienza (33/2023), per “mancata previsione di risorse finanziarie aggiuntive e strutturali” a sostegno delle numerose attività e funzioni attribuite ai livelli decentrati, nonché del complesso di assunzioni in corrispondenza richiesto alle Regioni e agli Ambiti territoriali sociali.

Aspetto positivo il varo della valutazione multidimensionale unificata

Come ha rimarcato la redazione di Welforum.it, un aspetto comunque positivo è costituito dal varo della Valutazione multidimensionale unificata della condizione di non autosufficienza per la presa in carico dell’anziano da parte della rete dei servizi, nell’ambito dei Punti unici di accesso (Pua) a tale rete.

I Punti unici di accesso (Pua) nelle case di comunità?

Per la collocazione dei Pua, si pensa alle Case di comunità, all’inizio previste in numero di 1.350, poi diminuito a 936, e per le quali si prevede insufficienza di personale. Per la definizione degli aspetti operativi principali di tale Valutazione, l’art. 27 del Decreto anziani, al punto 7, rinvia a un successivo decreto che dovrà pronunciarsi sulla composizione dell’unità valutativa, sulle modalità di funzionamento e di valutazione delle sue attività,

Le criticità del Decreto

Nel complesso si fa rilevare che lo schema di Decreto anziani presentato alle Camere prevede 17 ulteriori decreti attuativi e l’approvazione futura di 5 linee guida. Come osserva Franco Pesaresi, “anziché attuare la Legge delega 33, il Decreto legislativo attuativo ne rinvia la messa in opera”.

Un’osservazione analoga può compiersi per i servizi domiciliari: dalla riforma ci si aspettava un modello di assistenza domiciliare calibrato sulle necessità dell’anziano, che offrisse adeguati servizi integrati, sanitari e sociali, sia per durata di presa in carico, che per intensità e coinvolgimento di professioni molteplici. Si propone invece solo “un generico coordinamento tra interventi sociali e sanitari”. E troviamo ancora un rinvio a nuove linee guida specifiche sulla integrazione tra servizi sanitari e sociali. La stretta integrazione che la riforma richiede tra Stato, Regioni ed enti locali si deve affiancare a quella tra sanità, sociale ed Inps.

Anche per l’assistenza residenziale per anziani, la revisione per adeguati standard di personale e per requisiti strutturali per un ambiente di vita più familiare e sicuro viene rinviata a successivi decreti. Così pure sul tema delle badanti: l’introduzione di standard formativi per le stesse, e di agevolazioni contributive e fiscali a beneficio delle famiglie, viene rimandata a successivi decreti.

Tra i numerosi rilievi, un altro di fondo, già segnalato sul numero scorso de La Voce, riguarda la maggiorazione dell’indennità di accompagnamento, che viene accresciuta di una cifra fissa, 850 euro al mese, vincolati all’uso di servizi domiciliari, per un periodo sperimentale di due anni, il 2025 e il 2026, e destinata ad un gruppo assai ristretto: intorno a 25 mila ultraottantenni, in condizioni di salute “gravissime”, su un totale di 1,6 milioni.

Se non si porrà rimedio alle criticità
la riforma verrà rinviata

Se nel decreto in questione, varato dal Governo a gennaio e da approvare in via definitiva entro il mese di marzo, non si porrà rimedio alle criticità rilevate, tra cui quelle di cui sopra, la riforma risulterà rinviata, e anche tradita in alcuni dei suoi punti fondamentali, con gravi ripercussioni negative sugli anziani e sulle famiglie.

La riforma in questione mostra dunque difficoltà e ritardi nel procedere verso l’assetto auspicato dai suoi sostenitori. Come altri fenomeni sociali che colpiscono ampie fasce di cittadini (pensiamo alla povertà nelle sue varie manifestazioni), la non autosufficienza degli anziani richiede un approccio universalistico, radicato peraltro nella Costituzione repubblicana, e affermatosi in modo organico con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale nel 1978.

Necessità di un approccio universalistico

Un approccio universalistico reso necessario oggi con forza anche dalla necessità di contrastare l’attuale dilagare delle disuguaglianze. Ed è sempre in agguato la tentazione di abbandonare l’universalismo, e di tornare alla categorialità (distinzione tra categorie di persone), come si è fatto con le nuove misure contro la povertà. Si tratta inoltre di fenomeni che hanno natura multidimensionale, e quindi richiedono un intervento coordinato tra molteplici linee di politiche e di interventi, con uno sforzo di integrazione sistemica.

Così pure, essi coinvolgono più livelli di governo, e quindi suppongono forti livelli di cooperazione e coordinamento, riproponendo nodi irrisolti della politica italiana. Pongono altresì l’esigenza di disporre di volumi ingenti di risorse finanziarie, e quindi di politiche fiscali adeguate, idonee, tra l’altro, a ridurre fortemente l’area dell’evasione. E costituiscono così una seria sfida per chi lavora per una maggior giustizia e coesione sociale.

Pierluigi Grasselli

Giornata della donna. L’invito della madre priora suor Bernardinis ad allenare “l’intelligenza materna”

Suor maria Rosa bernardinis madre priora dela monastero di santa Rita da Cascia con l'abito nero da suora e a mezzo busto, con inm mano una rosa rossa
Suor Maria Rosa Bernardinis, madre priora del monastero di Cascia

Il pensiero di suor Maria Rosa Bernardinis, madre priora del monastero di S. Rita da Cascia

“In questo 8 marzo, tra bilanci di morte e un clima di grande sfiducia, celebriamo le donne che sono culle di vita e ali di speranza. Da donna e per l’umanità, oggi che si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, invito tutti a riscoprire e allenare una ‘intelligenza materna’, più tipica ma non esclusiva delle donne.

Quella che chiama ogni essere umano al coraggio, alla gioia e alla speranza della vita, per costruire una fiducia ritrovata, nel domani e nella vita stessa, di cui c’è estremo bisogno. Lo sanno bene le donne che ogni giorno sono terreni fertili e custodi di vita e futuro.

Come Cristina Fazzi, che da medico nello Zambia cura i bambini che sono gli ultimi della società, Virginia Campanile, che ha perso suo figlio ma è mamma per tanti genitori e ragazzi in difficoltà, e Anna Jabbour, profuga siriana che per sua figlia ha attraversato la guerra divenendo testimone di pace. Sono le donne che premieremo a maggio alla Festa di Santa Rita: tre donne diverse ma unite, come tante nel mondo, dalla scelta di essere strumenti di vita oggi, come Rita ieri”.

Questo il pensiero di suor Maria Rosa Bernardinis, madre priora del monastero Santa Rita da Cascia, per la Giornata internazionale della donna, con un parallelo alle donne che ogni anno sono protagoniste della festa del 22 maggio, modelli universali dei valori ritiani, attuali e preziosi.

Custodi della vita e del futuro

“Donne di Rita”, così sono chiamate le donne scelte per il prestigioso Riconoscimento internazionale Santa Rita, che dal 1988 premia donne che come Rita da Cascia sanno incarnare i valori su cui si fonda il nostro presente, che è il domani del mondo. Ecco le tre donne che, il 20 maggio alle 10 nella Sala della Pace del Santuario di Santa Rita a Cascia condivideranno le loro testimonianze.

Le tre donne che il 21 maggio riceveranno
il riconoscimento “Santa Rita”

E, il 21 maggio alle 17.30 nella Basilica, riceveranno il Riconoscimento:

Cristina Fazzi, medico di Enna (Sicilia), che riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 per il rispetto, la giustizia e l’amore con cui nei suoi 24 anni di servizio, professionale e umano, nello Zambia, in Africa, ha protetto la vita e costruito il futuro di tante persone nelle aree di estrema povertà, con un’attenzione speciale ai bambini e ai giovani, in una società dove sono ultimi tra gli ultimi, spesso abusati e maltrattati: ha creato il primo centro di salute mentale del Paese per i minori e progetti formativi, per generare opportunità di cambiamento e realizzazione;

Virginia Campanile, che vive a Otranto (Lecce) e riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 perché dal dolore indescrivibile per la perdita del figlio Daniele e dalla libertà e pace acquisite grazie al perdono offerto a chi ne ha causato la morte in un incidente stradale, ha fatto nascere un ‘investimento d’amore’ che condivide con gli altri: ascoltando e aiutando tanti genitori toccati dal lutto a ritornare a vivere e impegnandosi coi giovani per tutelarli nella fragilità sociale e psicologica, accompagnandoli a riscoprire la bellezza della vita;

Anna Jabbour, che è nata ad Aleppo (Siria) ma oggi vive a Roma, che riceve il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024 per la testimonianza di pace, fratellanza e fede che incarna con la sua storia, da profuga di guerra a mamma di speranza e coraggio per sua figlia e allo stesso tempo per tutti coloro che incontra, non avendo mai perduto il forte desiderio di sognare e impegnarsi per un futuro di umanità e unione che possa cancellare ogni odio e sofferenza.

 

L’aborto è un diritto? Laicamente rispondo no

Il Parlamento francese ha approvato, a larga maggioranza, una modifica della Costituzione per proclamare la libertà di aborto come diritto fondamentale della donna. La notizia era attesa, erano ben note le posizioni dei maggiori partiti francesi. I soli commenti critici vengono dal mondo cattolico. Ma sarebbe fuorviante e controproducente farne una questione di religione. Il problema invece va affrontato in modo laico e razionale, senza pregiudiziali ideologiche né confessionali.

Tentiamo dunque un approccio laico. Di certo non vi è una condizione che incida più a fondo nell’esistenza di una persona, nel corpo e nello spirito, nel bene e nel male, che la condizione di una donna gestante. Può essere fonte di gioia e di speranza, di sofferenza e di disperazione. Può essere stata frutto di un atto di amore o di una violenza subìta. In ogni caso segna – tendenzialmente per sempre – l’essere della donna che si trova a viverla, non sempre avendolo voluto. Nessuno può giudicare al suo posto. Non esiste un’altra esperienza umana paragonabile a quella.

Ma se tutto questo è vero – e laicamente dobbiamo riconoscerlo – dobbiamo pure riconoscere, laicamente, che se c’è una gravidanza c’è, con la madre, un secondo essere umano. Non una idea astratta, non un progetto, non una parte del corpo della madre: è un essere umano, dotato di una sua identità, che vive la sua vita crescendo e sviluppandosi come continuerà a crescere e a svilupparsi dopo il parto, se nessuno lo avrà ucciso prima, e se nessuno lo farà morire dopo. Non penso e non voglio dire che la vita del nascituro valga “di più” di quella della madre; non mi voglio mettere ora a discutere se valga “lo stesso” che quella della madre.

Ma, ragionando laicamente, non si può sostenere che valga ‘zero’; negargli la qualità e la dignità di essere umano; negare che come tale abbia qualche diritto. Il diritto alla vita, per esempio. Salvaguardare il bene e i diritti della madre, e nello stesso tempo quelli del figlio, è difficile? Sì, è difficile. In questo mondo, purtroppo, accade spesso che ci si trovi di fronte a problemi dolorosi e difficili. Ma non si può pretendere di risolverli nascondendone l’esistenza: come la nuova legge francese – e quelli e quelle che la esaltano – nascondono l’esistenza di quell’essere umano che, a dispetto di tutto, è il bambino non ancora nato.

La “dipendenza” rende schiavi. Ma si può vincere

Immagine creata da AI

Papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima 2024 ha parlato di libertà e di fratelli e sorelle ancora oppressi dalla schiavitù. Potremmo indicare, nel contesto contemporaneo, come schiavitù anche la dipendenza. Un numero elevato di giovani ed anche di adulti, infatti, vivono una dipendenza che non si riferisce al solo abuso di alcol, di droghe o di altre sostanze, ma anche da abitudini replicate nel tempo.

I numeri delle dipendenze dei giovani

L’Istituto superiore di sanità, lo scorso anno, faceva sapere che “oltre un milione e 150mila adolescenti in Italia sono a rischio di dipendenza da cibo, quasi 500mila potrebbero avere una dipendenza da videogiochi mentre quasi 100mila presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da social media, ed è diffuso anche il fenomeno dell’isolamento sociale (conosciuto come Hikikomori nella sua manifestazione clinica estrema), che riguarda l’1,8% degli studenti medi e l’1,6% di quelli delle superiori”.

Ne parliamo con Riccardo Angeletti, medico-psicoterapeuta esperto in prevenzione e cura delle vecchie e delle nuove dipendenze.

Dott. Angeletti, cosa si intende per “dipendenza”?

“La dipendenza tecnicamente è una malattia cronica recidivante: nasce nel tempo con la messa in atto di una particolare abitudine radicata, come l’uso di sostanza o l’attuare certi comportamenti. Dico recidivante perché un soggetto, ormai libero dalla dipendenza, potrebbe purtroppo ricaderci. La caratteristica principale, che permette di riconoscere una dipendenza, è la chiara modificazione e alterazione dei comportamenti e delle abitudini, perché l’unica cosa che mi dà piacere è quella sostanza o quel comportamento. Qualche esempio per intenderci: una persona dedita al lavoro, precisa, oculata, che non spende mai di soldi, ad un certo punto comincia a non essere più produttivo, a tralasciare le cose, a comprare compulsivamente; o uno studente sempre bravo a scuola che cala drasticamente nel rendimento e che non vuole più andarci. Questi sono cambiamenti comportamentali che possono, seppure non sia un assoluto, far sospettare una dipendenza. Nella persona colpita, invece, un campanello di allarme può essere la comparsa del senso di colpa: l’uso di sostanze o la messa in atto di comportamenti particolari possono suscitare un senso di sconfitta perché, pur trovando piacere in ciò che assume o in quello che fa, non vogliono perdere il controllo”.

Si sente spesso parlare di “new addictions” (nuove dipendenze): cosa sono e quali sono?

“Le nuove dipendenze non hanno a che fare con l’uso di alcol o droghe, come nel caso di quelle che vengono chiamate vecchie dipendenze, ma con comportamenti o attività lecite, socialmente accettate, come lavorare, fare acquisti, navigare su internet, fare sesso, ecc… Sono, quindi, dipendenze da comportamenti che diventano nel tempo compulsivi, come ad esempio: lo shopping, la visione di materiale pornografico, il gioco d’azzardo, l’uso di videogames, la navigazione nel web, l’assunzione di cibo, ma anche lo sport, il lavoro, le relazioni affettive…”.

… addirittura esiste la dipendenza da selfie…

“Sì, l’Associazione psichiatrica americana, ha ufficialmente riconosciuto la dipendenza da selfie, come una vera e propria mania e disturbo mentale. Nel selfie in sé non c’è nulla di male, ma quando questo diventa una routine quotidiana e quando di fronte all’impossibilità di postare le foto si manifestano sintomi di astinenza, siamo di fronte alla dipendenza”.

Le nuove dipendenze hanno elementi comuni?

“Come dicevamo, queste si riferiscono a comportamenti o abitudini socialmente accettati, quindi diventano dipendenze quando ci sono degli elementi – che sono comuni anche se ogni dipendenza ha delle caratteristiche specifiche – come l’impossibilità a resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento e la sensazione crescente di tensione che precede l’inizio del comportamento, come pure il piacere o il sollievo durante la messa in atto del comportamento e la percezione di perdita di controllo, ed anche la persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative”.

Come è possibile intervenire? Cosa si può fare?

“Per prima cosa la prevenzione: bisogna conoscere cosa sia una dipendenza, da sostanze o da comportamenti, per riconoscerla e dunque prevenirla, soprattutto quando si passa dall’uso all’abuso. Anche il dialogare è importante per la prevenzione, soprattutto il dialogo tra giovani e adulti, dove quest’ultimi non possono dimenticare la loro funzione educativa, lasciando il ragazzo ad autoregolarsi. Poi c’è il trattamento vero e proprio della dipendenza, dove la terapia cognitivo-comportamentale riscuote più successo. Serve dunque l’affidamento ad un professionista o a dei centri specializzati. Una cosa deve essere chiara: dalla dipendenza non ci si libera da soli!”.

La storia di Randy. Oggi padre e laureato. Non solo migrante

Randy Ashu Tambe Nanji aveva 17 anni quando decise di tentare di raggiungere l’Europa dal Camerun. La sua famiglia faceva sempre più fatica ad andare avanti e lui, dopo il diploma che nel Paese si raggiunge a 16 anni, non vedeva alcuna prospettiva. Come spesso succede, scappò di nascosto senza dire nulla ai genitori. Il viaggio che descrive sembra una vera e propria Odissea che attraversa il deserto fino alla Libia e poi per ben due volte naufraga al largo delle coste libiche e viene tenuto in carcere in condizioni disumane in quel Paese.

Alcuni suoi compagni di viaggio e in particolare un suo amico del cuore non ce l’hanno fatta. Finalmente al terzo tentativo, e al terzo naufragio in acque internazionali, viene salvato e portato prima a Lampedusa e poi in una comunità per minori stranieri non accompagnati in provincia di Salerno. Nel 2018 comincia a lavorare come mediatore culturale. In seguito conoscerà Filomena che è diventata sua moglie. Oggi hanno un figlio di tre anni.

Di giorno mediatore e di notte studia perché nel frattempo si è iscritto a Giurisprudenza. Finalmente qualche giorno fa si è laureato a pieni voti con 110. Quella di Randy Ashu è la storia di un’accoglienza e di un’integrazione riuscita. Una storia che merita di essere conosciuta per dare un volto a quelli che troppo spesso nel nostro immaginario sono solo “migranti” e invece sono persone con una storia, un volto e un progetto di vita che talvolta si realizza.

Progetto “Bara Ni Yiriwa” per migliorare la condizione femminile in Mali

Lo staff composto da un gruppo di donne e uomini malesi con abiti colorati e donne bianche davanti ad un grande manifesto del progetto
Lo staff

“Siamo per un mondo più equo, più giusto e più vicino alle donne”: questo è uno dei tanti princìpi che muove Tamat, organizzazione non governativa riconosciuta dal ministero degli Affari esteri e dall’Agenzia della cooperazione italiana. Si occupano della sicurezza alimentare, agroecologia e dell’agricoltura, sostenendo le popolazioni locali nel rafforzamento delle loro competenze personali, per il miglioramento delle condizioni di vita di ognuno.

Il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali”

Con il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali” si è data soprattutto la possibilità di migliorare la condizione femminile in Mali formandosi, per creare e gestire delle piccole imprese. Come spiega la capo-progetto Renata Gamboa: “Abbiamo voluto sostenere le organizzazioni locali facendo in modo che ogni persona riesca a vivere di risorse e competenze proprie. Abbiamo supportato le popolazioni locali e la società civile per implementare soluzioni di sviluppo sostenibile in ambito sociale, ambientale, culturale ed economico.

Con questo progetto abbiamo permesso alle donne tutto questo, per dar loro un posto in società e più considerazione, per dar loro la possibilità di crearsi una libertà economica e contribuire alle spese familiari. Ma non solo: abbiamo dato loro un’istruzione per farle entrare nell’attività economica del Paese e dei loro villaggi attivando piccole imprese. È stata quindi importante anche la formazione per la micro-impresa, come gestire l’ambito amministrativo e la comunicazione per potersi fare pubblicità”.

La formazione degli agronomi locali

Patrizia Spada, esperta agronoma, anche lei all’interno del progetto, ha contribuito alla formazione dei formatori agronomi locali, costruendo con loro un approccio alla pari, avvicinandoli alle tecniche agro-ecologiche e di trasformazione agroalimentare inquadrandoli in un contesto più ampio.

Spada precisa che non ha voluto trasmettere solo il modo in cui lavorare il terreno per avere una migliore ritenzione d’acqua, o come ottenere il pesticida con erbe locali; ma ha voluto che passasse il concetto di sviluppo agro-ecologico, cioè un modo di fare agricoltura che preservi le risorse naturali, lasciandole intatte per le generazioni future. Conclude che è stato importante anche insegnare ai beneficiari come gestire l’uso dell’acqua per i quattro perimetri agricoli e quattro pozzi che hanno costruito.

Il concetto di cooperazione è stato sviluppato in tutti gli ambiti, culturali, sociali, economici e agricoli, per sostenere la popolazione in Mali, poterla avviare verso lo sviluppo socioeconomico agricolo ed ecologico; avvicinandoli anche a piccoli passi, con le giuste tempistiche, a un cammino di emancipazione a favore delle donne.

La storia del progetto “Bara Ni Yiriwa”

Il progetto “Bara Ni Yiriwa – Lavoro e sviluppo in Mali” è stato avviato a novembre 2020 e si è concluso a dicembre 2023, cofinanziato dal ministero italiano dell’Interno Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione, nell’ambito di un avviso pubblico coordinato da Tamat in partenariato con l’ong Le Tonus, Caritas Mali, l’Haut Conseil des Maliens d’Italie , Fondazione Ismu e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Le attività si sono svolte nella regione di Koulikoro e Bamako, nei Comuni di Kambila e Yélékebougou, e hanno riguardato il campo della formazione, sviluppo rurale, supporto alla micro-impresa e sensibilizzazione sui rischi della migrazione irregolare.

Emanuela Marotta

I giovani scesi nelle piazze

(Immagine generata da AI)

C’è chi li aspettava al varco sabato 2 marzo. Sono pacificamente scesi in piazza come la settimana precedente, hanno respinto ogni strumentalizzazione, hanno chiesto agli adulti di essere ascoltati. Hanno fatto rumore, anzi sono stati rumore. Hanno reso insignificante la critica di chi, citando le parole di Pasolini, li aveva addirittura contrapposti ai poliziotti “figli di poveri”.

Nella lettera immaginaria, ma neppure troppo, di una ragazza apparsa su un giornale nazionale dopo le botte di Pisa e le successive manifestazioni, si legge: “Ma non ce l’ho con la polizia. Odio le generalizzazioni. Non hanno sbagliato le forze dell’ordine. Hanno sbagliato quei poliziotti, e solo loro, che si sono scagliati contro di noi. Siamo fortunati a vivere in Italia, siamo un Paese libero che forse a noi giovani sta un po’ stretto ma nel quale è ancora possibile dire quello che pensiamo. La vicinanza di Mattarella ci ha riempito di orgoglio e la solidarietà dei professori che ci hanno chiesto scusa a nome degli adulti che ci hanno picchiato alimenta la voglia di continuare a esprimere le nostre idee”.

Dicono i ragazzi e le ragazze che le ferite visibili sul corpo come quelle invisibili e più profonde nell’anima si rimargineranno, senza però nulla togliere alla verità dei fatti e senza ridurre la volontà di essere rumore più che fare rumore. Un rumore per dire che sono sempre più a rischio i valori ai quali le nuove generazioni credono e senza i quali il futuro appare infelice: la dignità di ogni essere umano, la libertà, la giustizia la pace, la bellezza, la casa comune.

Le manifestazioni dei giorni scorsi erano contro la strage di innocenti in Palestina; ma era davvero impossibile, era davvero così difficile capire che non erano ignorate le altre stragi narrate quotidianamente dai media e che continuano a profilarsi all’orizzonte? E se questa lettura delle manifestazioni apparisse frettolosa, perché fermarsi a una critica distruttiva e non avvertire la responsabilità di accompagnare la crescita di una conoscenza e di una consapevolezza più ampie delle tragedie di oggi?

Ecco il paziente cammino di un’educazione che gli adulti sono chiamati a intraprendere accanto ai giovani che chiedono di essere nella storia attori e non spettatori. Ci sono ancora questi adulti? Nella lettera immaginaria viene citato Sergio Mattarella e i professori che hanno chiesto scusa a nome degli adulti. Tracce e orme che non sfuggono. Dei politici non c’è invece accenno: un segnale che dovrebbe far riflettere sulla incapacità e sulla non volontà di ascoltare e quindi di capire la preoccupazione, il pensiero e il sogno delle nuove generazioni.

Un pensiero e un sogno che sfidano i muri dell’arroganza e della presunzione, un pensiero e un sogno che hanno preso la parola nelle piazze e non solo sui social. Un rumore che scompiglia i ragionamenti e i piani di chi considera una fragilità la difesa e la tutela dell’umanità.

Paolo Bustaffa

Rohingya. Appello della diocesi per una loro integrazione

Il Bangladesh è un paese prevalentemente musulmano, che confina per ben 271 chilometri con il Myanmar a maggioranza buddista. Il Bangladesh è anche la terra in cui hanno trovato rifugio oltre un milione di Rohingya per lo più musulmani, che non sono mai stati molto graditi ad alcun governo del Myanmar e soprattutto dopo che il governo di quel Paese ha lanciato una brutale “operazione di pulizia” nello stato di Rakhine contro di loro nel 2017. Il Bangladesh li ha confinati nei campi di Cox’s Bazar nella speranza di poter un giorno favorire il loro rientro in patria.

Ma ormai da qualche tempo in Myanmar è in corso un conflitto tra l’esercito del governo che ha preso il potere con un colpo di stato e i ribelli dell’Arakan Army che chiedono l’autonomia della regione dal regime militare. Questa situazione rende ancora più insopportabile la vita dei Rohingya e il governo bengalese ha deciso di contrastare l’accoglienza dei profughi e ha rafforzato le operazioni di respingimento. Una situazione davvero drammatica che conta ogni giorno le proprie vittime.

Anche in questo angolo di mondo ignorato dalla maggior parte dell’informazione mondiale, è necessaria una presenza internazionale di assistenza che favorisca l’integrazione come chiede la piccola comunità cattolica. Padre Terence Rodrigues, Vicario generale della Arcidiocesi di Chattogram, nel cui territorio si trova il distretto di Cox’s Bazar, continua a chiedere al governo di favorire l’integrazione dei Rohingya. Non ci resta che sperare che venga ascoltato.

Dall’Umbria l’appello per Haiti dilaniato da guerre civili e povertà

suor Luisa è al centro con altre due suore, foto di gruppo con uomini haitiani
Suor Luisa al centro

Passa per l’Umbria la richiesta di aiuto che parte da Haiti, Stato situato nell’isola di Hispaniola nel Mar dei Caraibi, al confine con la Repubblica Dominicana: dilaniato da anni di catastrofi naturali (due devastanti terremoti nel 2010 e nel 2021, uragani e alluvioni), epidemie e guerre civili che vedono contrapporsi gang rivali (talvolta veri e propri eserciti), in un vuoto istituzionale senza precedenti, nonostante la presenza di un contingente Onu. Una situazione drammatica che ha fatto sprofondare il Paese in una spirale di violenza e povertà.

Suor Marcella e i germogli di carità e speranza
con la Fondazione Via Lattea a Cannara

Eppure, in questo quadro di profonde difficoltà umanitarie, non mancano germogli di carità e speranza che portano e chiedono aiuto per la popolazione. Germogli come quelli coltivati da suor Marcella Catozza, della Fraternità francescana missionaria di Busto Arstizio, in missione da 18 anni a Portau- Prince, capitale di Haiti, dove gestisce un orfanotrofio con 150 bambini e una scuola materna.

Sostenuta da sempre da diverse associazioni di volontariato, nel 2015 suor Marcella ha costituito insieme ad alcuni amici la Fondazione Via Lattea, con sede a Cannara Tramite Via Lattea, nel 2021 è riuscita a far ospitare in Umbria per diversi mesi un gruppo di bambini haitiani, che sono così usciti dalle criticità che imperversavano nell’isola. Gli appelli di aiuto alla comunità internazionale da parte di suor Marcella si sono intensificati negli ultimi due anni, moltiplicandosi nei mesi scorsi, vista la continua escalation di violenza che interessa molte zone di Haiti.

Nel 2023 oltre 8.000 persone vittime di violenza o morte

Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti (Binuh), nel 2023 oltre 8.000 persone sono state vittime della violenza di gruppo, tra cui persone uccise, ferite e rapite. Violenza che non lascia scampo a vescovi, sacerdoti, suore, missionari e personale laico di supporto a strutture ecclesiastiche.

Il grido di allarme è stato raccolto da Maria Adele dell’Orto, sorella di Luisa, suora lombarda uccisa a Haiti nel 2022, e rilanciato sempre in Umbria da Alessio Gonfiacani, diacono della diocesi di Città di Castello, molto amico della famiglia Dell’Orto e della missionaria assassinata a Haiti (Papa Francesco ha definito la sua morte un martirio).

Il grido di allarme in Umbria è statao raccolto
dal diacono tifernate Alessio Gonfiacani

“La situazione è davvero tragica – racconta Gonfiacani –, lo possiamo capire dalle notizie che arrivano, dalle testimonianza di suor Marcella Catozza e dalle lettere che suor Luisa dell’Orto inviava finché era in vita”.  Tra la religiosa, Piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, insegnante e attiva per venti anni nella “Casa Carlo” di Haiti per togliere i bambini dalla strada, e il diacono tifernate vi è stato sempre un forte legame, iniziato a fine anni ’70.

“Ancora universitaria, Luisa venne a Città di Castello per il mio matrimonio nella chiesa di San Pio, insieme alla sorella Maria Adele, moglie di un mio carissimo amico e testimone di nozze Rino Perego”, dice Gonfiacani, che così rievoca suor Luisa: “Era una persona attenta a ogni dettaglio, di immensa carità, intelligenza e bontà. Aveva dentro di sé la chiamata alla missione in aiuto delle persone in difficoltà, e infatti partì per il Madagascar per poi approdare ad Haiti. Alcune volte si è fermata in Altotevere, e nell’occasione ha dato la sua testimonianza in alcune parrocchie; nel corso delle quali le consegnavamo le offerte raccolte. Rimase sempre colpita dall’esempio di santa Veronica Giuliani”.

La morte di suor Luisa non è bastata a fermare la violenza. “Chiediamo che la comunità internazionale faccia di più” – dice Gonfiacani

A Haiti, suor Luisa operò per vent’anni, fino al giugno del 2022 e a quel tentativo di rapina finito in tragedia.  La sua morte provocò proteste popolari e mosse molte coscienze, ma non è bastata da sola a fermare la violenza che ancora attanaglia Haiti. “Per questo chiediamo che la comunità internazionale faccia di più, che le autorità civili e religiose facciano di più, non lasciamo che suor Luisa sia morta invano”, chiede il diacono.

Marco Polchi

Amministrative Sardegna. Uniti per vincere. Divisi per “condizionare”

Mentre scrivo queste righe, pare ormai certa la elezione di Alessandra Todde alla presidenza della Regione Sardegna. Però il margine è così stretto che non si può escludere che i voti contestati portino a un riconteggio che modifichi il risultato. Ma cambierebbe poco per quello che intendo dire ora; e cioè che dal punto di vista delle strategie elettorali c’è stata in Sardegna, fra i due schieramenti che convenzionalmente chiamiamo destra e sinistra, una gara a chi sbagliasse di più.

La destra partiva con il doppio vantaggio di essere la maggioranza di governo nel Paese, e la maggioranza uscente nella Regione. Anzi, aveva un vantaggio ulteriore: quello di avere come candidato presidente della Regione il sindaco in carica del capoluogo regionale, quindi un personaggio che si poteva supporre autorevole e conosciuto. Errore: una discreta fetta degli elettori di destra ha dato il “voto disgiunto” ossia ha votato per i candidati consiglieri ma non per il candidato presidente, e i più cattivi in questo senso sono stati proprio i cagliaritani, quelli che lo conoscevano meglio.

Eppure ormai dovrebbero averlo capito tutti, che in queste elezioni dirette (di un sindaco, di un presidente di regione, domani forse di un capo del governo) quello che conta di più è la persona del candidato, e dunque bisogna sceglierlo con cura; ma qui avevano sbagliato. Avevano scelto bene, invece, quelli della sinistra, con Alessandra Todde. In questo caso, però, troppa grazia: di candidati ne avevano due (l’altro era Soru) e così hanno diviso un elettorato che, se avesse votato compatto, avrebbe superato il 50%.

Per sua fortuna, Todde ha vinto lo stesso, ma bastava una manciata di voti in meno e avrebbe perso, non potendo utilizzare quell’8% e rotti sprecato per Soru, che sarà una bravissima persona ma era fuori gara. E anche questo – e cioè che nelle elezioni con questa formula chi vuole vincere deve riunire tutte le forze intorno a un candidato solo – dovrebbero averlo capito tutti. A quanto pare invece ci sono gruppi politici ai quali non interessa tanto vincere, quanto affermare la loro presenza ed avere così, nei confronti dei partiti maggiori, un potere di condizionamento, diciamo pure di ricatto, e vendere caro il proprio appoggio. È così che fu fatto cadere Prodi, fino a far tramontare la sua stella. Il vizio è rimasto.

“Casa Padre Pio” a Kiev, un progetto per cuori feriti di madri

Una fila orizzontale di mogli e madri ucraine coinvolte nel progetto all'interno di una chiesa, davanti le foto dei figli o mariti scomparsi
La celebrazione conclusiva del progetto di "Casa Padre Pio" a Kiev

A Kiev, la Casa “Padre Pio” è un luogo di pace e preghiera. Lì, nei pressi del convento francescano, è nato un progetto di cura per le madri dei soldati morti in guerra: a conflitto ancora in corso, i cappuccini d’Ucraina lavorano per una riconciliazione dello spirito, primo passo per costruire la pace e riaccendere la speranza. Un progetto sostenuto dai lettori di Frate Indovino e dalla Fondazione Assisi Missio, iniziato nel febbraio 2023, che ha coinvolto 127 madri: per queste, oltre all’aiuto materiale, è stata una via di cura per riaccendere la speranza, una scintilla di nuova vita.

Un progetto in collaborazione con la Caritas perugina

“Fin dai primi giorni di marzo 2022 spiega fra Carlo Maria Chistolini, responsabile della Fondazione Assisi Missio – abbiamo subito cercato di fare qualcosa di concreto per sostenere chi era maggiormente colpito dalla guerra organizzando, in collaborazione con la Caritas perugina, un primo convoglio di cibo e aiuti di prima necessità. Nel tempo poi abbiamo messo a disposizione le nostre case in Italia per ospitare alcune famiglie scappate dalla guerra ed è nato così uno scambio fecondo che ha reso possibile anche l’avvio di questo progetto”.

I Cappuccini della Custodia d’Ucraina

Sono 41 i frati cappuccini della Custodia d’Ucraina: vivono in sette conventi in varie zone del territorio ucraino e in due conventi in territorio russo, rappresentando con i fatti un autentico ponte di pace fra le due nazioni in guerra tra loro. Fra Carlo Maria e Paolo Friso, direttore delle Edizioni Frate Indovino, hanno visitato i confratelli di Kiev, portando loro gli aiuti economici per sostenere il progetto “Le madri di Casa Padre Pio”. Sono stati il tramite della vicinanza della “famiglia” dei cappuccini umbri e italiani a quanti vivono ogni giorno nella paura e nella sofferenza. Tutto questo proprio nei giorni scorsi, in occasione dei due anni dall’inizio del conflitto.

A Kiev programma di cura per le mamme e le mogli di soldati

A Kiev hanno testimoniato anche l’avvio di una nuova sessione del programma di cura dedicato alle madri e alle mogli dei soldati di cui non si hanno più notizie o che sono caduti in combattimento. “Il lavoro e la preghiera, l’arteterapia e la ginnastica, la cura del corpo e la musica – spiegano – sono strumenti validi per superare lo stress emotivo della perdita e favorire la riconciliazione, primo passo per far riaccendere la speranza in un futuro di pace”.

Fra Carlo Maria Chistolini: “Un ponte di solidarietà che vogliamo continuare”

Il percorso residenziale per 20 di queste mamme, iniziato circa un anno fa, è terminato in questi giorni ma il progetto continua, crescendo nei numeri e nella professionalità dei volontari che vi operano. “Sono stati giorni di fraternità e solidarietà con i frati cappuccini che ringraziamo per la loro accoglienza. Nonostante il dolore e le lacrime – racconta ancora fra Carlo Maria – abbiamo vissuto un tempo di gioia e di speranza, come nel compleanno di Ludmila. Ma il nostro compito non finisce qui: vogliamo continuare questo ponte di solidarietà e siamo certi che non mancherà il sostegno di tutti gli amici di Frate Indovino ”.

Il Pnrr ha troppi punti critici

Particolare della facciata esterna a vetri del parlamento euopeo con bandiere
Il Parlamento europeo (Foto Wikimedia)

Arricchirsi, impoverirsi. Al primo obiettivo ci dovrebbe pensare il Pnrr con gli oltre 200 miliardi da investire da qui al 2026, e che dovrebbero rilanciare un’economia ferma da anni. Il secondo ce l’ha portato in dote l’inflazione degli ultimi anni, che – dice una ricerca commissionata dalle Acli – ha abbassato il tenore di vita a quattro italiani su cinque. Corollario: chi prima camminava sull’orlo della povertà, oggi c’è finito dentro.

Dall’inflazione è difficile difendersi, ancor più per chi ha poche risorse a disposizione. E i nuovi poveri sono quelli meno visibili: sopra tutti i pensionati, le persone anziane per cui qualche decina di euro al mese in meno fanno la differenza e non sanno come rimediare. Grandi speranze quindi sono riposte in un rilancio dell’economia che significherebbe pure maggiori risorse per uno Stato sociale sempre più in affanno. A questo dovrebbero pensare gli investimenti stimolati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ancora non sta facendo vedere i suoi frutti all’interno del Pil. Per due motivi, che sarebbe sbagliato non inquadrare come problemi cruciali per l’Italia prossima ventura. Anzitutto, ogni progetto finanziato va concluso in tutto e per tutto entro il 31 dicembre 2026. Cioè domani. Significa ricevere i soldi, delineare i progetti che vanno approvati, appaltarli e realizzarli, infine collaudarli.

Non c’è alcun dubbio che la macchina ministeriale e burocratica italiana sia tra le meno adatte a realizzare tutto ciò, presto e bene. E le cronache recentissime ci raccontano di decreti ministeriali impantanati, di cambi in corso d’opera, di Ragioneria dello Stato assai perplessa, di scontri politici (anche dentro la maggioranza di governo). Noi, da spettatori esterni, possiamo solo toccare ferro.

C’è poi una scelta iniziale che pesa molto sulla “messa a terra” del Piano. Il governo Conte, che lo adottò, scelse di privilegiare una miriade di interventi, piuttosto che pochi ma assai corposi. Questo ha permesso a migliaia di interlocutori (si pensi solo ai Comuni) di avanzare progetti di qualsivoglia tipo. Nei fatti, una certa complicazione a livello burocratico. Nei fatti, soldi scesi a piccoli rivoli per la sistemazione di un parco cittadino come di un asilo nido.

In prospettiva, il dubbio che con quei soldi stiamo “aggiustando” l’Italia e facendo ciò che non è stato fatto per decenni. Ma non realizziamo quell’innovazione tecnologica ed economica che porterebbe l’Italia più verso il 2100 che il Novecento. Queste piccole sono anche le opere più facilmente finanziabili e realizzabili, e così sta accadendo. Mentre i progetti strutturali più consistenti (le infrastrutture fisiche, ad esempio) per forza di cose necessitano di tempi più lunghi e quindi termineranno – speriamo – proprio sul filo del traguardo, dando i loro frutti successivamente.

Giochiamocelo bene, questo Piano. Sarebbe “europeo”, ma la stragrande parte dei fondi sono stati richiesti da Italia e Spagna. Soprattutto Italia. In buona parte soldi che dovremo restituire all’Europa. Se avremo sviluppo economico, sarà stato un bell’investimento. Altrimenti altri mattoni (tanti) sopra la montagna del debito pubblico.

Nicola Salvagnin

Mauro Masciotti si candida a sindaco di Foligno

Mauro Masciotti a mezzo busto, con capelli grigi, gli occhiali, un giacchetto scuro e camichia celeste sullo sfondo un chiostro
Mauro Masciotti (Foto RGU notizie)

È stata una decisione meditata a lungo e anche molto sofferta, quella che ha portato il folignate Mauro Masciotti a scegliere la candidatura a sindaco della sua città. Gli ultimi giorni prima dell’ufficialità della notizia li ha trascorsi in una sorta di “deserto” e di silenzio, utili a favorire il discernimento sulla strada da prendere. Poi, una volta messa a fuoco la scelta, ci sono voluti un paio di giorni per scrivere nero su bianco le sue dimissioni dagli incarichi ecclesiali diocesani e regionali e dal lavoro di ferroviere.

Mauro Masciotti si è dimesso da tutti gli incarichi diocesani e regionali in Caritas

Cinquantasei anni, diacono e padre di quattro figli, capostazione delle Ferrovie dello Stato Italiane, Masciotti è direttore della Caritas diocesana di Foligno dal 2010 e delegato regionale dell’organismo pastorale dal settembre 2023.  O meglio, lo è stato fino a martedì scorso, quando l’arcivescovo Domenico Sorrentino ha ricevuto e accettato le sue dimissioni da tutte le responsabilità diocesane e regionali, in considerazione proprio della candidatura alle prossime elezioni amministrative. A ciò, il Vescovo della diocesi folignate aggiunge anche la sospensione dal ministero diaconale. Tutti passaggi – specifica lo stesso Masciotti – che sono stati concordati con le gerarchie ecclesiastiche ai vari livelli, a cominciare proprio da mons. Sorrentino. Anche mons. Renato Boccardo , come presidente dei vescovi umbri, ha accolto le sue dimissioni da delegato regionale Caritas.

Vescovo Sorrentino: “La Chiesa non ha un suo partito”

Il Vescovo delle diocesi di Foligno e di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino tiene a precisare che “la Chiesa non ha un suo partito” e che “quando dei cattolici formano partiti, essi non sono mai espressione ufficiale della Chiesa e si qualificano in base alle scelte di quanti vi aderiscono in coerenza con la loro ispirazione cristiana: il che permette anche una pluralità di espressioni e di presenze politiche dei cattolici, ma sempre assicurando, nei programmi e nei rapporti con le formazioni partitiche di appartenenza, senza cedimenti e a voce alta, la loro coerenza con i valori evangelici e il magistero della Chiesa”.

La politica è un’altra forma di carità

L’attenzione di mons. Sorrentino per l’impegno dei cattolici in politica è piuttosto chiara e da molto tempo, frutto anche dei suoi scritti e dell’attività di postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione di Giuseppe Toniolo, studioso ed economista che ha saputo coniugare il profilo contemplativo a quello di laico appassionato del contesto sociale. “La politica è un’alta forma di carità”, ha ribadito il vescovo Domenico anche in questa occasione, dopo che nel 2016 aveva usato gli stessi toni per commentare la candidatura a sindaca di Assisi di Stefania Proietti, già direttore dell’ufficio diocesano per i Problemi sociali e il lavoro. “La Chiesa di Foligno – scrive stavolta il Vescovo – invita i suoi figli, uomini e donne, soprattutto i giovani a rispondere a questa speciale vocazione e, come per tutte le missioni, le sostiene ‘irrorando la comune carità solo con il silenzio orante’”.

La Lettera pastorale del vescovo Sorrentino “Carità politica per una Chiesa radicata nel territorio e nella storia”

Proprio nel 2023, mons. Sorrentino ha scritto la lettera pastorale Carità politica per una Chiesa radicata nel territorio e nella storia. “La politica e l’impegno pubblico e sociale per il bene comune – sottolinea Sorrentino – è una nobile vocazione e una preziosa missione che la Chiesa raccomanda e promuove tra i suoi fedeli. In tal senso la Chiesa, madre di tutti e di ciascuno, da sempre ha posto delle opportune condizioni e delle sagge limitazioni per coloro che, investiti di un mandato ecclesiale, ricoprono ruoli di responsabilità o esercitano dei servizi comunitari, laico o chierico. Chiunque nel popolo di Dio ha un ufficio, una funzione e un incarico istituito e abbia desiderio di spendere le proprie energie e competenze in questa missione è dunque invitato a sospendere il proprio servizio secondo il proprio stato e la propria condizione rendendo chiara e pubblica la propria decisione”

Per Masciotti è un allontanamento pro tempore dal mondo della carità

Una necessità e una condizione che Mauro Masciotti ha fatto sua nello scegliere la candidatura a sindaco, anche se – ci ha detto – questo lo allontana pro tempore dal mondo della carità nel quale opera da anni.

Come è nata la scelta di candidarsi

È stata la coalizione di centrosinistra a proporre a Masciotti la candidatura a sindaco di Foligno per le prossime elezioni comunali dell’8 e 9 giugno prossimi. Nei giorni scorsi, l’ex direttore della Caritas folignate ha incontrato i rappresentanti di Partito democratico, Movimento 5 stelle, Foligno in Comune, Foligno 2030 e Patto x Foligno. Sono le forze politiche dello schieramento progressista che hanno ipotizzato “un progetto unitario e innovativo”. La prima uscita pubblica del candidato a Sindaco e dell’intera coalizione è prevista per venerdì 1 marzo – alle ore 11 – in piazza San Domenico a Foligno.

 

Assisi, presentato il restauro che svela il vero volto di san Francesco

La Maesta di Cimabue, basilica Inferiore di San Francesco di Assisi

A cinquant’anni dall’ultimo intervento, il 16 febbraio ad Assisi sono stati presentati i lavori di restauro dell’affresco della Madonna in trono con il Bambino, angeli e san Francesco di Cimabue, noto anche come “Maestà di Assisi”.

Il vero volto di san Francesco e la Madonna
con Gesù bambino sul trono

Un appuntamento atteso, che ha “svelato” il vero volto di san Francesco, databile tra il 1285 e il 1290. Situato nel transetto destro nella basilica inferiore, mostra la Madonna con Gesù bambino su un trono tra quattro angeli e con la rappresentazione di san Francesco in piedi a destra. L’affresco infatti è celebre non solo per la raffigurazione della Vergine in trono, ma anche per quello che si ritiene uno dei ritratti più antichi e affidabili del Santo, realizzato secondo la tradizione, sulla base delle indicazioni di chi lo aveva conosciuto personalmente.  Il Santo, raffigurato a un lato, scalzo con il saio, la barba corta e la chierica, fissa il fedele con uno sguardo compassionevole e con evidenti segni delle stimmate su mani e piedi. Ha un’evidente ferita al petto dove tiene un libro in un abbraccio.

Affresco restaurato più volte

Si sa che l’affresco è stato più volte restaurato nei secoli, anche dalla bottega di Giotto: si afferma infatti che il trono fosse in parte ricoperto di oro, e via via l’opera fu abbellita, e ritoccando lo stesso Santo per rendere le orecchie più ‘nobili’, non a sventola. Su un trono in legno elegantemente intagliato e posto di traverso e non al centro, siede Maria; tiene il Bambino sulle ginocchia con disinvoltura in una posizione asimmetrica, poggiando il piede destro su un gradino basso e quello sinistro più in alto, facilitando la tenuta del figlio.

Molto naturale e significativo, accentuando il rapporto stretto e l’amore tra Gesù e Maria, il gesto del bambino che tende una mano e afferra con naturalezza un lembo della veste della madre, mentre Maria, dalle dita lunghe e affusolate, gli accarezza un piedino. Intorno a loro sono disposti gli angeli sorridenti che si rivolgono allo spettatore inclinando le teste e dando movimento all’opera. I due in alto piegano la testa verso l’interno, quindi verso la Madonna e il Bambino, mentre i due in basso verso l’esterno. Sono elegantemente appoggiati con le mani al trono; i primi due hanno i piedi poggiati a terra, mentre i due dietro di loro sembrano fluttuare.

L’opera sembra rappresentare due gruppi in contrasto tra loro. Nel primo, dove sono rappresentate le figure degli angeli, di Maria e di Gesù, si può constatare la loro eleganza e fastosità; mentre nel secondo, dove viene rappresentato san Francesco, si evidenzia la semplicità e la sobrietà. Inoltre è tornato a splendere il prato verde su cui poggia l’opera. Oggi possiamo vedere il dipinto in tutto il suo splendore: un restauro meticoloso, studiato nei minimi dettagli.

Il restauro della Maestà di Cimabue

Il restauro della Maestà di Cimabue è stato realizzato da un’équipe della Tecnireco, diretta dal capo restauratore della basilica di San Francesco, Sergio Fusetti. Il progetto conservativo, iniziato a gennaio 2023, ha richiesto un anno. Come spiega Fusetti, si trattava di rimuovere tutti gli strati dei vari restauri avvenuti nei secoli, con molta attenzione, per arrivare allo strato originale. Importante è stato rimuovere i protettivi che si usavano negli anni ’70. Si è usata dalla lente d’ingrandimento a sofisticate apparecchiature.

La tecnica usata da Cimabue non ha favorito
la conservazione dell’affresco

Cimabue utilizzava una tecnica che con il tempo non ha favorito la conservazione di molte sue opere, intonacando tutta la parte da dipingere e passando il colore quando ormai l’intonaco era asciutto, senza assorbimento del colore. Quest’opera la eseguì in un giorno, intonacando tutta la parete e successivamente passò il colore. Inoltre, come consueto all’epoca, usava la biacca, cioè carbonato basico di piombo: i pigmenti composti di piombo si trasformavano in biossido di piombo, e a contatto con l’acido solfidrico, da bianco, finiva per tendere al bruno. Anche se la biacca garantiva una certa tenuta, nel corso degli anni, oscurandosi, provocò spesso la trasformazione del pigmento e quindi lo sconvolgimento dell’opera stessa.

Le indagini diagnostiche

Nella Maestà è stata questa la difficoltà: riportare alla luce il vero pigmento iniziale. Allo scopo sono state svolte ricerche e indagini diagnostiche, e con il microscopio si sono guardate le incisioni del “disegno” iniziale. Fusetti aggiunge che si è riusciti a restituire la forma originale alle orecchie di san Francesco, che erano state ritoccate più volte in passato, così come il suo volto e gran parte di tutta l’opera. Queste tecniche e strumentazioni, non invasive, per analizzare lo stato di conservazione dell’opera e i materiali utilizzati nei restauri precedenti, hanno così consentito di ridare non solo alla comunità ma a tutta la storia dell’arte un’opera molto vicina all’originale, rientrando nel più ampio progetto di interventi di manutenzione e conservazione del patrimonio presente all’interno della basilica di San Francesco.

La gratitudine del custode fra Marco Moroni
per il lavoro compiuto

Il custode fra Marco Moroni è estremamente grato per questo intervento e per la sinergia che ha permesso di portare a nuovo splendore un’immagine che non è solo un’opera d’arte, ma è anzitutto – per i francescani e per tutti i devoti del Santo – un richiamo dall’alto valore simbolico alla figura e ai valori di san Francesco. Il suo ritratto, contenuto in questo capolavoro di Cimabue, ci riporta direttamente alla sua figura storica, che manifesta ancora oggi una straordinaria attualità e continua a essere fonte di “provocazioni” profonde per ciascuno di noi e per il mondo.

Emanuela Marotta

 

Liberi di scegliere, per volontà di Dio

Il Peccato Originale e la Cacciata dall’Eden, Cappella Sistina, Michelangelo (Foto da wikipedia)

Nel suo Messaggio per la Quaresima, papa Francesco ha posto al centro della riflessione la libertà, a partire dall’esperienza del popolo d’Israele narrata nel libro dell’Esodo e dai brani evangelici delle tentazioni. Questo tema, in contesto di fede e non solo, apre ad una ulteriore riflessione, quella sul libero arbitrio.

I riferimenti alla libertà nella Sacra Scrittura

La Sacra Scrittura riporta espressioni che sottolineano la libertà dell’uomo, data anzitutto dalla facoltà di prendere scelte, dettate dal proprio pensiero, e di compiere atti, frutto della propria iniziativa.

Il libro del Siracide ad esempio, afferma che “Da principio Dio creò l’uomo e lo lasciò in balia del suo proprio volere” (15, 14). Non può, a questo punto, non tornare alla mente come nei primi capitoli del libro della Genesi, per l’appunto nei racconti di creazione, l’uomo è dotato di libertà. Infatti, colui e colei che Dio ha creato ad immagine e somiglianza sua, lo si vede sin da subito capace di libertà.

Libertà, questa, da non confondersi con l’esaltazione dell’autonomia, bensì da comprendere all’interno di un quadro, quello del racconto della Genesi, che ci rivela come l’uomo è sì libero ma al contempo non è Dio ma Adamo, creato a “immagine” di Dio ma soggetto all’esperienza del limite: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare” (Gen 2, 16).

La libertà dell’uomo, fin dall’atto creativo, è messa alla prova. Ciò, però, non è per rendere l’uomo fittiziamente libero o addirittura prigioniero, ma piuttosto per introdurre l’umanità in un cammino caratterizzato dalla fiducia – di conoscenza del suo Creatore.

La scelta dell’uomo tra ciò che è bene e ciò che è male

La libertà dell’uomo, dunque, fin dalle origini sembrerebbe posta di fronte alla scelta tra ciò che è bene e ciò che è male, dove, sempre se si legge Genesi, scegliere il male conduce alla morte: “perché nel giorno in cui tu nei mangerai [dell’albero del bene e del male, n.d.r.] certamente dovrai morire” (2, 17).

Sarà, poi, possibile accedere a quest’albero, secondo il libro dell’Apocalisse, solo quando l’uomo entrerà nella Gerusalemme celeste: “Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città” (22, 14). Ora, il libero arbitrio non ha che fare con la sola scelta tra il bene ed il male ma è possibilità di compiere o no determinati atti, di scegliere quello anziché quell’altro, in ogni istante della propria esistenza.

Il libero arbitrio

In ambito di fede “libero arbitrio” è anche possibilità di aderire o meno al Vangelo e di viverlo in uno stato di vita piuttosto che in un altro, nel contesto comunque della vocazione universale alla santità. Una volta, infatti, che si accoglie il Vangelo, l’uomo è chiamato a camminare in “novità di vita” e questa può assumere diverse forme. Ed anche qui entra in gioco la libertà. Quello che comunemente chiamiamo “discernimento vocazionale”, infatti, esige come presupposto la libertà stessa: libertà data da Dio che attende una risposta pienamente libera e consapevole, e libertà anche da parte di coloro che accompagnano la persona nel processo di scelta.

Il discernimento vocazionale

Molte volte si sente parlare del “padre” o della “madre” spirituale, del “direttore” spirituale, come di coloro che nell’esperienza di fede di ogni cristiano, ed ancor più per le persone in discernimento vocazionale, aiutano in questo cammino. L’accompagnamento vocazionale o spirituale è “porsi al fianco” non per dirigere ma, appunto, per accompagnare, cioè ‘camminare con’ ed aiutare a scegliere nella libertà. Una libertà che concede perfino di sbagliare, seppure né l’accompagnato e tantomeno l’accompagnatore lo desiderano, e anche di ritornare sui propri passi. In questa logica può sembrare una sottigliezza, ed invece non lo è, dire che c’è da diffidare di coloro che accompagnano, o meglio ancora che credono di farlo, utilizzando perlopiù la forma verbale dell’imperativo anziché del condizionale. Chi accompagna consiglia, non comanda.

Solo uno ha la facoltà di consegnare dei comandamenti ed è Dio, e anche lui attende la risposta libera dell’uomo. Si potrebbe pensare che parlare di libero arbitrio a partire dal racconto di Genesi ed arrivare al discernimento vocazionale e alla dinamica dell’accompagnamento sia un volo pindarico, eppure proprio il comprendere la libertà umana come dono di Dio, come esperienza del limite, come possibilità di preferire ciò che è bene da ciò che è male, e (purtroppo!) viceversa, permette di avere le fondamenta per ogni scelta e per ogni relazione di aiuto nella scelta. Se così non fosse si rischierebbe di abusare della libertà e di compromettere la vocazione particolare della persona.

Don Francesco Verzini
rettore del Seminario regionale umbro

Cabo Delgado… ma dov’è?

La Commissione spirito di Assisi che si fa eco dello storico incontro di preghiera delle religioni in Assisi del 27 ottobre 1986, propone alle comunità di ogni fede un’intenzione di preghiera per ogni 27 del mese. Si tratta di un fiume carsico che non resta senza effetto. Così come non è mai superflua una carezza e non va mai perso un segno d’amicizia, alla stessa maniera non è mai sprecata una preghiera ma trova piuttosto l’orecchio attento di Dio così come ci ha insegnato il Libro di Esodo.

Per il prossimo 27 febbraio, la Commissione, seguendo l’indicazione di papa Francesco nell’Angelus di domenica scorsa, chiede di pregare per il Mozambico. È la tipica guerra classificata come di bassa intensità che si svolge in territori lontani dalle telecamere e senza corrispondenti ed inviati. Cabo Delgado è una regione remota conosciuta solo dagli stessi mozambicani e dai vertici delle grandi compagnie del gas e del petrolio. Infatti è quella in cui si concentrano le attività estrattive di Eni e Saipem ed è la stessa presa di mira dai gruppi jihadisti che uccidono, minacciano, distruggono e rapiscono.

Nello scorso mese di ottobre la nostra Presidente del Consiglio ha visitato il Paese e il presidente del Mozambico ha ricambiato alla fine di gennaio. Insomma c’è molta attenzione. Ora proviamo a fare in modo che la preghiera apra ciascuno alla solidarietà e a disinneschi la violenza.

Il Concordato compie quarant’anni

agostino Casaroli e Bettino Craxi firmano ad un tavolo il Concordato
La firma del nuovo Concordato nel 1984 tra il card. Agostino Casaroli e Bettino Craxi (Foto wikepedia)

Anniversario rotondo quest’anno per il Concordato. Quarant’anni dalla riscrittura, con gli accordi firmati il 14 febbraio 1984 dal presidente del Consiglio Craxi e dal cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli. È passato un mondo da allora, e ancora di più dall’11 febbraio 1929, data del primo Concordato.

Come del Trattato, ovvero dei Patti lateranensi, che la Costituzione ha recepito nell’articolo 7. La data è stata solennizzata da un importante messaggio del presidente Mattarella e da un corposo intervento del card. Parolin in occasione di un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi e dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Entrambi gli interventi guardano con soddisfazione al passato e traguardano le comuni sfide, di questi anni agitati, in un mondo pieno di conflitti, che divampano sulle faglie dei processi di globalizzazione.

Le relazioni Stato-Chiesa sono molto buone. Pochissime e limitate le questioni aperte: problemi fiscali, nuovamente forse il crocifisso, i provvedimenti sulle questioni morali delicate, sulle povertà, per valorizzare la cosiddetta “sussidiarietà orizzontale”. La “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”, che rappresenta la chiave di volta del rinnovo del Concordato nel 1984, continua a funzionare, anche tra la cosiddetta prima e la cosiddetta seconda Repubblica e nell’alternanza delle diverse maggioranze che si succedono. Tuttavia il quadro è più complesso.

Diversi temi sono ormai deferiti alla competenza di un livello istituzionale molto cresciuto negli ultimi decenni, quello delle istituzioni europee e in particolare delle Corti, cui di fatto sono demandate alcune decisioni anche di portata pratica significative, dal crocifisso alle esenzioni dalle imposte. Altro frutto del Concordato repubblicano, come l’ha giustamente definito il presidente Mattarella, è la stagione delle Intese, ormai una dozzina, con altre Chiese e religioni, che dà piena attuazione all’articolo 8 della Costituzione; come pure, dal punto di vista della Chiesa, lo sviluppo della soggettività della Conferenza episcopale italiana, che proprio dal rinnovato Concordato ha trovato importanti risorse e una nuova, importante soggettività.

Oggi risalta più che mai il pilastro degli accordi del Laterano del 1929, ovvero il Trattato che istituisce un nuovo Stato, la Città del Vaticano. È una delle due grandi novità istituzionali del XX secolo, insieme alle Comunità e poi Unione europea. Sono due modalità esemplari di superamento della sovranità dello Stato-persona per superare conflitti che sembravano insolubili. Soluzione creativa, quella del 1929 (anche se gestita da uno Stato che si auto-definiva totalitario), oggi più che mai esemplare per tanti conflitti incancreniti: basti solo pensare alla Terra Santa.

In effetti gli accordi del Laterano e poi il Concordato repubblicano che li attualizza alla democrazia costituzionale sono l’esempio di un comune impegno come è stato detto all’Ambasciata per “soluzioni giuste e realistiche ai conflitti”. Dimostrano che sono possibili. Anche nel mondo di oggi, al tempo di una guerra mondiale a pezzi che tragicamente si autoalimenta. Fino a che qualcuno non sarà in grado di spezzare la spirale con soluzioni nuove, di cui abbiamo un esempio di successo.

Francesco Bonini

Messaggio del Papa per la Quaresima: parola chiave libertà

Foto anna-dziubinska

Con il recente messaggio per la Quaresima 2024, papa Francesco ha posto l’attenzione su un tema caro all’epoca moderna e contemporanea: la libertà. Prendendo avvio dagli eventi narrati nel libro dell’Esodo e, poi, dall’esperienza che Gesù fa nel deserto, sino alla sua morte e risurrezione, il Pontefice ha messo in relazione la libertà e, dunque, la liberazione, nella loro dimensione teologica ed etica. Infatti, la cristianità può lasciare in eredità alla contemporaneità il significato profondo della libertà, per l’esperienza che i credenti fanno della salvezza operata da Dio in Cristo.

La Quaresima ci accompagna, attraverso un cammino di sei settimane, alla celebrazione della Pasqua, ossia alla celebrazione del mistero di passione, morte e risurrezione di Cristo; evento, questo, che ha liberato l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte, affinché l’umanità potesse far ritorno a Dio, per essere in comunione con lui ed avere la vita eterna. Questa esperienza redentrice, che si rinnova continuamente nella Pasqua annuale introdotta dalla Quaresima e nei sacramenti, forgia nel profondo l’uomo, facendo della sua liberazione e libertà la radice del suo operare nel mondo.

L’amore misericordioso di Dio è il motore
che spinge l’uomo a ricercare la libertà altrui

Afferma l’apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani, che coloro che partecipano alla morte e risurrezione di Cristo, per mezzo del battesimo – dunque tutti i cristiani – possono camminare in novità di vita (cfr. Rm 6, 4), pertanto l’esperienza dell’amore misericordioso di Dio, che sempre perdona e dona vita, è il motore che spinge l’uomo a ricercare la libertà altrui e ad impegnarsi per liberazione altrui. D’altronde “se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4, 11), come lo stesso Gesù aveva già detto ai suoi nella cena pasquale: “vi ho dato un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13, 34).

L’uomo destinatario della liberazione operata da Dio diventa egli stesso strumento per riconsegnare la libertà agli oppressi

E come l’amore liberante di Dio è sorgente della nostra libertà, così il nostro amore è possibilità di liberazione dei fratelli e delle sorelle oppressi dalla bramosia umana. Difatti essendo l’uomo destinatario della liberazione operata da Dio, in forza di questa esperienza, diventa egli stesso strumento per riconsegnare la libertà agli oppressi. Sempre l’apostolo Paolo direbbe, anche se in occasione del racconto della cena del Signore, “io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1Cor 11, 23). In questa catena di ricezione e trasmissione è inserito ogni battezzato che ha vissuto la liberazione e, quindi, la riconsegna della propria libertà e a sua volta trasmette ciò che egli ha vissuto. Anche perché ogni forma di sopruso, che ancor oggi molti uomini e donne vivono, è in profonda contrapposizione con il Vangelo e, perciò, non può lasciare tranquille le coscienze dei cristiani.

L’amore di Dio, sorgente di libertà,
abbraccia l’intera umanità

Ora, la logica dell’amore di Dio, sorgente di libertà, è gratuita ed universale e, dunque, abbraccia l’intera umanità; perciò, non si può pensare che l’amore del cristiano si ponga dei limiti, anzi si estende addirittura ai persecutori e ai nemici (cfr. Mt 5, 43-44). La parabola del buon samaritano, ad esempio, mostra come i pregiudizi, legati all’appartenenza etnicoreligiosa, sono superati dall’amore compassionevole. Un amore che, oltre ad essere universale e gratuito, ha come ulteriore qualità la concretezza: concreta è stata la compassione del samaritano, fatta di gesti di cura, concreto è stato l’amore di Cristo che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, lì amò sino alla fine” (Gv 13, 1), con il dono totale di sé sulla croce.

La libertà trova il suo senso nell’amore
e l’amore è promessa certa di libertà

Perciò tra amore e libertà c’è un indissolubile legame: la libertà non trova il suo autentico senso se non nell’amore e l’amore è promessa certa di libertà. Per questo, la grande vocazione degli uomini e delle donne del nostro tempo è la costruzione della fratellanza e dell’amicizia tra gli uomini e tra i popoli, connotata dall’amore vicendevole e non dal sospetto verso l’altro, affinché ognuno possa godere di quella libertà necessaria per vivere una vita pienamente umana.

Dca. La storia di Giorgia Bellini, tra cadute e risalite

Giorgia bellini con i capelli castani lunghi, sorridente, con la maglietta viola, a mezzo busto, seduta su una sedia e le braccia appoggiate sulla scrivania

Da un’esperienza difficile, fatta di discese e risalite, si può rinascere. È quanto accaduto a Giorgia Bellini, che ha trasformato il suo dolore in punto di forza, trasformandolo in qualcosa di utile anche per gli altri. Per chi, come lei, soffre o ha sofferto di disturbi del comportamento alimentare (Dca). La 26enne di Ponte Felcino oggi è life coach, studentessa in Scienze dell’alimentazione, creatrice della community Giorgia Bellini Dca (solo su Instagram sono in più di 70 mila a seguirla), autrice del volume Nata due volte e fondatrice di Corabea, servizio online per aiutare, tramite l’aiuto di psicologi e nutrizionisti, chi soffre di disturbi alimentari.  Corabea, dal latino cor habeo, “agire con il cuore”, scritta che campeggia nel centro residenziale di Todi, diventato anche lo slogan di Giorgia e della sua missione: “Le persone hanno paura di iniziare un percorso di guarigione, da questo il coraggio di affrontare i Dca”.

La storia di Giorgia e dei suoi disturbi alimentari

Giorgia comincia a soffrire di disturbi alimentari verso i 12 anni, fino a essere poi ricoverata a Palazzo Francisci. Un percorso non semplice: “Anche perché quando hai un corpo socialmente accettabile nessuno si accorge di nulla”. E dopo le cadute e ricadute, durante la pandemia apre il suo profilo su Instagram, dove inizia a raccontare la sua storia: “Le persone si identificavano con me, mi scrivevano che si sentivano meno sole. Naturalmente, non essendo un medico, so che per consigli professionali o per iniziare un percorso non potevo essere d’aiuto. Così ad aprile del 2023 ho riunito un’équipe di professionisti. Attualmente sono più di 30 sparsi per l’Italia, e faccio un po’ da intermediaria”.

Mi consigliarono il ricovero

Si inizia con la classica dieta ‘fai da te’: “Mi vedevo le gambe grosse, iniziai a eliminare i carboidrati. Poi ci furono le prime abbuffate e, con il metodo compensatore, vomitavo.  A 14 anni i miei genitori mi portarono a Todi. Lì mi consigliarono il ricovero, ma non volevo interrompere la scuola, e decisi, come purtroppo fanno in tanti, di provare a farcela da sola”.

Percorso terapeutico e nutrizionale

Inizia la salita più difficile, percorso terapeutico e dal nutrizionista: “Ne iniziavo uno e poi lo abbandonavo, perché mi sembrava tutto inutile. Sono stata anche al centro di Umbertide. Finché a 19 anni arrivai a vomitare anche sette volte al giorno, non avevo più una vita e tentai il suicidio. Fui ricoverata quindici giorni in ospedale, ma la maturità mi aspettava, quindi tornai gli ultimi due mesi a scuola”.

Lentamente migliora. Il servizio online per aiutare altre ragazze/i

A ottobre un nuovo ricovero, di quattro mesi: “Lentamente ho iniziato a stare meglio. È un percorso lungo, che prosegue anche dopo. Perché le cadute sono dietro l’angolo. Fortunatamente qui in Umbria c’è una rete che funziona, ma molte ragazze, e ora anche ragazzi, non hanno la stessa fortuna. Ricordo che a Todi arrivavano dalla Puglia, Sardegna, Torino. C’è così tanta sofferenza – aggiunge ancora – e per questo ho voluto creare un servizio online, che possa arrivare dappertutto. Nel giro di una settimana siamo in grado di fissare un primo colloquio con esperti, supportiamo anche persone che per motivi di lavoro o studio sono a Londra, in Germania, Spagna. Se si tratta di un caso grave, li indirizziamo alle strutture del territorio”.

Il 15 marzo a Perugia verrà presentata la App dedicata a chi soffre di Dca

E proprio in occasione della Giornata nazionale del fiocchetto lilla, 15 marzo, nella sala dei Notari a palazzo dei Priori a Perugia verrà presentata la app. “Sarà dedicata alle persone che soffrono di Dca per poter avere il supporto necessario dei nostri esperti”. Perché spesso quello che manca è avere un po’ di attenzione in più e poter parlare con qualcuno.

Rosaria Parrilla

“La Galleria nazionale dell’Umbria è un museo meraviglioso“. Intervista al neo direttore Costantino D’Orazio

Costantino DìOrazio di profilo mentre indica con un braccio un'opera d'arte all'interno dei depositi della galleria nazionale dell'Umbria
Costantino D'Orazio, direttore della Galleria nazionale dell'Umbria

Non ha perso tempo Costantino D’Orazio, neodirettore della Galleria nazionale dell’Umbria e dei Musei nazionali di Perugia – Direzione regionale Musei Umbria. Arrivato a Perugia da circa due mesi da una città come Roma, ricca di grandi musei e collezioni d’arte, dove è stato funzionario storico dell’arte della Soprintendenza, alternando l’attività di divulgatore televisivo a quella di saggista, ha già fatto visita ai principali luoghi e musei d’arte umbri per conoscere da vicino il patrimonio culturale della nostra Regione. Una realtà sicuramente diversa, non con grandi numeri come quelli di una capitale, ma costellata da tanti piccoli musei, salvo alcune grandi e importanti raccolte d’arte come quella della Galleria nazionale dell’Umbria.

D’Orazio la definisce “un museo meraviglioso, che oggi può competere con qualsiasi museo del mondo” grazie allo “straordinario riallestimento” portato avanti dalla precedente direzione di Marco Pierini e dal suo gruppo di lavoro.  Nel corso dell’intervista ha riconosciuto più volte nella realtà museale umbra “un’enorme potenziale” su cui “ho intenzione di investire”. È recente, a proposito, un suo incontro con il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano con il quale ha potuto mettere a fuoco l’attività di rilancio dei musei umbri “per renderli protagonisti della vita culturale umbra. Nonostante siano musei di piccole dimensioni – sottolinea –, hanno un patrimonio ricchissimo”. 

E ricorda come esempio la collezione del Museo archeologico di Orvieto, “che non ha nulla da invidiare alla sezione antica del Metropolitan di New York. Deve solo essere raccontata meglio e valorizzata dal punto di vista espositivo. Risale a più di vent’anni fa, se non di più, per esempio l’allestimento del Museo archeologico nazionale di Spoleto o del piccolo Antiquarium di Gubbio. Oggi la museografia è completamente cambiata, le esigenze del pubblico sono cambiate. Grazie ai fondi del Pnrr lavoreremo sul loro riallestimento, che sarà più contemporaneo, più narrativo e più accattivante, organizzando iniziative che possano renderli protagonisti nella Regione, ma anche a livello nazionale”.

Come intende proseguire l’attività alla Galleria nazionale? Nella sua prima conferenza stampa a Perugia ha citato tre parole chiave: ricerca, accessibilità, coinvolgimento.

“Il mio sarà un lavoro nella continuità. Per quanto riguarda l’allestimento non toccherò nulla, se non la sala 39 dedicata al Novecento. Già con Pierini era stata concepita come una sala le cui opere avrebbero ruotato. E la rotazione si concentrerà su focus dedicati ai fenomeni artistici del Novecento e degli anni Duemila. Tra pochi mesi si partirà con un progetto dedicato all’Arte povera. Per il resto rimarrà tutto come è oggi, a parte qualche prestito temporaneo. E poi lavoreremo sull’accessibilità, per permettere alle persone con disabilità di usufruire sempre della Galleria, non solo in occasione di iniziative create ad hoc per loro. Sono già partiti dei lavori, finanziati dal Pnrr, per dotare le sale di supporti tattili, strumenti Lis per la spiegazione delle opere e altri supporti che faranno uso delle nuove tecnologie. In programma c’è anche l’uso dell’intelligenza artificiale, ma non posso anticipare nulla”.

In passato la Galleria ha dedicato spazio a mostre temporanee di fotografia. Intende continuare anche su questa linea?

“La fotografia avrà una sua ‘casa’ e sarà presente in modo permanente. Anche qui, non posso ancora entrare troppo nei dettagli”.

Proseguiranno anche le collaborazioni fuori Regione e d’Italia?

“Al momento stiamo lavorando ad un’iniziativa in programma il 20 aprile, che porterà parte della collezione della Galleria fuori dall’Umbria. Questo perché diventi non solo punto di riferimento a Perugia, ma porti Perugia e l’Umbria fuori Regione e su platee anche internazionali”.

Di recente si è prestato a fare da guida alle visite nei Depositi della Galleria, ed è stato subito un gran successo. Verranno riproposte?

“Il 16 febbraio è in programma la seconda visita dell’iniziativa ‘Posso venire anch’io’, dopo quella del 14 che ho condotto io… con il mio cane. Sarà infatti possibile entrare con i propri animali di piccola taglia in Galleria, naturalmente in braccio o con un trasportino. Le altre date saranno il 17-18 e 24 febbraio. Sarà un viaggio alla scoperta degli animali presenti nelle opere della collezione. Le visite ai depositi verranno riprese in autunno”.

Il 9 marzo verrà inaugurata la mostra sul Maestro di San Francesco.

“Sarà una mostra di altissimo livello scientifico, che avrà per titolo L’enigma del Maestro di San Francesco . Perché in realtà è la sua personalità a rappresentare un enigma. Non sappiamo neppure chi fosse; la mostra ci fornirà indizi per capire un po’ meglio chi sia, e per conoscere qualcosa di più sulla nascita dell’iconografia francescana dopo la morte del Santo. Avrà un allestimento spettacolare e grazie all’uso delle nuove tecnologie e con la collaborazione del Sacro Convento di Assisi riusciremo a restituire il genio del Maestro di San Francesco”.

In chiusura non possiamo non chiedere se intende proseguire nella sua attività di divulgatore, magari per raccontare i nostri musei e le tante bellezze artistiche della nostra Regione.

“A gennaio ho già dedicato due puntate del programma Ar Frammenti d’arte su Rai News 24 alla Galleria nazionale, e sicuramente nel corso dell’anno avrò modo di tornare a parlare dell’Umbria. C’è inoltre una convenzione in atto tra la Regione e la Rai, che nei loro programmi dedicati al territorio prevede delle tappe nella Regione. E sono stato coinvolto”.

La “dimenticata” tragedia del popolo in Etiopia: la fame

Quella che si sta consumando in Etiopia è una fame dimenticata che fa più morti di un conflitto armato. Nel Tigray e nella vicina regione dell’Amahara non ci sono riflettori accesi che documentino la migrazione di popoli seguita al conflitto. La guerra è stata inizialmente negata dalle autorità etiopi davanti al consesso internazionale ma in realtà si è abbattuta – lancinante e tragica – su una popolazione già fortemente provata.

Nei giorni scorsi, Oxfam ha fornito dati sconvolgenti che fanno pensare a una vera e propria carestia che interessa 3 milioni e mezzo di persone vittime delle conseguenze della guerra e dei cambiamenti climatici. Le scarne notizie che riescono a penetrare il blackout mediatico imposto dal governo, provengono dalle organizzazioni impegnate sul terreno e dalla diocesi di Adigrat e ci confermano l’emergenza umanitaria con i volti e le storie delle persone a conferma dei dati che potrebbero apparire freddi. Purtroppo in questo momento non c’è alternativa all’aiuto internazionale e alla solidarietà delle microazioni e per questo bisogna mobilitarsi con decisione.

Stato sociale necessario. Ma chi paga?

La stampa e le televisioni locali hanno dato un certo rilievo al confronto che si sta svolgendo in Umbria fra la Regione e gli istituti che gestiscono le residenze protette per anziani non autosufficienti, o più semplicemente case di riposo. La questione nasce per il fatto che nella maggior parte dei casi le famiglie non sono più in grado di accudire direttamente gli anziani non autosufficienti; non tanto per una difficoltà economica, quanto a causa dell’invecchiamento generale della popolazione; diciamo pure, più crudamente, perché nelle famiglie ormai ci sono più vecchi che giovani, o addirittura i giovani mancano del tutto. Sicché è sempre più frequente che si bussi alla porta di un istituto specializzato.

Nello stesso tempo, è acquisito nella coscienza collettiva il principio che la società debba farsi carico dell’accudimento degli anziani non meno di quanto si fa carico – con la scuola pubblica – della istruzione dei ragazzi. E si è acquisito anche il principio che l’anziano ospitato in una casa di riposo ha diritto a ben più del minimo indispensabile per tenersi in vita; gli si deve offrire anche una buona qualità della vita, con una assistenza completa e qualificata e con tutti i servizi opportuni per il suo benessere fisico e psichico. Con questi criteri mantenere una persona anziana in un istituto apposito è divenuto molto costoso; perché poi ci sono tutti quelli che in questi istituti ci lavorano e che hanno a loro volta i sacrosanti diritti che la legge riconosce ai lavoratori.

Non a caso il modello di Stato nel quale viviamo – bene delineato nella nostra Costituzione – si chiama “stato sociale” e si propone di esaudire i bisogni individuali di ciascuno. Ma in questo mondo non c’è nulla di gratis; perché, appunto, ci sono i diritti delle persone che hanno bisogno di assistenza, ma ci sono anche quelli delle persone il cui lavoro consiste nell’assistere quelli che ne hanno bisogno. Il tutto funziona abbastanza bene fino a che una collettività nazionale è in fase di crescita, dal punto di vista economico come da quello demografico; ma se il meccanismo rallenta o addirittura si ferma (è il caso dell’Italia da venti o trenta anni a questa parte), a un certo punto ci si accorge che le risorse sono divenute scarse e qualcuno dovrà fare sacrifici. Ma chi? È questa la domanda alle quale nessuno sa rispondere.

Le Ceneri, vero ‘san Valentino’

Foto di Grzegorz Krupa da Pixabay

Quest’anno il Mercoledì delle ceneri è capitato quando, in altri momenti, avrebbe dovuto esserci la ricorrenza di san Valentino. Ricorrenza laicissima, perché san Valentino – tranne che a Terni – nella sua versione attuale nasce come espediente commerciale in un periodo equidistante dalle celebrazioni più importanti, e nondimeno è apprezzata dalle coppiette di tutto il mondo per la retorica romantica che vi sottende, che si dice risalga addirittura all’amor cortese rinascimentale. In ogni caso, quest’anno non se ne fa nulla: ceneri sul capo al posto di cioccolatini, digiuno al posto di cenette, penitenza e confessione dei peccati al posto di frasi melense e proclami lirici.

Tutto questo è molto eloquente, vista la condizione attuale del mondo, nel quale non si rischia, ma è già in atto, l’incipit di una guerra mondiale “a pezzi”, come la definì Papa Francesco qualche tempo fa. Le ceneri che ci si palesano davanti non sono infatti solo quelle benedette della liturgia, ma quelle tremende dell’intera società umana.

Due fidanzati, ovvero due persone che hanno in animo di costruire insieme qualcosa di bello, è proprio dal Mercoledì delle ceneri che dovrebbero partire. Perché dovranno capire che l’atteggiamento da avere l’uno verso l’altro, se vorranno imparare ad amarsi, è quello della cura, dove il baricentro si sposta da me verso l’altro, ma per imparare ad avere cura devo mettere a digiuno il mio ego, che vorrebbe sempre mangiarsi l’altro per riempire i propri vuoti; devo coltivare la compassione per le altrui fragilità, e devo chiedere a Dio la forza di trascendere me stesso in un atto di vero e libero amore.

Realtà misteriosa che dimora in una galassia tanto lontana dal pianeta sentimentalismo, e che ha a che fare più con la natura divina che con i sentimenti umani. Digiuno, elemosina (cioè misericordia), preghiera: le “armi” della penitenza quaresimale si rivelano essere i requisiti fondamentali per imparare ad amare, e per scoprire che, alla fine, riuscire a impararlo davvero, nonostante tutti i nostri sforzi pure necessari, sarà una grazia, cioè un dono di Dio. Come una resurrezione. “In ogni tempo e condizione di vita è indispensabile la grazia di Dio; ne avvertono più che mai il bisogno i fedeli che si preparano a formare una nuova famiglia” recita il rito di benedizione dei fidanzati riportata dal Benedizionale.

La Quaresima serve per ricordarci questa necessità della grazia, permettendoci di esplorare per 40 giorni le ferite della nostra natura e le insidie tese dalla tentazione, e questo potrà portarci, se lo vorremo (quante Quaresime abbiamo sprecato finora?) a uno sguardo realista su noi e sugli altri, uno sguardo che può generare in noi sincera compassione, embrione dell’amore.

Questo nel piccolo della coppia come nel grande della geopolitica: mi piace sognare una realtà in cui i Capi di Stato sappiano tornare ognuno alla propria interiorità, ed esaminando con l’aiuto di Dio sinceramente se stessi, si rendano conto di quante assurdità si rischia di fare quando le briglie si lasciano alle passioni disordinate, e di quanto sia importante fare penitenza, cioè mettersi in discussione e tendere la mano, così da estinguere tutti i fuochi della guerra e lasciare solo le ceneri di conflitti finiti, da cui l’umanità, come una fenice, possa rinascere nella pace.

Alessandro Di Medio

Quaresima. L’arcivescovo Maffeis: “Si apre davanti a noi un tempo di grazia…”

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Il Rito dell'imposizione delle Ceneri

Con il Mercoledì delle Ceneri (14 febbraio) i cristiani entrano nella Quaresima, cammino di fede in preparazione alla Pasqua di Risurrezione vissuto con particolare raccoglimento spirituale, sobrietà, penitenza, digiuno e sostegno alle opere di carita’. Nelle chiese viene celebrata l’Eucaristia con il rito della benedizione e imposizione delle Ceneri, l’atto penitenziale con cui i fedeli iniziano il cammino di conversione quaresimale.

“Si apre davanti a noi un tempo di grazia in cui, come sottolinea il Messaggio del Papa,  “Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù” e faccia propria quella “chiamata vigorosa alla libertà”, che matura in un cammino“.

A evidenziarlo è l’arcivescovo monsignor Ivan Maffeis nella sua lettera rivolta alla comunità cristiana di Perugia-Città della Pieve in vista della Quaresima, con un richiamo alle schiavitù che fanno sì che siamo ancora sotto il dominio del Faraone, un dominio che non è solo esteriore, ma tocca l’interioritàPossiamo attaccarci al denaro, a certi progetti, idee, obiettivi, alla nostra posizione, a una tradizione, persino ad alcune persone. Invece di farci incontrare, ci contrapporranno“.

“La Quaresima -prosegue l’arcivescovo- ci provoca a uscire da questi orizzonti chiusi, che portano a “vagare nella vita come in una landa desolata, senza una terra promessa”. Per stare alla presenza di Dio e del fratello, ci propone di saperci fermare in preghiera, in una frequentazione più assidua della Parola del Signore, che porti a recuperare la dimensione contemplativa della vita”.

Monsignor Ivan Maffeis propone anche due segni di condivisione concreta da promuovere nelle comunità parrocchiali.

“Domenica 10 marzo le offerte saranno destinate alla Caritas diocesana, impegnata a restituire dignità e ad accompagnare diverse migliaia di persone.

Venerdì Santo (29 marzo) si terrà una seconda colletta di questo tempo che ci accompagna a Pasqua – scrive l’arcivescovo –, quella per la Terra Santa… Nella drammatica situazione odierna, tale vicinanza è indispensabile per permettere alla Custodia di sostenere la presenza dei cristiani a Gaza, a Betlemme e a Gerusalemme, il mantenimento dei Luoghi Santi come delle attività pastorali e delle opere sociali – scuole, case per anziani, ospedale – che vanno a beneficio di tutti, in particolare dei più bisognosi”.

San Valentino, solenne pontificale presieduto dal vescovo Soddu

pontificale san valentino
Un momento del solenne pontificale in onore del patrono di Terni San Valentino

In una cattedrale gremita di fedeli è stata celebrata domenica 11 febbraio la festa diocesana di San Valentino, con il solenne pontificale presieduto dal vescovo Francesco Antonio Soddu di Terni- Narni-Amelia , nella giornata mondiale del Malato, concelebrata da monsignor Salvatore Ferdinandi, vicario generale della Diocesi, padre Angelo Gatto direttore dell’ufficio pastorale della salute, padre Johnson Perumittath parroco di San Valentino, i vicari foranei ed episcopali, il clero diocesano. Alla celebrazione hanno partecipato il  prefetto di Terni Giovanni Bruno, il presidente delle Regione Umbria Donatella Tesei, il vice sindaco di Terni Riccardo Corridore, il vice presidente della Provincia di Terni Gianni Daniele, il questore Bruno Failla, la consigliera regionale Eleonora Pace, le autorità militari regionali e provinciali, i sindaci dei Comuni del comprensorio diocesano, i cavalieri e dame dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, i rappresentanti delle associazioni e movimenti della Diocesi, alcuni malati accompagnati dai volontari dell’Unitalsi, i rappresentanti del mondo del lavoro, della scuola.

La parte musicale della celebrazione è stata curata dal Coro Diocesano diretto da don Sergio Rossini e da un gruppo strumentale del liceo musicale ‘F.Angeloni’ di Terni.

Durante il pontificale vice sindaco Corridore ha acceso la lampada votiva e pronunciato l’atto di affidamento della città al Santo Patrono, segno di devozione e della disponibilità degli amministratori pubblici ad essere attenti ai bisogni della comunità e a promuovere con onestà e saggezza ciò che giova al bene comune.

La festa del patrono della città di Terni, san Valentino è per la comunità cittadina un’occasione per riflettere sull’identità della città alla luce della testimonianza di san Valentino che ha plasmato cristianamente la città di Terni durante il suo lungo ministero episcopale, come maestro, padre dei poveri e dei giovani innamorati, di custode dell’amore.

Terminato il pontificale, la processione cittadina ha accompagnato l’urna del santo per il rientro nella basilica di San Valentino, lungo le vie della città, passando davanti al palazzo Comunale, la chiesa del Sacro Cuore a città Giardino e quella di Santa Maria del Carmelo, fino al colle dove si trova la chiesa che custodisce le reliquie e la memoria del Santo.

La processione è stata accompagnata dai gonfaloni del Comune, Regione e Provincia e da quelli delle confraternite, insieme ai rappresentanti di movimenti e associazioni diocesane, dalle istituzioni civili e militari presenti alla celebrazione del pontificale, dai figuranti in abiti storici. Sul sagrato c’è stato la preghiera del presidente dell’Azione Cattolica diocesana Rita Pileri: « E tu, Valentino, intercedi per noi, e per tutta l’umanità. Per tutte le volte in cui ci siamo voltati dall’altra parte, per tutte le volte in cui non abbiamo saputo difendere i più deboli, per tutte le volte in cui non abbiamo saputo amare anche se credevamo di saperlo fare. Per tutte le volte in cui abbiamo offeso, ferito, tradito, violato, ucciso. Spinti dal tuo esempio sappiamo essere capaci di usare parole garbate nello spazio privato e soprattutto nello spazio pubblico, parole di misericordia e di giustizia, che non offendono o denigrano. Con il tuo aiuto vorremmo che la nostra città sia luogo di dialogo sereno e costruttivo, del rispetto delle persone, delle regole e delle istituzioni, una città capace di discernere il presente per progettare un futuro in cui tutti si sentano accolti».

La benedizione del vescovo Soddu ha concluso la liturgia che ha solennemente celebrato in città il patrono di Terni San valentino. L’urna è stata quindi riposta all’interno della basilica alla venerazione dei fedeli.

L’OMELIA DEL VESCOVO

Carissimi fratelli e sorelle,

mentre celebriamo con la Chiesa universale la VI domenica del tempo Ordinario ed anche la 32 giornata mondiale del malato, la nostra chiesa diocesana unisce a queste circostanze i festeggiamenti in onore del proprio Patrono, san Valentino.

In questa felice convergenza di eventi, la Parola di Dio è tutta concentrata sulla malattia e in particolare sulla lebbra.

Nella storia del popolo di Israele, lo abbiamo sentito nella prima lettura, chi contraeva tale malattia, per legge doveva essere bandito dalla comunità, tenuto lontano, molto distante e vivere in solitudine una vera e propria situazione di emarginazione, di scarto. L’unica possibilità di vicinanza con le persone che poteva essergli consentita era quella con i propri simili, ossia con gli altri lebbrosi.

In questa domenica abbiamo davanti a noi la figura di san Valentino, il quale ha saputo cogliere nella propria esperienza di vita la parola di Dio fatta carne e nella propria carne, nella sua persona, l’ha resa evidente in ogni tratto: dall’essere vescovo, pastore premuroso del gregge di questa chiesa di Terni, alla delicata vicinanza verso i malati nel corpo e nello spirito, compiendo e rendendo vivi e veri quei gesti che Gesù aveva consegnato agli apostoli con le parole: “Guarite i malati, mondate i lebbrosi…”.

In questa occasione celebrando pure la 32 giornata mondiale del malato, Papa Francesco ha consegnato al mondo un messaggio dal titolo, tratto dalle parole del libro della Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo”, esortando tutti a curare il malato avendo cura delle relazioni. mette in risalto un aspetto che in filigrana ci riguarda tutti, infermi o sani che siamo, ed è dato dalla malattia che affligge la società attuale e dunque anche la nostra città e il nostro territorio, ossia la povertà delle relazioni. Anche le relazioni non sane, malate, che minano la nostra salute a qualsiasi livello di rapporto, dall’interpersonale al familiare al sociale.

Il nostro san Valentino, così attento a ogni tipo di buona relazione è per noi esempio affinché sentiamo vibrante e vero quanto solo l’amore mette in atto a favore delle buone relazioni tra le persone, ossia quelle che mirano alla comunione e non alla divisione o disgregazione; quelle che mirano alla edificazione e non alla distruzione; quelle che cercano di costruire ponti e non di innalzare muri.

Quest’anno, collegato e ispirato al cammino sinodale e al programma pastorale diocesano, per le manifestazioni valentiniane abbiamo scelto lo slogan “Camminiamo insieme” dando così ulteriore risalto a quanto ancora papa Francesco scrive nel messaggio per questa giornata: “In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù…. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione”.

San Valentino illumini col suo esempio la nostra città, il nostro territorio, la nostra Diocesi, a partire dalla famiglia, spesso anche disastrata, malata o corrosa dalla lebbra delle molteplici criticità, ad avvicinarsi a colui che solo può col suo tocco compassionevole e pieno di amore guarire ogni tipo di male e di malattia. Se questo non avviene sarà segno evidente che la guarigione non si desidera affatto.

Carissimo san Valentino, nostro Patrono, concedi alle nostre menti, ai nostri cuori la luce necessaria e alle nostre volontà la forza per avvicinarci a Gesù medico delle anime e dei corpi.

Qualora ti dovessi accorgere che questo è ancora troppo lontano dai nostri desideri, conduci e guida gli eventi; tessi tu le trame delle diverse vicende, affinché i nostri sentieri possano imbattersi e convergere verso l’unica strada della vita, nel Signore Gesù, via verità e vita.

Amato san Valentino, guida e illumina con il tuo sguardo di pastore mite e forte coloro che sono preposti alla guida della società, affinché antepongano sempre il bene comune a ogni visione di parte. Mostrati esempio di vita

. a tutti coloro che con fatica sognano la costruzione di una famiglia,

. a tutti coloro che ricercano la felicità attraverso la giusta realizzazione personale,

. agli adolescenti e giovani perché sappiano usare sapientemente il tempo e le buone occasioni della vita.

. a quanti soffrono nel corpo e nello spirito e faticano nel condurre una vita dignitosa, affinché attraverso la cura delle nostre relazioni possano sentire il calore della mano del Signore che salva.

Amato patrono san Valentino, facendomi interprete dei sentimenti del gregge a me affidato, così come lo fu per te, affido all’intercessione di Maria santissima questi desideri, perché dalle sue mani possano ritornare a noi colmi della benedizione della Santissima Trinità”.

 

 

Agricoltura chiama Unione europea

Un trattore in primo piano davanti al parlamento europeo di Strasburgo
Strasburgo, 6 febbraio 2024: manifestazione degli agricoltori con i trattori davanti al Parlamento europeo - foto SIR/Marco Calvarese

Uniti contro l’Europa, ma divisi al proprio interno: a guardare le cronache delle proteste agricole di questi giorni, parrebbe così. Gli agricoltori di buona parte dei Paesi dell’Ue hanno mosso i trattori verso Bruxelles spinti da un sentimento: “Questa non è l’Europa che vogliamo, questa non è la politica agricola che vogliamo”.

In realtà, le motivazioni dietro le proteste appaiono diversificate a seconda delle agricolture e quindi degli Stati. Uno solo il denominatore comune: una magma incandescente che non solo rischia di travolgere alcuni pilastri della Politica agricola comune (Pac), ma che, in alcuni casi, vorrebbe mettere in discussione il sistema stesso della rappresentanza agricola.

In Italia, da nord a sud, nuclei di trattori hanno bloccato alcuni caselli autostradali e altri svincoli cruciali, tra cui Orvieto. Gruppi estemporanei di coltivatori riuniti in sigle comparse recentemente come quella dei “ Comitati riuniti agricoli” che in alcuni casi si sono definiti “agricoltori traditi”. Obiettivo dichiarato: arrivare fino a Roma, sotto palazzo Chigi.

Più caute le organizzazioni strutturate che, come Coldiretti, rivendicano già qualche risultato. Ettore Prandini, a capo dell’organizzazione dei coltivatori diretti, ha dichiarato: “Continueremo finché l’Europa non darà le risposte che il mondo agricolo merita. Ci servono più fondi, non tagli”. In un’altra occasione ha dichiarato: “Chiediamo alle future istituzioni Ue di iniziare fin da subito a riflettere su come adattare la futura Pac alle rinnovate esigenze di redditività e competitività delle imprese agricole nel nuovo scenario internazionale”. Qualcosa, in effetti, è già stato ottenuto. La Commissione Ue ha fatto sapere che si sta lavorando a un pacchetto di proposte con l’obiettivo di alleggerire il carico burocratico sulle imprese.

La stessa Commissione ha però in un certo modo scaricato il dovere anche sui Governi nazionali: nella nuova politica agricola, da qui al 2027 ai singoli Stati è infatti affidato il compito di “disegnare schemi e programmi che funzionino per i nostri agricoltori, per la nostra sicurezza alimentare, per gli obiettivi climatici e di sostenibilità”. Oltre alle grandi strategie, d’altra parte, la Commissione ha già proposto una deroga al blocco delle coltivazioni dei terreni, che era uno dei motivi che aveva scatenato la rivolta.

Dal canto suo, il Governo italiano ha ricordato di essere stato molto attento alle esigenze del settore, portando le risorse Pnrr dedicate ai campi da 5 a 8 miliardi di euro. Situazioni composite, invece, in altri Paesi Ue, in cui tra concessioni e proroghe, comunque, qualcosa per allentare la tensione è stato fatto. Sulla lista della spesa degli agricoltori ci sono temi come l’attenzione ai giovani, la correzione del cosiddetto Green Deal, la questione delle etichette e della protezione dalle imitazioni. Per non parlare del grande tema della protezione nei confronti dei prodotti extra-Ue che, proprio nelle ore della protesta a Bruxelles, ha fatto segnare un punto a favore dei produttori agricoli: il blocco dell’intesa tra Ue e area Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay). Un fermo che però, probabilmente, sarà solo temporaneo, visti i grandi interessi in gioco sull’accordo.

Cosa accadrà a questo punto? Difficile fare previsioni; più facile prevedere che l’Europa arriverà a un compromesso ampio, che possa far superare le proteste, contemperando esigenze dei produttori con quelli di bilancio, senza dimenticare la necessità degli equilibri internazionali e di quelli ambientali.

Andrea Zaghi

Rsa, servizio a rischio. Appello alla Regione: “Parliamo”

Ha sollevato grande attenzione la lettera/comunicato diffuso alla stampa la scorsa settimana da sette gestori di servizi sociosanitari, che offrono al territorio regionale circa 500 posti letto per ospiti non autosufficienti in regime di convenzione con il Servizio sanitario regionale. Rappresentano quel sistema regionale che offre circa 1.700 posti letto, ma ne servirebbero molti più di duemila. E nei prossimi anni la domanda per questo servizio non è certo destinata a diminuire.

Le sette strutture che chiedono l’aggiornamento
delle tariffe dei servizi convenzionati

Le sette strutture (Fondazione Fontenuovo, Opere Pie Donini-Fondazione, Fondazione Sodalizio San Martino di Perugia, Fondazione Creusa Brizi Bittoni di Città della Pieve, Fondazione Casa Serena Zefferino Rinaldi di Magione, Opera Pia Bartolomei Castori di Foligno, Residenza Protetta San Giovanni Bosco di Castel Viscardo) si sono fatte voce di una esigenza che riguarda tutto il settore: l’aggiornamento delle tariffe dei servizi convenzionati.

A dicembre avevano già richiesto un confronto
con l’Amministrazione regionale

La scelta di diffondere una nota alla stampa è maturata dopo aver atteso invano un riscontro alla lettera che avevano inviata all’Amministrazione regionale il 22 dicembre scorso, nella quale “chiedevano urgentemente un confronto in merito alla perdurante inadempienza della Regione al suo obbligo, riconosciuto per legge, di adeguare periodicamente le tariffe dei servizi convenzionati alla dinamica dei costi”.

Come funziona il sistema

Ma perché è così importante la decisione della Regione? Il sistema funziona così: la Regione stabilisce le caratteristiche del servizio (dai pasti a quanti operatori sociosanitari, infermieri, medici, devono essere presenti nella struttura, ai requisiti degli alloggi) e stabilisce quale è la tariffa che la struttura può applicare agli ospiti. Questa tariffa per il 50% è coperta dal Servizio sanitario regionale e per il 50% dall’assistito (salvo casi di indigenza nei quali intervengono i servizi sociali) Il punto è che mentre la Regione pone obblighi stringenti sulla qualità del servizio in termini di prestazioni e standard di servizio crescenti (per esempio assistenza infermieristica giorno e notte) le strutture neppure volendo possono decidere di far pagare di più gli assistiti.

Ma nel frattempo devono sostenere costi crescenti per l’adeguamento dei contratti di lavoro dei dipendenti o, banalmente per l’aumento del costo della vita. “Lo squilibrio crescente fra i costi e le entrate – hanno denunciato le strutture che hanno diffuso la nota alla stampa – mette le strutture in una situazione di oggettiva difficoltà economica che espone a rischio la loro stessa sopravvivenza o quanto meno la continuità del servizio convenzionato”.

Promesse non mantenute

In Umbria le tariffe sono ferme da vent’anni, con piccoli aggiornamenti. Nel marzo 2022, sccrivono gli Enti gestori nella nota, la Regione “aveva proposto (di fatto imposto) agli enti gestori un ‘accordo ponte’, da valere fino al 31 dicembre 2022, con un adeguamento solo parziale delle tariffe ai costi e con la promessa di un adeguamento completo a decorrere dal 1° gennaio 2023. Ma il 2023 è trascorso, è iniziato il 2024 e dei nuovi provvedimenti attesi non si è più sentito parlare”.

Situazione insostenibile

Gli enti gestori dei servizi sono enti senza scopo di lucro. A rischio quindi non è il loro profitto ma il servizio dato alle famiglie “Consapevoli del ruolo che è loro proprio al servizio della Comunità e del prestigio che caratterizza la rappresentanza di Enti che costituiscono un bene collettivo e identitario della Comunità stessa, gli Amministratori si augurano di continuare ad essere parte integrante del Sistema sanitario regionale, nella consapevolezza però che i patrimoni affidati alla loro responsabilità non possano essere compromessi in conseguenza di una incomprensibile sottrazione alla propria responsabilità da parte di chi rappresenta pro tempore l’Istituzione regolatrice”.

È una richiesta di metodo

La seconda richiesta che le strutture pongono alla Regione è di metodo.  “In questo quadro, nella riunione del 19 gennaio le strutture hanno ribadito la necessità di proseguire nella propria attività di coordinamento e nella volontà di rivendicare il diritto ad un confronto leale e costruttivo con la Regione” scrivono nella nota stampa.

Il clamore mediatico suscitato dalla nota ha avuto un primo effetto, quello di far sapere alle strutture che nelle stanze della Regione c’è chi sta facendo i conti per ridefinire le tariffe, e per farlo ha anche iniziato ad ascoltare diversi soggetti (associazioni di categoria, sindacati, cooperative) in qualche modo rappresentativi del territorio e dell’utenza; ma non ha previsto (almeno sinora) un dialogo esplicito e diretto con gli enti gestori intesi come controparte contrattuale.  Gli enti gestori invece ritengono che sia necessaria o comunque opportuna una trattativa diretta.

Come si calcola il costo del servizio?

C’è poi un problema. Come stabilire il costo del servizio? Si potrebbe pensare si possa fare stilando un elenco analitico dei singoli costi pro capite del mantenimento degli ospiti (esempio: quanto costa giornalmente il vitto di ciascuno?). In realtà, spiegano i responsabili degli Enti gestori, non è così semplice perché se si vuol fare un calcolo analitico le voci di costo sono infinite: quanto costa il personale amministrativo? Ma, prima ancora, di quanto personale amministrativo ha bisogno una casa con 50 ospiti? E poi: quanto costano le pulizie? “uanto costa il riscaldamento? “uanto costano i vari consulenti necessari (dal consulente per il lavoro a quello per la sicurezza, ecc. ecc.).  Poi ci sono i costi per le attrezzature, o i costi per interventi straordinari di manutenzione delle strutture, ecc.

La difficoltà aumenta se si considera che tutti i costi che si vogliono calcolare non sono fissi nel tempo, al contrario aumentano tutti – quale più quale meno – e perciò nel momento in cui si arriverà a stabilire la “tariffa omnicomprensiva” si dovrebbe subito stabilire a quale scadenza e con quale metodo si dovrà provvedere all’aggiornamento.

Gli enti gestori sono ancora in attesa di una risposta ufficiale dalla Regione. L’auspicio è che si apra un tavolo di confronto con tutti i soggetti (enti gestori, famiglie, sindacati dei lavoratori, ecc) e che si giunga al più presto ad una soluzione che consenta di mantenere e possibilmente incrementare un servizio che già oggi non copre le necessità degli umbri.

Claudio Bisio incontra studenti universitari con disabilità

L'attore Claudio Bisio con gli studenti universitari, tutor e genitori

Un gruppo di ragazze e ragazzi con disabilità che emozionatissimi si stringono forte forte l’una all’altro, sorridendo. In mezzo sbuca la faccia da monello di Claudio Bisio che, in occasione del suo spettacolo La mia vita raccontata male presentato al teatro Morlacchi di Perugia, ha voluto dedicare una recita speciale agli studenti e alle studentesse inseriti nel servizio di tutorato specializzato, promosso dall’Università degli studi di Perugia e gestito dalle cooperative sociali Frontiera lavoro e Borgorete, incontrandoli al termine di questa sorta di prova generale.

Claudio Bisio racconta il suo essere stato studente
di liceo a Milano, poi il mondo dello spettacolo

Le domande si susseguono veloci e incalzanti. “Ma tu, Claudio, che studente sei stato?”, domanda Andrea, 20 anni, che frequenta il corso di Storia del teatro italiano. “Ho fatto le superiori a Milano, liceo scientifico ‘Luigi Cremona’, sezione D. Erano gli anni Settanta, quindi c’è tutto un capitolo di politica e occupazione delle scuole. Probabilmente sono stato un pessimo studente, ma in verità ho studiato tanto, ho fatto una maturità brillante. Bisognerebbe chiederlo ai miei vecchi professori che studente sono stato. Alcuni mi hanno amato, penso all’insegnante di Italiano e di Storia, altri mi hanno odiato perché non ero sempre in classe, ma alla fine ce l’ho fatta. Subito dopo mi sono iscritto ad Agraria, sedici esami ma non mi sono mai laureato, dovendo alternare gli studi alle prime esperienze nello spettacolo”.

“Rappresentate un’esperienza bella. Siete un esempio di energia, intelligenza, forza di volontà e coraggio”

La giornata trascorsa insieme a teatro è stata una finestra aperta verso l’esterno, usato come mezzo per abbattere le barriere delle diversità. “Utopia – prosegue Bisio – è saper guardare sempre un po’ più in alto. Magari non si raggiunge la meta, ma ci si eleva. Altrimenti si resta sempre in basso. Oggi tutti, purtroppo, pensano in piccolo. Voi rappresentate, invece, un’esperienza bella e intensa che trasmette tanta energia, un esempio di intelligenza, forza di volontà e coraggio”. Le parole dell’attore milanese sono di incoraggiamento per questi studenti davvero unici.

Le parole di Beatrice

“Sono tanto emozionata per questo incontro a teatro – dice Beatrice, prossima alla laurea in Psicologia-. Sto per raggiungere un bellissimo traguardo grazie alla mia determinazione. Mi è tanto di aiuto la mia tutor che mi affianca nella preparazione della tesi di laurea. Lo spettacolo è bellissimo, ho riso tanto, mi ha fatto pensare”.

Claudio Bisio, attraverso il repertorio letterario di Francesco Piccolo, intraprende un viaggio agrodolce tra vita pubblica e privata, reale e romanzata. Dai primi momenti di trascurabile felicità alle scelte, anche sbagliate, spesso tragicomiche. Perché la vita – sembra dirci questo viaggio nella vita del protagonista – spesso non la si vive come vorremmo noi, ma come vuole ‘lei’.

Le parole di Lorenzo

“Io non sono la mia carrozzina, così come nessuno sarà mai il suo paio di scarpe. Ognuno di noi è le proprie abilità, non le proprie difficoltà”, incalza Lorenzo, ventenne dal sorriso facile e dalla spiccata autoironia, capace di affrontare ogni impresa, piccola o grande, senza farsi condizionare dalle limitazioni che una patologia gli impone dalla nascita, come dimostrano i tanti esami universitari superati brillantemente.

Bisio: “mettere al centro la persona con i suoi limiti”

“Abbiamo bisogno – conclude Bisio – di una cultura che metta al centro la persona con i suoi limiti. Questo vale per tutti, per chi ha problemi fisici, per chi ha perso il lavoro, per chi ha delle difficoltà. La diversità ci fa paura perché non la conosciamo, e quindi non siamo in grado di gestirla”. Occhi lucidi alla fine di questo incontro per i tanti momenti emozionanti che ci fanno vedere che quelle ragazze e quei ragazzi non sono “speciali”: sono normali, e “la vita è bella anche quando non è bella”.

Luca Verdolini

Perugia, Città di Castello e Gubbio celebrano insieme san Francesco di Sales

L'incontro dei vescovi Maffeis e Paolucci Bedini con giornalisti e comunicatori di Perugia, Gubbio e Città di Castello

È stato un incontro partecipato e proficuo tra vescovi, giornalisti e operatori dei media, quello che si è tenuto la mattina del 3 febbraio nella Sala San Francesco dell’Arcivescovado di Perugia, a pochi giorni dalla memoria liturgica di san Francesco di Sales, patrono degli addetti all’informazione e comunicazione, che si ricorda ogni anno il 24 gennaio.

La riflessione sulla comunicazione

Sono intervenuti l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, delegato della Conferenza episcopale umbra (Ceu) per le Comunicazioni sociali, il vescovo delle diocesi di Città di Castello e di Gubbio, mons. Luciano Paolucci Bedini, e i rappresentanti dell’Ordine regionale dei Giornalisti e dell’Associazione stampa umbra (Asu-Fnsi), le vice presidenti Donatella Binaglia e Noemi Campanella. Promosso dagli Uffici diocesani per le Comunicazioni sociali delle tre diocesi e dalla sezione umbra dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi), l’incontro è stato un’occasione di riflessioni sul presente e sul futuro del mondo dei media con non poche criticità, ma anche con altrettante potenzialità e professionalità, alla luce del recente messaggio di papa Francesco per la LVIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali incentrato sull’Intelligenza Artificiale, “per una comunicazione pienamente umana”.

Le videointerviste

Il dialogo su Chiesa e media in Umbria

Diversi gli stimoli giunti al riguardo dagli stessi presuli e condivisi dagli operatori dei media, dando vita a un confronto e scambio di idee e di ascolto reciproco con l’intento comune di darsi appuntamento annualmente tra Pastori delle Chiese umbre e il mondo dei media. Questo nell’accogliere l’invito dei primi ad avere capacità di discernimento, fare un’informazione vera, nel rispetto delle regole e dare voce a quanti vivono ai margini della società. I Vescovi, nel contempo, non hanno esitato a chiedere agli operatori dei media di indicare le criticità della comunicazione della Chiesa. Questi ultimi hanno apprezzato e incoraggiato i due Pastori per aver voluto insieme l’incontro annuale della festa di san Francesco di Sales, la cui finalità è quella di essere sempre più Chiese che superano i confini pastorali, aperte alla collaborazione, unite e in dialogo tra loro e con gli altri, perché a trarne beneficio è l’intera società. Un esempio da imitare anche al di fuori della Chiesa.

“Arrivano i Magi” colorati dai bambini

Anche quest’anno l’iniziativa promossa dall’Ufficio di Pastorale familiare di Perugia-Città della Pieve, “Arrivano i Magi”, ha voluto coinvolgere i bambini e le loro famiglie anche dopo la rappresentazione, svoltasi lungo Corso Vannucci e in piazza IV Novembre sabato 6 gennaio.

Disegni ispirati ai Magi

È stato infatti distribuito in tale occasione, un cartoncino con tre scene della storia dei Re Magi da completare in un’attività di interazione laboratoriale, da portare a termine a casa e restituire, per chi lo volesse tramite foto su WhatsApp.

I bambini che hanno aderito all’iniziativa hanno arricchito i disegni proposti con i particolari e i colori preferiti, in alcuni casi hanno dato voce ai personaggi inserendo dei fumetti. L’attività è stata portata avanti anche da alcune classi della scuola primaria. Solo i più coraggiosi hanno rispedito i loro disegni!

Fra le immagini inviate si nota una predilezione per il viaggio dei Magi con i cammelli, guidati dalla stella cometa, e la scena finale in cui finalmente i tre Re arrivano ad adorare Gesù. Pochi i disegni sulla visita ad Erode, ritenuto cattivo ed ingannatore.

Convito: nei bambini desiderio di ciò che è buono e bello

Aggiungono i coniugi Convito: “Siamo soddisfatti dell’adesione a questa iniziativa, anche se sicuramente l’Adorazione dei Magi del Perugino, lo scorso anno, ebbe maggior successo. Ciò che possiamo comunque affermare è che anche stavolta, attraverso i loro disegni, i bambini ci comunicano il desiderio di ciò che è buono, vero e bello!”.

Festa della promessa dei fidanzati alla Basilica di San Valentino

fidanzati
Un momento della Festa della promessa dei fidanzati

Si rinnova la promessa d’amore dei fidanzati nella Basilica di San Valentino, uno dei momenti più significativi delle celebrazioni religiose in onore di san Valentino patrono di Terni e degli innamorati. Una promessa d’amore che pronunceranno circa cinquanta coppie di fidanzati domenica 4 febbraio alle ore 11 nella Basilica di San Valentino, nella solenne celebrazione presieduta dal vescovo di Terni-Narni-Amelia, Francesco Antonio Soddu.

Una cerimonia che suggella ancora di più il legame tra san Valentino e i fidanzati che diranno il loro  entro l’anno, con la testimonianza di un Santo che parla di amore fedele e paziente, un amore attento, generoso e rispettoso, che è patrono dell’amore sponsale e della famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio.

Oltre ai tanti ternani che parteciperanno alla celebrazione, nutrita è la presenza di coppie provenienti dall’Umbria e da Roma.

Come ogni anno, dalle ore 10, le coppie saranno accolte nei locali della scuola materna della parrocchia di San Valentino con un omaggio floreale per le donne offerto dal comitato organizzatore della parrocchia di San Valentino.

Alle ore 11 raggiungeranno processionalmente la basilica di San Valentino per partecipare alla celebrazione per la festa della promessa, al termine della quale sarà donata la pergamena ricordo della manifestazione. La cerimonia si concluderà con un aperitivo per tutte le coppie di fidanzati, presso i locali della scuola materna della parrocchia.

Le coppie di fidanzati che volessero partecipare alla celebrazione della promessa possono prenotarsi presso la basilica di San Valentino o alla mail: mariacristina.crocelli@gmail.com.

La Festa di Sant’Agata (3-4-5- febbraio), ‘La mia medicina è Cristo’

chiesa di sant'agata
La chiesa a Perugia dedicata a Sant'Agata

La mia medicina è Cristo è il tema della tre-giorni di incontri, a Perugia, dedicati a Sant’Agata nella ricorrenza della sua memoria liturgica, che la Chiesa celebra il 5 febbraio. Alla nota santa siciliana, molto venerata nel capoluogo umbro, considerata anche la protettrice delle donne operate al seno, è intitolata la suggestiva chiesa trecentesca situata lungo la centralissima via dei Priori (a poco più di cento metri sulla sinistra provenendo da corso Vannucci), un vero e proprio scrigno d’arte e di storia con significativi affreschi ritornato al suo originale splendore nove anni fa (2015), dopo cinque anni di lavori di restauro.

In preparazione alla festa di Sant’Agata del 5 febbraio, che culminerà con la celebrazione eucaristica delle ore 18, presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis insieme al rettore della chiesa monsignor Fausto Sciurpa ed allietata dal Coro della Cattedrale di San Lorenzo, sono in programma due incontri.

Il primo, sabato 3 febbraio, alle ore 17, presso la Sala del Dottorato delle Logge della Cattedrale, dal titolo: La risposta umana alla malattia: ricerca scientifica e cura, che vedrà come relatore il professor Giuseppe Pellicci, direttore dell’Istituto Europeo di Oncologia dell’Università di Milano.

Il secondo, domenica 4 febbraio, alle ore 17, presso la chiesa di Sant’Agata, è dedicato al tema La risposta religiosa alla malattia: speranza e nuova scoperta di sé, a cura di monsignor Fausto Sciurpa con intermezzi musicali e la testimonianza di una persona che ha vissuto la sofferenza della malattia riscoprendo meglio sé stessa.

Il rettore monsignor Fausto Sciurpa, nel presentare il tema della festa di Sant’Agata, ricorda che la santa è invocata nella preghiera da molte donne operate al seno per essere sostenute nella lotta contro il male.

“Il messaggio che si vuole trasmettere con i due incontri in preparazione alla festa -spiega il rettore- è quello che la medicina e la scienza debbano fare il loro corso nella ricerca di sempre maggiori e più appropriate cure mediche, senza togliere alla fede il suo viatico nell’affidarsi all’intervento di Dio. Soprattutto, per il credente sofferente, il Signore vuole che lotti contro il male, ma con nel cuore la speranza che guarda verso la vita, che è eterna, e nel contempo avere la capacità di riscoprire meglio se stessi”.

Le leggi sono odiose limitazioni alla libertà?!?

Se mi chiedono di spiegare perché sia importante che in ogni comunità ci siano leggi, e che tutti le rispettino, porto l’esempio della circolazione stradale. Un esempio che tutti sono in grado di capire, in un paese dove ci sono quaranta milioni di autovetture, due ogni tre abitanti. Bene: chiedetevi se, con tutte le macchine che sono in giro, sarebbe possibile fare non dico il percorso fra Roma e Milano, ma anche solo cento metri, se non ci fosse il codice della strada con tutte le sue regole sul tenere la mano destra, sulle precedenze agli incroci, i sensi unici, i semafori, le rotonde e tutto il resto. In mancanza di autorità regolatrici, sarebbe impossibile che la collettività si autoregolasse spontaneamente, come avrebbe voluto qualche filosofo del Settecento.

Che si debba marciare sulla destra non è una legge di natura o un principio morale: ci sono paesi nei quali si circola tenendo la sinistra come in Inghilterra, e tutto funziona perfettamente, basta saperlo. Ma proprio per questo è indispensabile che ci sia qualcuno che abbia il compito di stabilire la regola e il potere di farla rispettare; e che poi ci siano altre autorità che città per città, villaggio per villaggio, stabiliscano dove mettere i sensi unici, i semafori, i divieti di sosta.

Altrettanto indispensabile, però, è che, una volta messe queste regole, tutti, ma proprio tutti, le osservino scrupolosamente. Perché chiunque si mette in strada deve potersi fidare che dietro la prima curva non troverà un pazzo che arriva sparato contromano; se no staremmo tutti a casa.

Tutte queste regole non sono odiose limitazioni alla libertà – come direbbero i no-vax – ma al contrario sono quelle che ci garantiscono la libertà di andare dovunque senza paura e senza pericoli. Tutto quello che diciamo per la circolazione stradale è un esempio, un apologo, replicabile per ogni altro aspetto della vita associata: l’economia, la politica, i servizi sociali, i rapporti internazionali.

Per questo è inquietante vedere che c’è uno che, di nascosto, in nome della libertà dei cittadini oppressi dai limiti di velocità, distrugge gli impianti autovelox, e forse domani farà lo stesso con i semafori agli incroci e magari con le sbarre ai passaggi a livello. Ed è ancora più inquietante vedere che c’è qualche leader politico che simpatizza con lui.

Disarmo nucleare. Non c’è l’adesione dell’Italia al trattato

A leggere l’ultimo comunicato pubblicato sul sito web “The Bulletin of the Atomic Scientist” ( www.thebulletin.org ) si resta increduli, spaventati e senza parole. Il cosiddetto Orologio dell’Apocalisse segna 90 secondi alla mezzanotte. Tradotto significa che il consiglio di scienziati ed esperti che si occupa dell’impatto degli sviluppi scientifici e tecnologici sulla sicurezza mondiale riferisce che la minaccia dell’uso delle armi nucleari è la più alta mai esistita nella storia dell’umanità.

All’aumento della spesa realizzata dagli Stati che posseggono quel tipo di armamenti e alla diffusione dei conflitti armati in corso, si aggiungono le minacce rappresentate dai cambiamenti climatici e dall’uso non etico dell’intelligenza artificiale. Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw) rappresenta l’unico elemento di speranza dal momento che ad oggi quasi la metà degli Stati del mondo lo hanno firmato e ratificato.

A diffondere questo dato è la Campagna Italia ripensaci che chiede l’adesione del nostro Paese e la Rete italiana pace e disarmo. Abbiamo ragione di crederci e per questo ci uniamo alla richiesta di adesione dell’Italia, che peraltro non è un Paese nucleare, e al ruolo che può svolgere all’interno della Nato.

Amministrative: comincia a salire la febbre elettorale

Un uomo e una donna rovesciano un'urna elettorale sul tavolo con dentro schede elettorali
Elezioni comunali inizia lo spoglio alla scuola Bonanno Mantegna, 13 Giugno 2020 2 Palermo. ANSA / IGOR PETYX

Le pagine dei giornali locali e gli altri media regionali ormai da settimane si sono popolati di dibattiti e “schermaglie” politiche e amministrative. Segno che la “febbre” dei borsini elettorali comincia a salire, in vista delle prossime elezioni amministrative per il rinnovo di buona parte delle amministrazioni comunali umbre e, in autunno, anche del Consiglio e della Presidenza regionali.

In Umbria si vota l’8 e il 9 giugno

In base a quanto deciso dal Consiglio dei ministri in questi ultimi giorni, dunque, anche in Umbria si voterà sabato 8 e domenica 9 giugno, nell’election day che accorperà le consultazioni amministrative e quelle per il rinnovo dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, oltre alle regionali del Piemonte.

Dove si voterà per le amministrative

Nella nostra regione sono 60 sul totale di 92 (quindi oltre il 65 per cento) – i Comuni chiamati al rinnovo di Sindaco e Consiglio comunale. Si voterà nel capoluogo regionale, cioè a Perugia (162.362 abitanti secondo il Censimento Istat del 2021) dove Andrea Romizi è al termine del secondo mandato da primo cittadino e il centro-destra cerca di rimanere compatto al governo cittadino.

Comuni con popolazione sopra i 15mila abitanti

E si vota anche in altri sei comuni umbri con popolazione superiore alla soglia dei 15mila abitanti. Si tratta di Bastia Umbra, 21.256 abitanti e Paola Lungarotti (centrodestra) come sindaca uscente disponibile a ricandidarsi; Castiglione del Lago, 15.193 abitanti e Matteo Burico (centro-sinistra) uscente e già ricandidato nei mesi scorsi dal Pd; Foligno, 55.503 abitanti e Stefano Zuccarini (centrodestra) uscente e con certezza di ricandidatura; Gubbio, 30.650 abitanti e Filippo Mario Stirati (centro-sinistra) alla fine del secondo mandato, con tante voci ma poche certezze sulle candidature nei vari schieramenti; Marsciano, 18.038 abitanti e Francesca Mele (centro-destra) come sindaca uscente e anche ricandidata per il secondo mandato; Orvieto, in provincia di Terni, con 19.689 abitanti e Roberta Tardani in cerca del “bis” con il centro-destra che sembra compatto sul suo nome.

Gli altri comuni con popolazione sotto i 15mila abitanti

Oltre ai sette comuni più grandi della regione, dove si voterà con il sistema elettorale maggioritario a doppio turno (eventuali turni di ballottaggio fissati per il 22 e 23 giugno), andranno alle urne anche 53 comuni con popolazione sotto ai 15mila abitanti, quindi con la proclamazione del Sindaco direttamente dopo il primo turno. Tra questi, c’è la curiosità del sistema elettorale nel comune di Gualdo Tadino: nel Censimento del 2021 gli abitanti sono scesi sotto quota 15mila (14.313 per la precisione) e quindi il primo cittadino sarà proclamato dopo il primo fine-settimana elettorale. Il sindaco uscente Massimiliano Presciutti (centrosinistra) per altro si è dichiarato disponibile a un terzo mandato reso possibile per decreto dal Consiglio dei ministri.

In Umbria, oltre a Gualdo Tadino il Sindaco potrà ricandidarsi anche a Magione (ma Giacomo Chiodini del Pd ha già detto che non si ripresenta), a San Giustino (anche Paolo Fratini sembra intenzionato a tornare alla sua occupazione fuori dall’amministrazione locale), mentre Spello e Panicale, rispettivamente, Moreno Landrini e Giulio Cherubini potrebbero ricandidarsi per il terzo mandato. Le ultime disposizioni del Governo lanciano – almeno in linea teorica – anche la figura del “sindaco a vita”, visto che nei Comuni con meno di 5mila abitanti non ci sono limiti ai mandati.

Fissate per l’8 e 9 giugno le date
di amministrative ed europee

Il Consiglio dei ministri ha fissato le date delle prossime elezioni per l’8 e il 9 giugno. Per la terza volta si andrà, quindi, al voto di sabato come già accaduto nel 2004 e nel 2009 quando al governo c’era Silvio Berlusconi. Saranno 3.701 i comuni alle urne, per un totale di quasi 17 milioni di votanti.

Tra queste città ci sono 27 capoluoghi di provincia e sei anche di regione: Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza. Nel corso del 2024 poi si eleggerà il presidente in Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria.

Si parte con la Sardegna, il prossimo 25 febbraio. Il 10 marzo toccherà all’Abruzzo, mentre il Piemonte sceglie l’accorpamento con le amministrative e le europee di giugno. L’ultima regione ad andare alle urne, in ordine di tempo, sarà l’Umbria, in autunno, mentre è ancora attesa la decisione della Basilicata che potrebbe però arrivare nei prossimi giorni e forse sarà in aprile.

La Memoria data in custodia ai giovani

Memorial museum a Auschwitz

La memoria non è solo un libro, un museo, una targa, una pietra d’inciampo. Certamente ha bisogno di segni, immagini e parole ma va oltre, diventa vita, diventa comunicazione del cuore, diventa volti, diventa sguardi sul passato e sull’oggi. È il verbo “ricordare” a dare un senso alla memoria, è il sentire nel proprio cuore il palpito del cuore dell’altro che ha attraversato o sta attraversando la notte, è lo stare accanto a chi ha trovato e trova la forza di raccontare il male esponendosi davanti alle telecamere, nelle aule scolastiche, nelle piazze delle città.

Traspare nei racconti la tristezza e l’amarezza nel vedere che l’immane sofferenza raccontata non sembra avere insegnato molto perché scorrono le immagini quotidiane di una scia di sangue, di violenze, di vite innocenti atrocemente spezzate. Quell’odio che ha sconvolto e ancora sconvolge appare inarrestabile.

I testimoni e vittime non si sono arresi al pessimismo e hanno continuato a raccontare consapevoli del valore educativo della memoria. È però sorta in loro la domanda: “Chi dopo di noi?”. Chi parlerà dopo che loro non ci saranno più? Chi denuncerà i responsabili delle stragi del nazi-fascismo che hanno potuto spingere l’uomo nell’abisso del male perché gli indifferenti lo hanno consentito? Basteranno i libri storia, i musei, le targhe, le manifestazioni e qualche celebrazione? O tutto finirà nel silenzio? Molti giovani li hanno ascoltati cogliendo le vibrazioni della loro anima e nelle scuole si è sviluppato un intenso dialogo tra generazioni.

Il giornalista e scrittore Francesco Comina, presentando nei giorni scorsi il suo libro La lama e la croce. Storie di cattolici che si opposero a Hitler (ed. Lev) raccontava di studenti e studentesse di una scuola italiana che erano venuti a conoscenza che in un Paese oltralpe si voleva togliere il nome Anna Frank a una scuola perché ritenuto un nome difficile da spiegare. Conoscevano la storia della giovane ebrea uccisa nel campo di sterminio di Bergen-Belsen: hanno reagito e hanno scritto una lettera ai responsabili della proposta contribuendo a evitare la rimozione.

È un esempio che si affianca a molti altri e che dice della volontà delle nuove generazioni di cercare e di porre la verità come fondamento della pace, della libertà e della giustizia. Così fecero e per questo vennero ghigliottinati dal boia nazista i giovani raccontati nel libro di Francesco Comina.

La speranza viene anche oggi da ragazze e da ragazzi che di fronte alle grandi sfide di questo tempo, comprese quelle che vengono dalla tecnoscienza, si sentono chiamati a crescere in umanità e come umanità. “Se il mondo fosse governato dai giovani – affermava papa Francesco a Praga nel 2022 – non ci sarebbero tante guerre: coloro che hanno tutta la vita davanti non la vogliono spezzare e buttare via, ma la vogliono vivere in pienezza”. La domanda “chi dopo di noi?” ha in queste parole una risposta.

Paolo Bustaffa

Festa di Sant’ Antonio Abate a Baiano di Spoleto

Locandina festa sant'Antonio
Locandina festa S. Antonio

Domenica 4 febbraio la Pievania di San Giovanni Battista (Baiano, Firenzuola, Sant’ Angelo in Mercole, San Martino in Trignano e Montemartano) celebrerà la festa di Sant’ Antonio Abate, organizzata in collaborazione con l’Associazione Pro-Loco di Baiano, la Casa Famiglia O.A.M.I. di Baiano e la Cooperativa Partes.

Alle ore 10.30 nella chiesa di Madonna di Baiano il pievano don Edoardo Rossi celebrerà la Messa e al termine, sul piazzale, ci sarà la benedizione degli animali. Poi, si snoderà la processione con la statua di Sant’ Antonio fino alla Casa Famiglia O.A.M.I., intitolata proprio al santo eremita. E qui ci sarà un momento di grande festa: don Edoardo Rossi, infatti, benedirà il primo mattone dell’ampliamento della struttura.

“Il progetto -sottolinea la presidente Egidia Patito- prevede l’evoluzione dell’attuale servizio esistente in un polo distretto multiservizio composto da: nuovo servizio di accoglienza residenziale per persone anziane non autosufficienti e con disabilità (sei posti); incremento del servizio socio riabilitativo residenziale per persone con disabilità, che passerà da tredici a quattordici ospiti; miglioramento del servizio socio riabilitativo semiresidenziale per persone con disabilità già presente (otto posti); ci sarà poi uno spazio di coprogettazione dove famiglie, volontari, soggetti pubblici e privati possono incontrarsi e sviluppare idee per il territorio; lo spazio esterno, infine, che verrà riqualificato, potrà ospitare eventi culturali, spettacoli teatrali e tanto altro.

In questo momento di grande festa per la nostra comunità -continua la presidente Patito- mi piace ricordare alcune persone che sono state significative e fondamentali per l’avvio e lo sviluppo dell’O.A.M.I. e che oggi, sicuramente, gioiscono con noi dal cielo: su tutti Giuseppe Merini che mise a disposizione il casolare, lo sistemò ed avviò questa struttura coinvolgendoci tutti con la sua passione e amore per il prossimo; poi, monsignor Enrico Nardi, fondatore dell’O.A.M.I., che accolse con entusiasmo l’idea di Merini; poi Gigliola Cinotti in Cimica, don Mario Curini e don Andrea Bonifazi che profusero idee ed energie per la crescita della Casa”.

Il progetto prevede l’ampliamento della struttura già esistente. Il nuovo complesso sarà completamente accessibile in ogni sua zona grazie ad un attento studio dei percorsi e delle necessità funzionali di gestione delle difficoltà di deambulazione e sarà dotato di impiantistica adeguata per arrivare ad un edificio in classe energetica A. L’importo stimato dei lavori è di 1.800.000 euro. Questa cifra verrà coperta con: fondi raccolti grazie nella campagna di sensibilizzazione Mattone dopo mattone promossa dalla stessa Casa Famiglia; fondi provenienti dal bando PNRR; fondi del miglioramento sismico ed efficientamento energetico; cofinanziamento O.A.M.I. Il progetto strutturale è stato curato da Giovanni Curti della GDA architetti associati di Spoleto. I lavori saranno eseguiti dalla Valentini & Scarponi costruzioni di Trevi e termineranno entro il 2025.

 

 

 

Celebrazione in Cattedrale nella giornata per la Vita Consacrata

vita consacrata
Un momento della giornata della vita consacrata

Celebrazione della 28esima giornata della Vita Consacrata nella Cattedrale di Terni venerdì 2 febbraio alle ore 17.30 con la messa presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, con i religiosi e religiose delle varie congregazioni, ordini e istituti religiosi presenti in diocesi.

La Chiesa celebra la giornata della Vita Consacrata il 2 febbraio, festa liturgica della Presentazione del Signore al Tempio, e vuole essere per le persone consacrate occasione propizia per rinnovare i propositi e ravvivare i sentimenti che devono ispirare la loro donazione al Signore.

In diocesi sono presenti circa ottanta religiosi e religiose, suddivisi in dodici comunità religiose maschili tra Francescani minori, cappuccini e conventuali, frati Carmelitani scalzi, Salesiani, Vocazionisti, Ricostruttori nella preghiera e Comunità missionaria della Provvidenza Santissima dal Brasile. Quattordici le comunità religiose femminili, di cui tre di monache di clausura: Carmelitane scalze e Clarisse a Terni, Benedettine ad Amelia. A Terni operano le suore di Ravasco, le suore della Provvidenza e dell’Immacolata Concezione, le suore missionarie Identes, le suore Nostra Signora dell’incarnazione della Costa d’Avorio, suore diocesane Maria madre della chiesa e Ordo Virginum. Nell’amerino le suore Marianiste, le suore catechiste del Sacro Cuore e le Figlie del Carmelo, a Narni le suore consolatrici del Sacro Cuore di Gesù.

Veglia per la Vita

Sarà celebrata anche a Terni la 46esima Giornata per la vita La forza della vita ci sorprende il 2 febbraio con la veglia diocesana di preghiera alle ore 21 nella chiesa di Sant’Antonio a Terni, animata dai gruppi giovanili della parrocchia e con l’offerta delle Primule per la vita nascente nelle parrocchie, organizzata dal Movimento per la Vita. Il ricavato delle offerte raccolte ai banchetti sarà destinato al Movimento per la Vita – Centro di Aiuto alla Vita Onlus di Terni per l’aiuto economico e materiale delle mamme in gravidanza, in particolare per quelle tentate di abortire volontariamente.

Grazie alla solidarietà e al contributo anche economico di tanti, soprattutto quello derivante dalla offerta per le Primule per la vita nascente, in questi diciotto anni sono stati accolti dalle loro mamme ed aiutati a nascere ventidue bambini nel 2023 e altri sette nasceranno nei prossimi mesi dell’anno in corso, 2024. Dal 2006 ad oggi, i bambini aiutati a nascere sono stati trececentosettanquattro.

Nello scorso ottobre 2023 è stata avviata la Culla per la vita a Terni. Un presidio di estremo aiuto ed emergenza per un neonato lasciato dalla madre dopo il parto in un luogo sicuro, dotato di tutti i confort del caso, collegato con un sistema di allarme che consente il soccorso immediato del personale sanitario che, a sua volta, affida il neonato alla neonatologia dell’ospedale di Terni.

“Vogliamo lanciare un appello -l’invito del Movimento per la Vita di Terni- affinchè possano essere rinforzati i ranghi del nostro volontariato. Il crescente numero, anno dopo anno, delle mamme assistite che afferiscono al nostro CAV per ricevere l’aiuto per i loro piccoli, e l’avanzare dell’età degli attuali volontari e volontarie, ci sollecita a rivolgere un’importante richiesta di collaborazione a coloro che volessero personalmente impegnarsi in questa preziosa opera di carità.

Vi invitiamo pertanto a dare un po’ del vostro tempo, nella più ampia libertà, alla nostra opera comune di servizio alla vita nascente. Siete tutti ben accetti!”

Tre eventi diocesani previsti per l’inizio di febbraio

eventi diocesani
La Locandina della 46sima Giornata nazionale per la Vita nella diocesi di Perugia-Città della Pieve

La comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve, si appresta a celebrare tre eventi all’ inizio del mese di febbraio.

La forza della vita ci sorprende. La testimonianza di come Prendersi cura della Vita.

Il primo dei tre eventi, la 46sima Giornata nazionale per la Vita 2024 vedrà due iniziative: giovedì primo febbraio, alle ore 21, Pregare per la Vita, con l’adorazione eucaristica animata presso la chiesa dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia; domenica 4 febbraio, alle ore 18, Celebrare la Vita e Prendersi cura della Vita, presso la chiesa parrocchiale dei Ss. Severo e Agata al Girasole a San Mariano di Corciano, con la celebrazione eucaristica e a seguire la testimonianza dei coniugi Chiara e Giovanni Segantin, della Casa Caritas Il Casolare a Sanfatucchio di Castiglione del Lago.

La loro testimonianza incarna il tema della giornata, La forza della vita ci sorprende, ed è esempio di quante volte il capezzale di malati gravi diviene sorgente di consolazione per chi sta bene nel corpo, ma è disperato interiormente (dal messaggio della Cei per questa 46sima Giornata nazionale).

La Giornata per la Vita nell’Archidiocesi perugino-pievese è promossa dall’Ufficio per la pastorale familiare, dalla Federazione Umbria del Movimento per la Vita, dalla Caritas diocesana e dalla Sezione di Perugia Vittorio Trancanelli dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani).

La Giornata della vita consacrata

Il secondo dei tre eventi, nel giorno della festa liturgica della Presentazione di Gesù al Tempio, venerdì 2 febbraio, alle ore 18, nella Cattedrale di San Lorenzo, si ritroveranno le comunità e le congregazioni di religiosi e di religiose e di vita consacrata presenti nell’Archidiocesi per la loro annuale Giornata. Presiederà la celebrazione eucaristica l’arcivescovo Ivan Maffeis insieme al vicario episcopale per la Vita consacrata monsignor Vittorio Gepponi.

Per l’occasione verranno ricordati i giubilei di professione religiosa di suor Mary Angela Ojaibor, delle Suore del Cuore Eucaristico di Gesù, che ricorda il 25simo anniversario, di fra Luigi Napolitano (Ofm) e di fra Alessandro Cardello (Ofm), della comunità dei Cappellani dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia, che ricordano il 25simo anniversario, e di suor Maria Elena Fantarillo, delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli, che ricorda il suo 60esimo di professione.

“Ci uniamo a loro nel ringraziare il Signore per il dono della fedeltà, lo preghiamo perché li ricolmi dei suoi doni di grazia e porgiamo a tutti carissimi auguri- annunciano la segretaria suor Nicoletta e il Consiglio diocesano dell’USMI, l’Unione Superiori Maggiori d’Italia, invitando l’intera comunità diocesana ad unirsi a loro nella preghiera- per invocare dal Signore, insieme alla Chiesa universale, sante vocazioni alla vita di speciale consacrazione”.

Attualmente nell’Archidiocesi perugino-pievese sono presenti cinquantanove famiglie religiose (sedici maschili di cui una di clausura e quarantatre femminili di cui venti comunità, diciotto congregazioni e cinque monasteri di clausura), per più di duecentosettanta membri (centottantotto religiose).

La Festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e operatori delle comunicazioni sociali.

Il terzo dei tre eventi, la Festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e operatori delle comunicazioni sociali, che la Chiesa celebra il 24 gennaio, a Perugia, posticipata a sabato 3 febbraio, alle ore 11, nella Sala San Francesco del palazzo arcivescovile di Perugia (piazza IV Novembre, 6).

L’appuntamento di quest’anno si presenta come una novità assoluta. La giornata, infatti, sarà celebrata insieme dai vescovi di Perugia-Città della Pieve, Ivan Maffeis, e di Città di Castello e di Gubbio, Luciano Paolucci Bedini.

Una scelta non occasionale ma frutto e segno della comunione ecclesiale che lega la diocesi metropolitana di Perugia-Città della Pieve con le diocesi suffraganee di Gubbio e Città di Castello.

L’incontro è organizzato dagli Uffici pastorali per le Comunicazioni sociali delle tre Chiese diocesane, in collaborazione con Ucsi Umbria, l’Unione cattolica della stampa italiana, e si aprirà con un momento di preghiera. Interverranno i due vescovi e un rappresentante dell’Ordine dei giornalisti dell’Umbria a cui seguirà un tempo di dialogo tra operatori dei media.

Diocesi in lutto per la morte di di monsignor Giancarlo Romani

monsignor giancarlo romani
Monsignor Giancarlo Romani

Il 31 gennaio si è spento alla vita terrena per aprirsi al Paradiso monsignor Giancarlo Romani, 93 anni, decano dei sacerdoti diocesani, parroco emerito della Cattedrale di Terni parrocchia che ha guidato per 57 anni. Priore del Capitolo della Cattedrale di Terni, Cappellano di Sua Santità, cavaliere dell’Ordine Equestre Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Le esequie saranno celebrate giovedì 1 febbraio alle ore 15 nella Cattedrale di Terni. La camera ardente sarà allestita in Cattedrale dalle ore 16 del 31 gennaio fino alla celebrazione delle esequie.

Monsignor Giancarlo Romani è nato a Terni il 13 maggio 1930, ha frequentato il seminario diocesano di Terni e il seminario regionale di Assisi, ed è stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1954 da mons. Giovanni Battista Dal Prà. E’ stato viceparroco della Cattedrale e direttore dell’oratorio fino al 1957, poi due anni parroco a Rocca San Zenone e Collicino e nel 1959 nominato parroco di Santa Maria Assunta nella Cattedrale di Terni.  Nel suo lungo ministero sacerdotale il diocesi ha dato impulso e sostegno a tante realtà caritative, sociali e culturali della chiesa locale: la sottosezione dell’Unitalsi di Terni, la San Vincenzo de’ Paoli, l’oratorio della Cattedrale, assistente dell’Azione Cattolica femminile, all’ufficio pellegrinaggi in particolare con i pellegrinaggio in Terra Santa e Lourdes, il centro di Spiritualità, e l’insegnamento per quarant’ anni nei licei di Terni. Conoscitore profondo della storia di Terni, la sua città, si è sempre impegnato nel tramandare la conoscenza storica, artistica e culturale di Terni.

Ha pubblicato diversi libri sulla storia della Cattedrale e della città, ed ha collaborato con il settimanale regionale “La Voce”. Il suo dialogare con tutti cittadini, istituzioni, associazioni, mondo della scuola e della cultura, per esprimere il suo pensiero sagace e sempre propositivo, lo ha portato ad essere un punto di riferimento per la chiesa e la città.

Don Carlo è stato una presenza esemplare anche per la preghiera e attento nel curare le grandi solennità dell’anno liturgico. A lui si deve il restauro della cappella della Madonna della Misericordia e la sistemazione della cripta della Cattedrale.

Un prete all’antica, don Romani, sempre in abito talare, con l’oratoria da predicatore di un tempo, capace di tenere sempre desta l’attenzione del fedele.

Una figura significativa della chiesa ternana e della città di Terni e di lui così scriveva don Gianni Colasanti in occasione del cinquantesimo di parroco di don Carlo nel 2009: “Pensare a lui, per me, significa pensare a quelle parole del Vangelo che dicono che colui che costruisce la sua casa sulla parola del Signore la costruisce sulla “roccia”, e anche se cade la pioggia, soffiano i venti, imperversano le inondazioni, quella casa non va in rovina perché è fondata sulla “roccia”. Ecco, mi sembra che don Carlo rappresenti quell’aspetto di solidità del cristianesimo che resta al di là del fluttuare delle “mode”. Certo non è facile mantenere la rotta tra una fedeltà assoluta ed una traduzione nel tempo di una “parola che non passa”. La responsabilità è tanto più grande quanto più questa “parola” contiene la vita vera delle persone. E queste, le persone, amano don Carlo perché ad esse dà questo senso di sicurezza, di orientamento certo, di consiglio affidabile perché va sul sicuro dei contenuti della fede e della morale cristiana”.

Perugia celebra san Costanzo e la sua fedeltà al Vangelo

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Un momento della celebrazione nella Cattedrale di Perugia in onore del patrono San Costanzo

San Costanzo è “un simbolo di unità tra la tradizione della fede e la storia della nostra città. Come credenti onoriamo in San Costanzo un padre nella fede. Come perugini lo riconosciamo patrono della città e fondatore della diocesi, della quale a metà del secondo secolo è stato il primo vescovo”. Lo ha affermato l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, durante la celebrazione del 29 gennaio che ha presieduto in cattedrale a conclusione della festa del santo patrono Costanzo. 

La luce della fede e della speranza

“La luminaria, che ieri sera ci ha visti partecipare numerosi alla processione da Palazzo dei Priori alla chiesa di San Costanzo, è stata l’occasione – oltre che per invocare luce sulla giornata di ciascuno – anche per ringraziare quanti, nella Chiesa come nella Città, portano luce con il loro servizio: per chi diffonde la luce ragionevole della fede e della speranza – in particolare la gratitudine va a diaconi e sacerdoti, tra i quali ricordo don Claudio Faina, che oggi celebra il primo anniversario dell’ordinazione –; grazie, quindi, per quanti portano luce con la loro presenza qualificata e operosa nei luoghi della sofferenza e della carità – ospedale, hospice, case di riposo, Caritas –; grazie per gli uomini e le donne che, nei diversi ambiti della vita civile e sociale, interpretano il loro impegno come servizio del bene comune: amministratori, magistrati, forze dell’ordine, giornalisti”, ha sottolineato il presule.

Il martirio di san Costanzo e le persecuzioni di oggi

“San Costanzo – ha osservato l’arcivescovo – ha pagato con la vita la sua fedeltà al Vangelo; il suo martirio lo avvicina a quello di tanti credenti che anche oggi in varie parti del mondo sono discriminati, torturati e martirizzati”. “La libertà religiosa – ha ammonito – è un diritto essenziale per tutti; oggi, la fede cristiana è la più perseguitata: l’ultimo attacco armato, ieri in una chiesa a Istanbul, in Turchia. In alcune parti del mondo, il Cristianesimo è semplicemente scomparso (Nord Africa) o ridotto al lumicino (Terra Santa, Iraq, Siria…)”. “E noi come ci poniamo?”, ha domandato. “Forse – ha rilevato – restiamo intimiditi e disorientati dal cambiamento d’epoca che ci coinvolge e che sta già trasformando in modo sensibile anche il volto della Chiesa: diventa sempre più importante il rapporto personale, mentre spesso i responsabili delle comunità si trovano il tempo sottratto da strutture sempre più difficili da gestire”. Mons. Maffeis ha poi evidenziato che “la Chiesa fiorisce nella relazione con Dio, non in virtù di qualche privilegio”. 

L’opportunità di una Chiesa più povera e credibile

“Questa missione – con le scelte che impone – disegna il nostro programma pastorale. Il cambiamento in atto – la convinzione dell’arcivescovo – si rivelerà un’opportunità, se lo sapremo vivere così. Ci consegnerà una Chiesa più povera, ma più libera e radicata nell’essenziale; una Chiesa più credibile, perché più credente; una Chiesa capace di farsi prossima alle ferite, alle gioie, alle paure e alle speranze di ognuno per essergli segno e strumento della tenerezza del Padre”. “I frutti già si intravvedono, perfino nel cuore dell’inverno”, ha sottolineato riferendosi, per esempio, “ai giovani che si avvicinano alla Chiesa per prepararsi al battesimo. Molti di loro sono cresciuti in un’altra cultura e in un’altra religione – convertirsi dalla quale è davvero rischioso –: quando chiedo perché vogliano diventare cristiani, rispondono di aver incontrato persone, famiglie e comunità accoglienti; di aver riconosciuto nel Vangelo la proposta di una vita buona, lontana da ogni forma di violenza e di paura, capace di perdono, di riconciliazione, di amore”. E, dopo aver ricordato che “le vere riforme della Chiesa sono state attuate dai santi”, mons. Maffeis ha concluso: “La via è tracciata. Ci sia data la grazia – la chiedo innanzitutto per me, quale indegno successore di Costanzo – di percorrerla per la nostra parte, senza disertare le responsabilità che sono affidate a ciascuno”.

La Luminaria della vigilia

Con la processione della “Luminaria”, dal palazzo dei Priori alla basilica di San Costanzo, nel pomeriggio del 28 gennaio, la comunità civile e religiosa di Perugia era già entrata nel vivo della festa del suo santo patrono; processione a cui hanno partecipato l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, il sindaco Andrea Romizi, la presidente della Regione Donatella Tesei, diversi rappresentanti delle Istituzioni del capoluogo umbro e animata dalla Confraternita del Santissimo Sacramento, di San Giuseppe e del Sant’Anello della Cattedrale e dal corteo storico dei figuranti dei cinque rioni medievali della città.

I primi vespri di san Costanzo

Al termine della “Luminaria”, nella basilica di San Costanzo, si sono tenuti i primi vespri con il rito dell’omaggio votivo in memoria del santo di alcuni segni e simboli dell’antico legame tra la Perugia civile e quella religiosa.

Ostinati cercatori di luce

L’arcivescovo Maffeis, nell’omelia, si è soffermato sul significato cristiano della “luce”, esortando tutti ad essere “ostinati cercatori di luce”. “Più luce!’, invoca Goethe nel momento del tramonto della sua esistenza. ‘Più luce!’ invochiamo noi, rispetto all’oscurità che avvolge il nostro tempo, a partire dai tanti focolai di guerra che nel loro diffondersi spengono la speranza e la vita, a conferma della tragica inutilità, della disumanità e dell’immoralità della guerra, di ogni guerra”, ha affermato il presule, per il quale “la via per uscire dalla notte non può essere affidata soltanto alle grandi strategie politiche: la luce passa anche dal coltivare nelle nostre relazioni quei valori fondamentali di rispetto della dignità della persona, che vivono di ogni piccolo gesto di disponibilità, d’accoglienza, di dialogo culturale, di carità generosa”. L’arcivescovo ha evidenziato: “Il Vangelo ci ricorda che la luce che cerchiamo è una Persona, il Signore Gesù”. E “seguendolo, vivendo nella sua amicizia, diveniamo sempre più simili a lui e con ciò capaci di Dio, di conoscere la verità, di riconoscerci fratelli, di entrare nella vita”.

La luce ragionevole della fede

“Questa sera – ha aggiunto – diciamo grazie per chi diffonde la luce ragionevole della fede, che educa a uscire da sé e ad affidarsi allo Spirito di Dio. Grazie per i genitori, i catechisti, gli educatori, gli insegnanti, i diaconi e i presbiteri. Grazie per la luce diffusa da quanti sanno stare un passo indietro per far spazio agli altri e contribuiscono a rispondere al bisogno che tutti ci portiamo dentro, che è bisogno di sentirsi accolti, stimati, amati. Grazie per la luce alimentata dai volontari e dagli operatori della Caritas, come da chi in ospedale, all’hospice e nelle case di riposo lavora nei servizi di cura; da chi, con presenza discreta, accompagna chi vive l’esperienza della malattia o del lutto”. 

Luce a servizio delle istituzioni e della Chiesa

Di luce “sono portatori i rappresentanti delle Istituzioni, uomini e donne che, nei diversi ambiti del vivere civile e sociale, sono a servizio della nostra città e del territorio. A ciascuno di loro va la nostra riconoscenza per il contributo che assicurano a una serena convivenza, per le energie che – con competenza e sacrificio – dedicano a favore del bene comune, che non è tanto o solo la somma del bene dei singoli, ma è il bene di tutti”. Infine, “un grazie ai sacerdoti di questa unità pastorale”, a don Luca Delunghi in particolare, per l’iniziativa che, da martedì 30 gennaio, offrirà dal lunedì al venerdì la possibilità a studenti e lavoratori di raccogliersi in questa chiesa alle 7.20 per la celebrazione eucaristica. “Anche in questo modo la memoria di San Costanzo arriva a parlare al nostro tempo; anche in questo modo la luce della fede continua a illuminare la nostra città”, ha concluso mons. Maffeis.

Un dipinto per i dieci anni del Villaggio Caritas

In occasione dei primi dieci anni di attività del “Villaggio della Carità – Sorella Provvidenza” di Perugia, inaugurato il 29 gennaio 2014, giorno della festa del santo patrono Costanzo, è stato benedetto e presentato il dipinto “Tabgha – Moltiplicazione dei pani e dei pesci” dell’artista Riccardo Secchi. Presenti, oltre l’autore, l’arcivescovo Ivan Maffeis, il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, e il presidente della Fondazione di Carità “San Lorenzo”, organismo operativo della Caritas diocesana di Perugia-Città della Pieve che gestisce il “Villaggio”. Sede anche della Caritas diocesana, nel “Villaggio” si trovano il Centro di ascolto diocesano, l’Emporio della solidarietà “Tabgha”, gli appartamenti che ospitano attualmente 24 famiglie in gravi difficoltà, la “Farmacia solidale”, il “Consultorio medico” e la mensa “Don Gualtiero” dove è stato posizionato sulla parete di fronte all’ingresso questo dipinto dalle grandi dimensioni (380×138 cm, tempera acrilica su tavola di betulla), che richiama l’opera quotidiana nella preparazione e distribuzione di oltre 100 pasti caldi (dal lunedì al sabato), oltre a quella di accoglienza e di ascolto degli ospiti svolta da diversi volontari. 

Gesù e la donazione di tutto se stesso

“Grazie a chi ha realizzato l’opera e all’interpretazione che ha dato all’opera stessa – ha detto mons. Maffeis –, perché questo curvarsi di Gesù è forzato in maniera esagerata come lo è la carità, che è un dono, una gratuità. Giustamente il nostro autore ci aiuta a leggere l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci come un esempio chiaro del cammino che Gesù ha fatto di donazione di sé stesso, di ‘svotamento’ come ci dice san Paolo. In questo dipinto credo che ci sia non solo un richiamo diretto al Vangelo, ma ci sia anche una fotografia di quello che qui dentro si vive”. Secchi ha spiegato che la sua intenzione “è stata quella di lasciare un elemento di bellezza all’interno di questa mensa che sia esplicativo della bellezza che tutti i giorni si vive qui dentro, l’esperienza della carità”. 

Un luogo di incontro e di accoglienza

Per don Briziarelli, “oggi per noi è una giornata speciale nel festeggiare i dieci anni di attività del Villaggio della Carità. È un luogo che è diventato d’incontro, punto di riferimento per la carità della nostra città, un luogo che ha accolto centinaia di famiglie in questi primi dieci anni, restituendo loro un cammino bello, un cammino che le ha riportate all’autonomia, alla dignità, perché questo siamo chiamati a vivere come operatori della carità”. All’Emporio “Tabgha” quasi 800 famiglie vengono a fare la “spesa”, il Centro di ascolto diocesano ha superato i 12mila ascolti, la “Farmacia solidale” oltre 1.000 accessi e la mensa accoglie più di 100 poveri.

La galleria fotografica

La festa di Don Bosco con la ricollocazione del busto bronzeo

don bosco
Celebrazione nella palestra istituto don bosco con arcivescovo Maffeis e giovani dell' oratorio

Quest’anno sono particolarmente attesi, a Perugia, i festeggiamenti in onore di San Giovanni Bosco, educatore per eccellenza dei giovani, fondatore dei Salesiani e dei loro oratori, che la Chiesa celebra il 31 gennaio.

“E’ la festa della comunità educativa pastorale che si raduna per dire grazie a Don Bosco insieme al Pastore di Perugia”.

A sottolinearlo è il direttore dell’Istituto Salesiano del capoluogo, don Claudio Tuveri, nel presentare i festeggiamenti che culmineranno domenica 4 febbraio anche con la benedizione e la ricollocazione del busto bronzeo di san Giovanni Bosco a cura dell’Associazione Ex Allievi Salesiani, la stessa che lo commissionò nel 1966 ad un suo socio, il noto artista e scultore perugino Artemio Giovagnoni.

Un dispetto gratuito e pesante

 Il busto è stato distaccato dal basamento in cemento, nella serata dello scorso 3 gennaio, ad opera di ignoti e poi rinvenuto da alcuni ex allievi in mezzo alla vegetazione circostante l’area verde esterna all’Istituto Salesiano dove era posizionato, alla confluenza di via Don Bosco con viale Pellini. La sua ricollocazione pone fine a quello che l’arcivescovo Ivan Maffeis ha definito un dispetto gratuito e pesante.

Buoni cristiani e onesti cittadini

 Alla cerimonia del 4 febbraio sono stati invitati i rappresentanti delle massime Istituzioni civili e religiose della città, come all’inaugurazione del 24 aprile 1966, nell’anno del 150esimo anniversario della nascita del Santo e in occasione del Convegno regionale ex-allievi e salesiani cooperatori.

“Il busto raffigurante San Giovanni Bosco -sottolineano le cronache dell’epoca- era stato progettato a «testimonianza dei grandi valori educativi e sociali da lui ereditati, quelli di essere buoni cristiani e onesti cittadini

Il programma dei festeggiamenti

La giornata del 4 febbraio sarà preceduta dalla festa liturgica del 31 gennaio, alle ore 18.30, presso la chiesa di San Prospero interna al complesso salesiano, con la concelebrazione eucaristica presieduta dal direttore don Claudio Tuveri. A seguire la cena di fraternità nel refettorio dell’Istituto. A sua volta la ricorrenza del 31 gennaio sarà preceduta dal triduo di preparazione, in calendario il 28, 29 e 30 precedenti (ore 19.15), presso la cappella dell’Istituto Don Bosco.

La giornata salesiana di domenica 4 febbraio avrà inizio con l’accoglienza dei partecipanti (ore 10.30), nella sala San Prospero dell’Istituto Don Bosco, e con l’incontro Attualità Salesiana in Italia e nel mondo, a cura del direttore don Claudio Tuveri, con testimonianze di ex allievi. Seguirà la benedizione del busto di Don Bosco restaurato e ricollocato nella sua sede e la celebrazione eucaristica (ore 12), nella Palestra dell’Istituto, presieduta dall’arcivescovo Ivan Maffeis. L’agape fraterna nel refettorio, con lotteria nel salone Don Bosco, concluderà la giornata a cui l’Associazione Ex Allievi Salesiani, guidata dal prof. Fausto Santeusanio, invita a partecipare tutta la famiglia salesiana e la comunità perugina.

L’Associazione ricorda a quanti vorranno trattenersi al pranzo comunitario di far pervenire la propria adesione entro il 31 gennaio, contattando gli Ex Allievi (Lanfranco Papa, al 336 33 95 13, o Claudio Cristallini, al 347 03 66 428).

Chiese, segno di una fede che non c’è più

Per una sera, ha riaperto i battenti la ex chiesa di San Francesco al Prato, a Perugia, ora trasformata in sala da concerti (ma pare che non sia ancora pronta del tutto). San Francesco al Prato è stata per secoli, un frequentato luogo di preghiera; san Bernardino da Siena vi teneva le sue prediche, anche all’aperto sul prato, dove poi è stato eretto lo splendido oratorio a lui dedicato.

È stata anche il sacrario delle grandi famiglie perugine, che vi avevano le proprie cappelle gentilizie, come i Baglioni che per la loro chiesero a Raffaello di dipingere la celebre Deposizione, ora al museo Borghese di Roma. Trasformazioni analoghe anche in museo – hanno toccato altre chiese chiuse al culto, in diverse città grandi e piccole dell’Umbria; altre ancora, specie nelle campagne, sono semplicemente abbandonate o in rovina.

Nella mia città natale sono chiuse, o comunque deserte, chiese che da ragazzo vedevo animate dai fedeli ogni giorno dell’anno, e addirittura gremite nelle maggiori festività. Ci si può consolare pensando che qualcuno adesso segue i riti sacri in televisione, ma non ci si deve illudere: la pratica religiosa è costantemente in ribasso, e se è vero che ci sono credenti non praticanti, c’è il sospetto che ci siano anche praticanti non credenti (nel senso di persone che ogni tanto prendono parte a una funzione religiosa, per abitudine o per tradizione, ma in realtà non credono).

Quasi tutti continuano a festeggiare certe ricorrenze, come il Natale e la Pasqua, ma dimenticandone il significato religioso originario. In Italia non esiste una rilevazione statistica ufficiale dei non credenti; ma in altri Paesi sì, come in Germania, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, e in questi la percentuale di quelli che si dichiarano non religiosi/atei varia fra il 40 e il 25%. In Olanda tocca il 57%.

Sono tutti casi di Paesi di antica tradizione cristiana, dove la religiosità tradizionale è in declino e non viene sostituita da alcuna altra religione. Dunque la crisi della religiosità riguarda essenzialmente il Cristianesimo? Il vero nemico della religiosità, nel nostro mondo, è il consumismo; l’illusione che l’abbondanza dei beni materiali (fino a che dura) risponda a tutte le domande e che perciò non vi sia bisogno di cercare altre risposte (quelle vere) nel Trascendente. I nostri occhi non sanno più vedere oltre.

Festa di San Valentino: celebrazioni all’insegna di ‘Camminiamo insieme’

san valentino 2024
Un momento della presentazione delle celebrazioni a Terni in onore del patrono San Valentino

La diocesi di Terni-Narni-Amelia celebra solennemente la festa del patrono, San Valentino, primo vescovo di Terni e patrono principale della Città e della Diocesi. Valentino ha testimoniato con il suo martirio le meraviglie dell’amore del Signore.

 Padre fondatore della comunità cristiana, testimone di Cristo e martire della fede e della carità, è speciale patrono di quanti sono legati dalla dolcezza e dal fuoco dell’amore che rappresenta il fondamento della identità della comunità cristiana, appartenenza della cultura e spiritualità.

Il programma e le iniziative promosse per celebrare il santo patrono di Terni sono state presentate da monsignor Francesco Antonio Soddu vescovo di Terni-Narni-Amelia, da monsignor Salvatore Ferdinandi vicario generale della Diocesi di Terni-Narni-Amelia, da padre Johnson Perumittath parroco di San Valentino a Terni.

Da sempre vissuta come evento che rinsalda i legami storico-sociali e culturali della città, la festa del Santo patrono è in programma dal 26 gennaio al 23 marzo con varie manifestazioni religiose, culturali, musicali, artistiche, sociali legate dal tema: “Camminiamo insieme”.

Un’iniziativa che attraverso l’apertura di tavoli di ascolto, intende recepire problematiche, istanze e proposte da parte delle persone che vivono nei territori circostanti la basilica di San Valentino. L’obiettivo è di mettere in rete soggetti privati e istituzioni per dare risposte concrete che riqualifichino le relazioni di vita delle persone.

Le manifestazioni (il programma in pdf) prevedono le celebrazioni del solenne pontificale in Cattedrale a Terni, la festa della Promessa dei fidanzati, la festa delle Nozze d’argento e delle Nozze d’oro nella basilica di San Valentino. Inoltre, ci saranno concerti, presentazioni di libri, convegni sul tema della vita nascente, degli anziani e dei giovani.
Le manifestazioni si aprono il 26 gennaio nella chiesa di Sant’Antonio a Terni alle ore 21.15 con l’incontro testimonianza Dal male di vivere alla gioia della fede con l’attrice Beatrice Fazi.

Altro appuntamento di apertura delle manifestazioni è la Festa diocesana della Pace dell’Azione Cattolica Ragazzi per tutti i ragazzi degli Oratori e del catechismo che sono invitati sabato 27 gennaio presso la parrocchia Santa Maria Regina a Terni. Il tema Cura-Te la Pace! dedicato all’ambiente e alla sua salvaguardia con giochi, gare, amicizia e divertimento sviluppato negli interventi degli animatori e del Vescovo.

Sempre i giovani saranno protagonisti il 25 febbraio alle ore 9.30 con l’attività educativa per bambini e ragazzi Alla ricerca di San Valentino Caccia al tesoro a tappe organizzata da alcuni gruppi scout Agesci.

Le celebrazioni per i fidanzati e il pontificale

Il tradizionale appuntamento per i fidanzati domenica 4 febbraio con la celebrazione della festa della Promessa nella Basilica di San Valentino alle ore 11, presieduta da mons. Francesco Antonio Soddu vescovo di Terni-Narni-Amelia, alla quale parteciperanno circa 40 coppie di fidanzati che si sposeranno entro l’anno provenienti da varie parti d’Italia.
Dal 5 febbraio al 13 febbraio novena di San Valentino animata dalle vicarie della Diocesi e dai Carmelitani.

Sabato 10 febbraio fiaccolata-pellegrinaggio alle ore 21, tappa del cammino in preparazione al Giubileo 2025, per il trasferimento dell’urna di San Valentino dalla basilica in Cattedrale, con la presenza dei movimenti e associazioni e animata dai gruppi giovanili della diocesi.

Domenica 11 febbraio alle ore 10 nella Cattedrale di Terni sarà celebrata la festa diocesana di San Valentino e la Giornata del malato, con il solenne pontificale presieduto dal vescovo Francesco Antonio Soddu, concelebrato dai vicari foranei ed episcopali, alla presenza delle autorità civili, delle autorità militari, assessori e consiglieri regionali dell’Umbria, dei sindaci dei Comuni del comprensorio diocesano, dei rappresentanti delle associazioni e movimenti della Diocesi. La parte musicale della celebrazione sarà curata dal Coro Diocesano.

Durante il pontificale verrà accesa la lampada votiva e recitato l’atto di affidamento della città al Santo Patrono, segno di devozione e della disponibilità degli amministratori pubblici ad essere attenti ai bisogni della comunità e a promuovere con onestà e saggezza ciò che giova al bene comune.

Terminato il pontificale, si terrà la processione cittadina per il rientro dell’urna del santo nella basilica di San Valentino, che transiterà lungo le vie della città, seguendo il percorso: piazza Duomo, via Aminale, corso del Popolo, piazza Ridolfi, piazza Europa, via Garibaldi, rotonda Filipponi, via Piave, rotonda M.L.King, strada delle Grazie, via fratelli Cervi, via G.M. Serrati, via San Valentino, via papa Zaccaria, Basilica di San Valentino. Sul sagrato della chiesa ci sarà la benedizione conclusiva del Vescovo.

Il 13 febbraio sarà celebrata la Festa di San Valentino nella basilica del Santo alle ore 17.30 con la solenne messa presieduta da monsignor Francesco Antonio Soddu.

Rappresentazioni artistiche e musica per raccontare San Valentino

Le manifestazioni valentiniane di quest’anno intendono riproporre la figura di San Valentino nei suoi aspetti storici, spirituali, nella testimonianza di amore e di carità verso Le manifestazioni valentiniane di quest’anno intendono riproporre la figura di san Valentino nei suoi aspetti storici, spirituali, nella testimonianza di amore e di carità verso il prossimo, il 7 febbraio presso la Biblioteca Comunale Terni alle ore 18 la Lectio magistralis: Due maestri a confronto, Valentino e Cratone nella Passio sancti Valentini relatori Fra Juri Leoni e il professor Edoardo D’Angelo.

Il 20 febbraio al Cinema Politeama ore 18 la Drammatizzazione della Passio sancti Valentini curata da Riccardo Leonelli in collaborazione con Francesco Pepicelli e il Conservatorio Briccialdi

Il convegno sull’epilessia organizzato dal Reparto di Neonatologia dell’Azienda ospedaliera di Terni con l’introduzione del professor Edoardo D’Angelo su: San Valentino Taumaturgo il 23 febbraio al Palasì di Terni.

Due appuntamenti musicali, il 24 febbraio presso la Basilica di San Valentino alle ore 18.30 con l’Oratorio di Giacomo Puccini (1754) a cura del Conservatorio Briccialdi e il 16 marzo presso la Basilica di San Valentino ore 18.30 esecuzione del Gloria di Giovanni Battista Gigli (1779) Coro della Diocesi in collaborazione con il Liceo musicale Angeloni.

Premiazione del concorso San Valentino di Terni: la storia oltre la leggenda promosso dalla Diocesi di Terni-Narni-Amelia per le scuole superiori di I e II grado.

“In questo percorso, camminiamo insieme condividendo criteri di discernimento e scelte di vita -ricorda il vescovo Francesco Antonio Soddu- nel proseguimento del Cammino Sinodale, alla luce dell’icona dei discepoli di Emmaus e in preparazione al Giubileo del 2025, che sollecitano ad alimentare la preghiera personale e comunitaria. Ascoltando e seguendo con docilità la voce dello Spirito, possiamo sentirci coinvolti nella corresponsabilità ognuno per la propria parte in questo cammino della nostra Chiesa locale, nell’amore che San Valentino ci testimonia ancora oggi. Un buon approccio all’amore, che viene da Dio, ci fa comprendere il senso vero della vita e quindi della pace. Manifestazioni che vedono le persone come collaboratrici nell’accogliere questo messaggio, per sentirci tutti parte integrante della società. Auguro alla città e alla diocesi di poter fare tesoro di queste occasioni; la festa sia soprattutto per la comunità un motore propulsore per vivere sempre meglio la fede cristiana e, la fede in comunione sulla via della pace”.

 La festa del patrono della città di Terni, San Valentino è per la comunità cittadina un’occasione per riflettere sull’identità della città alla luce della testimonianza di san Valentino che ha plasmato cristianamente la città di Terni durante il suo lungo ministero episcopale, durato, secondo la tradizione, ben settantasei anni, come maestro di questa città, padre dei poveri e dei giovani innamorati, di custode dell’amore, del matrimonio, della famiglia, ma anche di testimone fino al martirio della coerenza alla fede, della libertà religiosa, del dialogo interreligioso, della cura e preoccupazione per la città. Da Terni, ancora oggi, parte il messaggio di San Valentino: l’amore vero, fedele ed eterno è possibile anche ai nostri giorni alimentato e protetto quotidianamente dall’umiltà, dalla fede in Dio, dalla preghiera costante, dalla pazienza e dal continuo perdono.