A insegnare l’illegalità ai giovani sono gli adulti

Emergenza educativa. Intervista a Maria Teresa Spagnoletti, capo guida scout Agesci a livello nazionale

Quando si dice una vita passata negli scout! È proprio il caso di dirlo per Maria Teresa Spagnoletti, dal 2008 capo guida scout nazionale dell’Agesci. Nata a Roma, dove vive tuttora, nell’Agesci ha ricoperto vari ruoli. Dal 1978 è entrata in magistratura e dal 1981 è giudice al Tribunale dei minorenni di Roma, dove si occupa del settore penale. Venerdì 7 agosto ci sarà anche lei alla cerimonia conclusiva del campo E/G (Esploratori e Guide) regionale a Nocera Umbra. Da anni a contatto con i giovani, sia nell’Agesci, sia come magistrato, abbiamo voluto affrontare con lei alcune questioni legate a quel mondo. Come è cambiato il mondo giovanile? “Oggi i ragazzi sono molto fragili: apparentemente sicuri di sé, ma in realtà di una grandissima fragilità interiore. Giovani che – certamente non per colpa loro – non hanno un forte senso della legalità, del limite, mentre hanno la sensazione che tutto ciò che si desidera debba essere raggiunto, con qualsiasi mezzo. Questo perché, molto probabilmente, vedono un mondo adulto che si comporta in questo modo. Per cui credo che quello di cui hanno più bisogno siano adulti che recuperino la capacità di essere credibili ed autorevoli, e di vivere correttamente le regole. Adulti in grado di spiegare ai ragazzi che sono necessarie delle regole per una convivenza civile. E non parlo solo dei genitori, ma di chiunque vive a contatto con i giovani. Accade spesso nel mio lavoro che i genitori vengono a giustificare i loro figli: è sempre colpa delle ‘cattive compagnie’. Mentre dovrebbero pensare che forse, se a 17 anni vengono accusati di furto o fanno una rapina, qualche problema educativo ce l’hanno. E le potrei raccontare centinaia di casi di questo tipo”. Uno ce lo può raccontare? “Tre ragazzi vengono accusati di rapina a Roma; tutti e tre vengono arrestati. Vengono da me accompagnati dalle mamme che tentano di giustificarli: è colpa dei compagni, mi dicono. Ma in realtà c’erano solo loro. Quando spiego che a tutti e tre verranno dati gli arresti domiciliari, uno di loro mi risponde che la sera avrebbe avuto una festa importante, a cui non poteva mancare, fatto confermato anche dalla mamma. ‘Bene – dico io -, se non rimarrai a casa, andrai in carcere’. Quando i carabinieri vanno per il controllo, il giovane non c’è. Quando poi il giorno dopo lo mando in carcere, sempre la madre mi dice: ma io credevo che glielo avesse detto per mettergli paura! Ecco, vede, oggi si parla di ragazzi difficili, ma in realtà questo succede perché vivono in un mondo di adulti che non insegna loro il rispetto delle regole. Gli adulti devono recuperare la capacità di dire di no”. Secondo lei, in che modo si dovrebbero muovere le agenzie e le associazioni educative per trovare delle linee comuni di intervento? “Intanto è importante recuperare l’unitarietà di intenti della famiglia e della scuola. Dovrebbero essere mandati gli stessi messaggi: ciò che viene trasmesso a scuola deve poi essere veicolato anche nella famiglia. Si parla tanto oggi di lavorare in rete, ma credo che sia fondamentale che i ragazzi non ricevano messaggi troppo contraddittori, o che perlomeno abbiano la capacità di saperli leggere, altrimenti si rischia che non si vada da nessuna parte. I messaggi possono anche non essere tutti omogenei, ma i ragazzi devono essere in grado di saperli comprendere e poi di fare delle scelte. Poi credo, forse per il lavoro che faccio, che si debba recuperare il senso della legalità. La mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro, e il rispetto dell’altro è indispensabile per una convivenza civile. Altra cosa molto importante è recuperare il valore dell’essere rispetto all’apparire. Oggi sia il mondo adulto che quello giovanile tendono a dare più importanza a come uno viene percepito dagli altri. Non necessariamente bisogna essere omologati agli altri per essere accettati, mentre oggi è così, e per i ragazzi oggi lo è più di ieri”. Pensa che l’Agesci, e quindi il mondo dello scautismo, possa essere una valida scelta per i giovani, e naturalmente, per i genitori? Pensa che come agenzia educativa possa ancora dare un valido contributo?“È difficile dirlo, così. Diciamo che l’Agesci, rispetto ad altre forme di associazionismo, ha la fortuna di avere un metodo, che è quello di Baden Powell, che si è rivelato sempre valido, ovviamente adeguato ai tempi che cambiano. Non è solo lo stare insieme, ma è crescere secondo un metodo, con un impegno che è la Promessa che ognuno di noi fa nel momento in cui entra nello scautismo, e soprattutto con il rispetto della legge, delle regole. Per questo credo che lo scautismo sia una grossa palestra di vita per i ragazzi. Imparare a vivere seguendo delle regole, un modo di stare insieme che non è solo casuale, ma che ha obiettivi che vengono raggiunti con strumenti metodologici ben precisi. Secondo me sono tre i princìpi più importanti: l’autoeducazione, imparare cioè a guidare da solo la propria canoa, dando al ragazzo la possibilità di fare delle scelte consapevoli, autonome, proprie, e di essere poi in grado di valutare le conseguenze delle proprie scelte. Poi il valore dato alla vita in comune, al valore del gruppo, della comunità. Oggi, come ieri, i ragazzi tendono a nascondersi all’interno del gruppo, perché nel gruppo diminuiscono le responsabilità individuali. Nello scautismo è esattamente l’opposto: il gruppo cresce in quanto cresce la singola persona, quindi viene dato valore al singolo perché è il singolo che fa crescere il gruppo. È quindi il piccolo gruppo, poi quello più grande, e poi lo scout più grande che fa crescere il più piccolo all’interno del gruppo. Il terzo punto importante, che non è solo tipico dello scautismo, è il servizio che i ragazzi dai 16 anni in poi cominciano a fare. Lo spirito dell’aiuto verso l’altro, dell’essere a disposizione dell’altro laddove l’altro ha bisogno di me; in uno spirito che è di gratuità, di disponibilità. Ecco, credo che queste siano le cose che fanno sì che lo scautismo sia una delle agenzie educative ancora valide oggi”. Al campo E/G erano presenti i ragazzi dagli 11 fino ai 16 anni, un’età definita difficile. Quale è il suo messaggio per i giovani del campo scout, e tutti i giovani? “In generale, come recita uno degli articoli della legge scout: mettere ‘il proprio onore nel meritare fiducia’, quindi non solo vivere esperienze belle, arricchenti, ma riportarle anche nella propria vita, agli altri, per dimostrare di essere cresciuti, di essere persone capaci di portare a compimento quello che hanno iniziato. Essere in grado di portare la canoa, a cui ho accennato prima, fino alla foce del fiume. Ma voglio dare anche un messaggio ai genitori: date più fiducia ai ragazzi e abbiate la capacità di scommettere su di loro”.

AUTORE: Manuela Acito